Il teatro comunitario: da “esperienza” a “fenomeno”
III.1. Le fasi del teatro comunitario
Perché il teatro popolare, per natura, è contro l'autorità, la tradizione, la pompa, la pretenziosità. È il teatro del rumore e il teatro del rumore è il teatro dell'applauso.
(Peter Brook) Uno degli elementi che caratterizza la storia del teatro comunitario in Argentina è la sua apparizione durante le fasi di rottura sociale ed economica del Paese.
Ho individuato tre momenti cruciali attraverso i quali il teatro comunitario si è ridefinito e rafforzato nel corso del tempo. Il 1983 è l’anno della sua nascita, con la formazione del gruppo pioniere, Catalinas Sur. La prima svolta è rintracciabile nel 1996, anno in cui si sviluppa, a partire dalla compagnia di teatro di strada Los Calandracas, il secondo gruppo di teatro comunitario, il Circuito Cultural Barracas, nonché momento storico in cui cominciano a essere sempre più evidenti gli effetti della politica neoliberale dello stato argentino. La nascita del Circuito Cultural Barracas rappresenta metaforicamente il passaggio del teatro comunitario da “esperienza”, limitata alla vicenda teatrale di Catalinas, a “fenomeno” teatrale; il terzo momento chiave è costituito infatti dalla formazione di nuovi e sempre più numerosi gruppi di teatro comunitario nella capitale e su tutto il territorio argentino, che rappresentano la legittimazione del fenomeno e la sua possibile definizione teorica.
A partire dalla proliferazione dei gruppi e dallo sviluppo di una seconda “ondata” comunitaria, post crisi 2001, è possibile introdurre la nozione di “categoria” teatrale, equiparando il teatro comunitario a quelle esperienze teatrali che, nel corso della storia, hanno definito un modello riproducibile. Il teatro comunitario, infatti, è un progetto esportabile ovunque, che adatta i propri principi base al contesto sociale all’interno del quale si sviluppa. In tutta L’America Latina si stanno creando di anno in anno nuove compagnie e,
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oltreoceano, anche in Spagna e in Italia sono nate esperienze analoghe, anche se il gruppo di teatro comunitario italiano, in verità, è piuttosto un erede legittimo di Catalinas Sur.
Di fatto, l’espansione del fenomeno teatrale su tutto il territorio argentino, da sud a nord, ci suggerisce, soprattutto su un piano più strettamente teorico, di parlare di teatri comunitari, al plurale. Non esiste il teatro comunitario come unica formula precostituita, ma si tratta di una categoria teatrale flessibile, che si definisce proprio a partire dalle differenze e dalle specificità del territorio in cui nasce. Il processo e il prodotto, all’interno di ogni gruppo, coincidono, e il metodo corrisponde alla pratica stessa. Non è perciò appropriato parlare di un teatro comunitario né quindi di “un metodo” da applicare aprioristicamente, piuttosto esiste un cammino verso, un progetto, un divenire continuo che trova in se stesso la motivazione e il fine. Soprattutto sono le persone che determinano l’esistenza del gruppo stesso. Il processo teatrale si completa come prodotto attraverso la relazione tra tutti i diversi partecipanti. I contributi individuali non si sommano tra loro ma danno come risultato un esito diverso che trasforma l’insieme dei fattori. Si crea, come abbiamo visto nei capitoli precedenti e come vedremo analizzando la pratica comunitaria dei principali gruppi individuati, una nuova super-identità, che non coincide con la somma delle singole, ma con la loro imprevista e creativa mescolanza. La scena teatrale, con la creazione di un linguaggio simbolico nuovo rispetto agli schemi tradizionali e al sistema della vita quotidiana che determina rigidamente i ruoli sociali, diventa espressione linguistica dei sentimenti e dei pensieri individuali che nel gruppo trovano la propria eco. Da questo punto di vista i canti corali assumono una funzione drammaturgica molto importante, perché in essi si riversano i sogni e le progettualità comuni degli attori e anche degli spettatori. Nel caso di Catalinas Sur vedremo che il sogno comune è rappresentato dall’esistenza stessa del gruppo teatrale, e l’utopia sembra essere raggiunta ogni giorno, attraverso la pratica quotidiana; per il Circuito Cultural Barracas il sogno può essere identificabile nel recupero del quartiere completamente distrutto dalla politica economica del paese negli anni Novanta. Altre esperienze ancora, come quella ad esempio de Los Cruzavías, gruppo formato quasi totalmente da adolescenti, individuano la propria progettualità nella relazione con lo spettatore: nel caso specifico, i giovani componenti del gruppo
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hanno bisogno che i propri genitori li ascoltino, e fanno teatro per far sentire la propria voce.
Il teatro comunitario interviene, quindi, non soltanto nelle pratiche sociali di larga scala, penso ad esempio agli spettacoli più grandiosi di Catalinas Sur, che ripercorrono momenti chiave della storia argentina, proponendo un nuovo punto di vista; esso si fa carico delle piccole storie, delle pratiche quotidiane, dei legami famigliari e amicali, delle relazioni tra vicini di casa, tra vecchi e giovani, uomini e donne e, mentre racconta la realtà, sembra essere in grado di trasformarla.
Nel “fare” risiedono l’esito e il successo artistico, oltre che sociale, di un gruppo di teatro comunitario, ovunque esso si trovi.
La proposta politico-culturale del teatro comunitario si fonda, in definitiva, su due questioni principali: da un lato su una forma di rappresentazione della realtà che si pone l’obiettivo di creare una dimensione di esistenza nuova, diversa, a partire dal passato e dalle sue memorie. L’utopia quindi si traduce sempre in azione; d’altro canto, infatti, l’utopia diventa prassi attraverso la forma organizzativa stessa: il lavoro solidale, affiatato, armonico, concertato di persone diverse all’interno di un tempo e di uno spazio prescelti e definiti, rappresenta esso stesso una forma di pratica dell’utopia.
[...] yo no creo en ese concepto de igualdad [...] para estar en un colectivo [el individuo] tiene que dar, tiene que abrirse, tiene que ceder y todo se da funamentalmente en la práctica artística.111
L’analisi e la sperimentazione diretta del fenomeno, a stretto contatto con l’esperienza di Catalinas, mi hanno consentito di individuare quale valore potenziale del teatro comunitario non tanto l’idea dell’arte come strumento di trasformazione, quanto una concezione dell’arte intesa come trasformazione in sé. Questa è una distinzione fondamentale per gli artisti del teatro comunitario rispetto al valore della loro pratica.
La differenza sostanziale tra le due possibilità è che nella prima l’arte si pone al servizio di un progetto che utilizza la forma artistica per trasmettere un
111 Gastón Emiliano Falzari, Intervista a Edith Scher. Buenos Aires, 2011 (materiale di sola
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determinato concetto. Potremmo dire ad esempio che Catalinas abbia “usato” il teatro per comunicare al resto del mondo la sua visione delle cose e della società tutta, ottenuta facendo dialogare le visioni di tutte le persone che compongono il gruppo; Catalinas potrebbe aver scelto la forma teatrale per farlo, come avrebbe potuto scegliere l’arte visiva, il cinema, la musica, la letteratura, la poesia, la politica, la televisione. Classificherei questa prima posizione come “funzionalista”: arte come mezzo per l’ottenimento di una cosa.
Nella seconda concezione, invece, il fare creativo è trasformatore di per sé. Il solo fatto che persone diverse, che nella maggior parte dei casi non si conoscono, abbiano scelto di riunirsi per creare qualcosa dal nulla è rivoluzionario.
Catalinas ha compiuto questo passo avanti rispetto all’idea generica e già ampiamente sperimentata di un teatro politico o sociale, e sono le sue radici a dircelo. Il gruppo nasce dalla cittadinanza stessa, dalla volontà di un gruppo di cittadini di stare insieme per “fare” teatro. La prima rivoluzione, lo scardinamento non del tutto consapevole – ma solo in una prima fase – dei vincoli del sistema sociale pre-esistente, sono avvenuti con l’origine dell’esperienza stessa. Il processo teatrale è il seme del cambiamento, il gioco laboratoriale è la possibilità dello stravolgimento dei ruoli e le prove, le conversazioni, le liti, gli abbracci, la choriceada in compagnia, il mate sorseggiato con o senza zucchero, le risate, le urla, i pianti, le idee elaborate durante gli incontri sono i motori della trasformazione.
A cosa serve allora lo spettacolo? Dove inseriamo il prodotto teatrale all’interno di questo viaggio di ricerca e di condivisione che sembrerebbe già consumato in se stesso? Il teatro se non trasforma, se non arricchisce, se non ti cambia i pensieri, se non ti bastona, se non ti comprende meglio di come può fare un amico caro, dove risiede il suo valore?
Definire il teatro comunitario come categoria non è altro che provare a definire il teatro. Il teatro puoi spiegato con degli aggettivi, provare a dirlo con perifrasi, cominciando ad esempio col dire cosa il teatro non è, procedendo quindi per
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negazione, o cosa dovrebbe essere, procedendo così per possibilità, ma cosa è il teatro comunitario, in quanto teatro?112
Il teatro è, l’abbiamo più volte ricordato, la sua etimologia, è il luogo della visione.
Catalinas sur, come tutti i gruppi di teatro comunitario che dal 1996 in poi hanno cominciato a nascere e a proliferarsi come una specie di epidemia buona, di pratica contagiosa, è il luogo da cui i cittadini guardano il mondo. Il palcoscenico forse è un mondo alla rovescia, ma poterlo con-dividere, per far sì che anche l’altro possa essere inglobato nel noi, che io possa essere contagiata dal teatro comunitario e contagiare chi mi legge, che contagerà l’amico che ha seduto accanto, che contagerà la famiglia, che contagerà il vicino di casa, è necessario lo spettacolo, quel fantomatico prodotto che tanta ricerca teatrale del Novecento ha provato a rifiutare in quanto tale, per poi reintrodurlo come momento fondamentale del teatro stesso.
Cito ancora Peter Brook che, con semplicità, definisce il teatro con un’azione: un uomo attraversa un palcoscenico, un altro lo guarda mentre cammina, ed è già teatro. Il teatro è il luogo del visibile per eccellenza, come dice Barthes è una pratica che valuta il posto delle cose a seconda di come sono guardate113. Dunque l’esito teatrale è quel prodotto che permette di fare un passo avanti ancora, di non restare al momento laboratoriale, dove la costruzione di una comunità nuova, migliore, passa solo attraverso le persone che fanno parte di quel gruppo. Lo spettacolo è il momento durante il quale si realizza l’atto trasformativo abbozzato nel processo, è il momento in cui lo spettatore si riconosce, in cui entra in empatia con quello che vede, in cui condivide la bellezza, e ha finalmente i margini per imparare a dirla, e farla così rinascere a ogni racconto e a ogni rappresentazione.
L’empatia, di cui abbiamo già parlato, ritorna per forza in un discorso sul teatro comunitario, dove la relazione attore-spettatore non è solamente biunivoca, ma polivalente, perché include elementi altri che pur non essendo sempre presenti nel momento scenico, esistono e sono contemplati come componenti essenziali dello spettacolo teatrale.
112 Cfr. Cristina Valenti, La sfida del teatro in carcere, «A. RIVISTA ANARCHICA», 2009, 342
(marzo 2009).
113 Roland Barthes Diderot, Brecht, Eisenstein, in "Revue d'esthétique”, 1973, 2-4, poi in
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La riflessione di Marco De Marinis a proposito dell’Io e dell’Altro coinvolti nel gioco della rappresentazione può essere allargata a un discorso che coinvolge lo spazio, inteso non solo come spazio teatrale, ma come il “fuori” che si riverbera sul “dentro” della sala teatrale.
Potremmo avanzare l’ipotesi che, all’origine tanto dell’antropologia quanto del teatro moderni, ci siano un Io e un Altro e la relazione degli sguardi che li lega. E, in entrambe i casi, la direzione primaria dello sguardo, e con essa quindi la direzione primaria fra osservante e osservato, è raddoppiata da una direzione opposta che inverte i ruoli, trasformando l’osservante in osservato, e viceversa. A teatro *…+ lo spettatore rappresenta l’osservante primario, pur essendo nello stesso tempo l’osservato: anche l’attore infatti guarda lo spettatore, e lo guarda con quello stesso miscuglio di curiosità, diffidenza e sorpresa che è intrinsecamente alla base di ogni relazione con l’altro e della fascinazione che la sostanzia.114
Ogni volta che il teatro comunitario riscopre le sue origini di teatro negli spazi aperti, mettendo in scena spettacoli in piazza, il dialogo io-altro e fuori-dentro stabilisce una semantica nuova, “allargata” che mette dentro il “fuori” e ingloba l’altro spettatore, quello distratto, che non ha scelto di andare a vedere lo spettacolo ma si trova per caso a parteciparvi e mentre osserva si sente osservato, come se qualcuno avesse deciso di invadere senza preavviso la sua quotidianità. Gli attori del teatro comunitario parlano anche a lui e attraverso una serie di elementi teatrali extra-quotidiani, come l’uso amplificato della voce, la gestualità esagerata, la scenografia – mobile e immobile – maestosa, entrano nella vita della città.
Il teatro comunitario, quindi il teatro, mette in azione e in relazione tre comunità:
quella di chi crea e realizza lo spettacolo, che costituisce un’identità sempre collettiva; quella di chi assiste allo spettacolo, quindi il pubblico che si
114 Marco De Marinis, Il teatro dell’altro. Interculturalismo e transculturalismo nella scena contemporanea, Firenze, La casa Usher, 2011, p. 11.
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fonde in una comunità più ampia con chi agisce sulla scena; quella della società che ospita lo spettacolo, ovvero la polis nel suo complesso.
Proprio all’interno della polis il teatro comunitario è stato in grado di introdurre un nuovo concetto, più consapevole, di cittadinanza.
Ma in quale forma le opere del teatro comunitario contribuiscono effettivamente alla dinamica di mobilizzazione collettiva, sia dentro che fuori il gruppo stesso? Alcuni tra gli studiosi che fanno parte della Red de investigadores de teatro comunitario si stanno interrogando su questo aspetto, e sul difficile equilibrio tra i vari elementi che caratterizzano l’esistenza di un gruppo di teatro comunitario: la qualità artistica, la motivazione individuale, l’entusiasmo collettivo.
Lucie Elgoyhen, studiosa francese di teatro comunitario argentino, nel suo saggio Las dinámicas de movilización colectiva en el movimiento tearal
comunitario contenuto nel testo recentemente pubblicato El movimiento teatral comunitario argentino. Reflexiones acerca de la experiencia en la última década (2001-2011)115 parla degli spettacoli teatrali come “dispositivos de sensibilización” orientati verso una doppia direzione: verso l’esterno per cercare nuovi sostegni alla costruzione comunitaria, verso l’interno, per mantenere attiva la motivazione dei partecipanti. Da un lato, infatti, la scena teatrale funge da catalizzatore esterno, e il palcoscenico diventa in senso letterale un luogo da cui prendere “visibilità” rispetto allo spettatore. La ricerca di nuovi spettatori rappresenta per i gruppi di teatro comunitario non soltanto la presenza di un rinnovato e sempre più numeroso pubblico, ma la possibilità, soprattutto, di inglobare nuovi partecipanti. Si tratta cioè di quei molti spettatori che diventano vecinos-actores dopo aver assistito anche solo a uno spettacolo di teatro comunitario.
D’altro canto, gli spettacoli teatrali funzionano da dispositivi di sensibilizzazione per i componenti stessi del gruppo perché rafforzano il senso di coesione e di solidarietà reciproca.
I processi di creazione di un’opera comunitaria sono lunghi, prevedono incontri frequenti, laboratori, prove, discussioni, assemblee che agiscono come collanti
115 Romina Sánchez (Coord.), Lucie Elgoyhen, Gastón Falzari, Clarisa Inés Fernández,
Alexis Pedro Rasftopolo, Giada Russo, El movimiento teatral comunitario argentino
Reflexiones acerca de la experiencia en la última década (2001-2011), Buenos Aires,
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sociali e contribuiscono a definire quell’ideale di comunità di cui i cittadini- attori si fanno portavoce in scena. Gli spettacoli diventano quindi veicoli di comunicazione e i teatri comunitari cominciano a funzionare come comunità memoriali. L’esperienza all’interno di un gruppo mette in gioco tutta una serie di elementi che iscrivono le emozioni individuali all’interno di una rete di significati collettiva. Accanto all’entusiasmo reciproco di vivere all’interno di una comunità solidale e pacifica, i vecinos-actores sviluppano una forma di emozione condivisa rispetto al mondo esterno, intesa come sentimento di orgoglio e di amore per il proprio barrio, che non significa mai rifiuto dell’altro. Certo è che il tema della comunità, come abbiamo approfondito nel primo capitolo, è una questione delicata, che può produrre effetti diversi, talvolta opposti. Sempre latente infatti resta l’idea di una comunità che si autolegittima nella consapevolezza della propria identità.
Per fugare ogni rischio di autoghettizzazione, i teatri comunitari costruiscono una propria memoria di gruppo attraverso riti collettivi – come la celebrazione dei compleanni, la proiezione di foto e video dei propri spettacoli – aperti al resto della cittadinanza civile.
Questa memoria si articola intorno ai momenti chiave della storia di ciascun gruppo, come ad esempio il debutto di un nuovo spettacolo o un viaggio per un incontro nazionale con altri gruppi comunitari, o il trasferimento in un nuovo spazio teatrale. L’identità collettiva che viene formandosi si materializza con la scelta di un colore o di un simbolo per ogni gruppo, di un nome, di un logo e di canzoni e disegni; il luogo rappresenta l’elemento identitario più forte. L’espressione normalmente utilizzata dai membri dei gruppi per presentarsi tra loro è “yo soy del”, per esempio “yo soy de Catalinas”.