• Non ci sono risultati.

Venimos de muy lejos: storie di identità e immigrazione Venimos de muy lejos 121 è stato rappresentato per la prima volta nel 1990 nella

Il teatro comunitario: da “esperienza” a “fenomeno”

III.2. Catalinas Sur, il gruppo pioniere

III.2.1. Venimos de muy lejos: storie di identità e immigrazione Venimos de muy lejos 121 è stato rappresentato per la prima volta nel 1990 nella

Plaza Islas Malvinas, nel barrio Catalinas Sur. La gestazione dello spettacolo

120 L'Orchestra ha debuttato il 26 giugno 2010 al galpón di Catalinas e in questa stessa

sede mi è stato possibile assistere personalmente alla replica del 3 luglio.

121 L'analisi dello spettacolo contenuta si basa sulla mia visione personale della

104

risale al 1988, quando i cittadini del quartiere cominciarono a riunirsi e a raccontare storie personali, esperienze di vita, leggende e tradizioni legate al quartiere di appartenenza.

Si tratta di uno spettacolo che racconta, seguendo una prospettiva del tutto originale, la vicenda dell'emigrazione europea in Argentina, attraverso storie, personaggi e immagini al confine tra la realtà e l'immaginazione. È un omaggio agli immigranti europei, un omaggio alla speranza e alla fatica con le quali arrivarono in Argentina, alla loro sofferenza, ma anche all'allegria delle loro feste e canzoni. Una storia di dolore viene trasformata sulla scena in canto, festa, ballo.

Prima dell'inizio della rappresentazione gli spettatori vengono accolti dagli stessi vecinos-actores del quartiere e accompagnati al loro posto in platea; un sottofondo di musica tradizionale spagnola e italiana introduce il pubblico nell'atmosfera e nel tema dello spettacolo. I pittoreschi personaggi sono caratterizzati da costumi tipici dell'epoca, ritrovati tra gli armadi di famiglia, senza però alcuna pretesa storica né antropologica. L'obiettivo è quello di riscattare la memoria degli antenati, dare voce ai nonni e ai bisnonni del gruppo, cosicché anche il pubblico possa riconoscersi in quei personaggi. In questo modo, attraverso la verosimiglianza e l'ironia, il distacco e l'immedesimazione al tempo stesso, si innesca quel sentimento di empatia che abbiamo precedentemente accennato a livello teorico: tra cittadini-attori e cittadini-spettatori si sviluppa, nel corso dello spettacolo, un legame indissolubile che rappresenta senza dubbio la caratteristica più peculiare del teatro comunitario.

Sin dall'inizio lo spettatore, catapultato in questa dimensione straordinaria, è invitato a partecipare a quello che accadrà sulla scena. L'emblematica immagine allegorica della Repubblica Argentina appare in platea in attesa che arrivino gli immigranti in fuga dalla fame, dalla guerra e dal freddo europeo. In coro si presentano al pubblico cantando parole di speranza:

Venimos de l'Europa, del hambre, de la guerra, dejamo nostra casa, dejamo nostra tierra, traemo la nostalgia,

105

traemo la alegria, venimo a la Argentina! Queremo laborar! *…+ Tenemos la esperanza! Queremo laborar!122

Al fondo della scena viene montato un grande telone dipinto che riproduce i due piani della facciata di un antico conventillo. In molti casi i conventillos, chiamati anche inquilinatos, erano stati originariamente dei piccoli hotel caduti in disgrazia oppure case residenziali di famiglie ricche trasferitesi in zone più salubri e più sicure. Il nome deriva dalla parola “convento”, probabilmente perché queste strutture ricordavano nella forma i conventi, con la loro disposizione a ferro di cavallo con un patio centrale e abitazioni su due o tre piani che lo costeggiavano nei tre lati.

L'emigrazione italiana è stato un esodo complesso e multiforme, che ha interessato circa 20 milioni di cittadini e per più di un secolo, dalla prima metà dell'800 alla seconda metà del Novecento. Il viaggio iniziava quando gli emigranti lasciavano il paese natio per raggiungere i diversi porti: Genova, Trieste o Napoli. Molte volte la partenza era un avvenimento collettivo, a cui partecipavano interi gruppi di parenti e conterranei, che partivano per l'estero. Gli emigranti – liguri, calabresi, napoletani o veneti – sentivano particolarmente l'appartenenza alla loro regione, ma, al momento dell'imbarco, si scoprivano “italiani”, sensazione che si rafforzava al momento dello sbarco. Gran parte dell'immigrazione italiana che si è stabilita a Buenos Aires ha messo radici nella Boca dando al quartiere un'impronta culturale molto forte, che tutt'oggi viene conservata. Oltre al dialetto della regione di provenienza, gli immigrati parlavano il cocoliche123, un miscuglio di spagnolo e italiano124. Gli uomini lavoravano al porto, scaricavano le navi, lavoravano nei

122

Qui e di seguito ove non diversamente indicato le citazioni si riferiscono al testo dello spettacolo.

123

Cocoliche: Pidgin italo-spagnolo degli oriundi italiani nelle città del Río de la Plata, specialmente Buenos Aires. Il nome deriva da Cocoliche, personaggio comico del teatro popolare argentino ispirato alla figura realmente esistita di Antonio Cuccolicchio, emigrato calabrese ridicolizzato per il parlare sgrammaticato e per il suo atteggiarsi ad argentino puro; creato dal comico C. Petray, tale personaggio caricaturale (il cui nome sarebbe successivamente divenuto in Argentina nomignolo degli italiani) venne portato nei teatri dallo scrittore e romanziere argentino E. Gutiérrez nell'opera Juan Moreira. Cfr. enciclopedia Treccani.

124 Topos letterario costante dell'epoca è quello di una Buenos Aires come città-Babele: si

106

cantieri e costruivano le abitazioni precarie di lamiera o legno, i conventillos, in cui ogni famiglia disponeva di una stanza e condivideva la cucina e il bagno. Regno indiscusso delle donne, il conventillo accoglieva decine di famiglie. Nella Buenos Aires di fine secolo la popolazione aumentò in maniera esponenziale, sia per il gigantesco afflusso di immigrati in cerca di fortuna, sia per l’arrivo dalle campagne di gauchos in cerca di lavoro. Tutti questi disperati si ammassavano nei conventillos in condizioni igieniche precarie, senza fogne, con poca acqua potabile, dividendo spazi ridotti e decadenti e trovandosi spesso nell’impossibilità di poter comunicare in una lingua comprensibile a tutti. Gli inquilini, infatti, provenivano da tutte le parti del mondo, erano per lo più spagnoli, italiani, ebrei o arabi, e ognuno portava la sua cultura, la sua lingua, le sue abitudini e relative esigenze e intolleranze. La solidarietà tra poveri, però, aveva il sopravvento, e la diversità culturale diventava terreno fertile per la creazione di una nuova cultura.

Questo scorcio di vita vissuta diventa materiale scenico su cui i componenti della compagnia scelgono di lavorare attraverso il recupero delle memorie comuni, dalle canzoni popolari agli abiti storici e agli elementi scenografici che contribuiscono a riprodurre la quotidianità di cui vivevano gli immigrati nei

conventillos, con l'immancabile lavatoio in legno per lavare i panni e i bambini,

e con il bagno in comune per tutti gli inquilini del palazzo.

Il conventillo di Doña Angiulina pian piano si popola di figure pittoresche: Manolo il lattaio, Giovanni l'anarchico, Don Jaime il tedesco e Rebecca, la madre disperata perché il figlio vuol sposare una fervente cattolica, Clementina, che arriva con le sue quattro figlie in cerca del marito da tempo partito per l'America, di cui ha perso le tracce. Non mancano gli scontri e le violenze, rappresentati in chiave ironica e grottesca, talvolta con l'uso di pupazzi che stemperano il clima di tensione e ridicolizzano alcune figure: il generale Roca, a capo dell'Esercito della Patria in difesa dei principi di “ordine

Babilonia.Una hora entre criados (1925); cfr. in particolare Maria Beatriz Fontanella de Weinberg, Contacto lingüístico y lenguas de contacto, in La lengua española fuera de España, Buenos Aires, Editorial Paidós, 1976, pp. 102-115; Maria Moliner, Diccionario de uso del español, Madrid, Editorial Gredos, 1975 (s.v. cocoliche da: Jerga de los extranjeros, particularmente de los italianos // Italiano que habla esa jerga); Antonella Cancellieri, Italiano e spagnolo a contatto nel Rio de La Plata. I fenomeni del cocoliche e del lunfardo, in Atti del XIX convegno dell'A.ISP.I. (Associazione Ispanisti Italiani), Roma 16-18 settembre 1999, pp. 69-84,consultabile sul sito web www.cvc.cervantes.es

107

e autorità”, e il Presidente degli immigrati, fondatore delle Repubblica de La Boca. Il cocoliche in bocca a questi personaggi accentua l'elemento grottesco; così parla il Presidente:

Generale Roca. Noi siamo xeneixes. Abbiamo arrivati della bella Genova. Hemo encontrato una terra tutta arrasada, pantanosa, puzzolenta. Abbiamo fato tutte le case dove abitamo con nostra propia mano, como el pácaro hornero di questa terra. Hemo implantato la industria naviera. Abbiamo fato una avanzata de civilizzazione e progresso. E per eso te dico in dialeto xeneixe: tu sei un gemu! Un uomo senza niente de inteligenze!

(La Republica de La Boca, scena 6)

Tra i numerosi riferimenti storici, si accenna nello spettacolo all'inondazione del 1940, che arrivò al Parco Lezama e obbligò i cittadini a evacuare le abitazioni. Con l'ingresso in scena de “el Ejercito de Salvación”, il tema dell'inondazione acquista un altro significato. Al ritmo de “la marcha del deporte” arrivano in fila i soldati dell'esercito della Salvezza in aiuto alla povera gente, per purificarla dall'inondazione dei peccati. Così l'esercito si rivolge ad Angiuelina in cerca d'aiuto a causa dell'inondazione:

Sí, hermana, el mundo está inundado de pecadores. Debemos empezar por los principios.

(El Ejército de Salvación, scena 8)

Da qui una serie di equivoci portano allo scontro tra i princìpi religiosi e quelli anarchici. Il curato, simbolo del potere ecclesiastico, tenta di censurare gli eccessi del carnevale, inaugurato dalla murga e dalle percussioni del candombe con l'ingresso di nuovi personaggi: la Polaca, il Civico e Torubio, la Negra Tomasa e la Turca. Continuano gli equivoci e le situazioni grottesche, in un perfetto equilibrio tra comico e tragico, garantito dal variare dei motivi musicali che spesso fanno da contrappunto alla scena. Si passa da un clima di disperazione per le condizioni di povertà cui sono costretti gli inquilini del

conventillo, al ritmo incalzante della lotta e della ribellione, che sfociano infine

108

proprietario del conventillo è il marito da tempo fuggito in America; la donna tradita si ribella al marito sulle note de La Donna è mobile. I Senatori del Governo approvano nel frattempo la Ley de Residencia, con la quale gli inquilini vengono buttati fuori dai conventillos, ma il gruppetto, addestrato ormai secondo i principi anarchici, reagisce e si ribella. Con le scope in alto e al suono di Funiculì-Funiculà gli immigrati dimostrano di aver imparato a difendere i propri diritti:

Todos los inquilinos de La Boca van a luchar, van a luchar / para que el conventillo sea digno / de ser su hogar, de ser su hogar. / Con techos que no lluevan / y piletas para lavar, para lavar / Sin mugre y con ventanas que sean lindas/Para soñar, para soñar. // Vamos, vamos, vamos a luchar / Todos juntos vamos a lograr / Que el conventillo sea un hogar / Que el conventillo sea un hogar!

(Resistencia de los inquilinos y llegada del propietario, scena 12)

Di grande impatto emotivo è la scena finale, in cui gli immigrati lasciano il

conventillo e partono per nuovi quartieri di residenza: Lanus, Cañuelas,

Patagonia. Il vecchio palazzo viene abitato da una nuova generazione di immigrati: cambiano i costumi e le musiche, stavolta arrivano da altri paesi dell'America Latina, paraguaiani, uruguaiani e la cordobesa.

Con la canzone de Venimos de muy lejos si conclude lo spettacolo in un clima di festa e partecipazione generale:

Venimo de muy lejos con mucho sacrificio / Mangiamo pasta sciuta, dormimo en el pasillo / Faciamo el amore, tenemo molti figli / Traemo la esperanza, queremo lavorar! / Queremo lavorar! Queremo lavorar!

(Scena 15 – Los nuevos inmigrantes)

Lo spettacolo è stato rappresentato, oltre che nella piazza dove ha debuttato, nel teatro IFT e nel Teatro de la Ribera a Buenos Aires, a Concepciòn dell'Uruguay, Santa Fe, Paraná, Gualeguaychú, Villa Gessell, El Dorado, Poasadas e in altre località del paese, inoltre anche all'estero, a Santiago del

109

Chile. Ha partecipato al Primo Festival Internazionale di Teatro a Buenos Aires e tutt'oggi è in cartellone nel galpón (il teatro) di Catalinas.

Il 5 settembre del 2013, in occasione del giorno dell’immigrante, è stato rappresentato il film tratto dallo spettacolo, Venimos de muy lejos, la pelicula. Il film, che mescola il linguaggio del documentario a quelli teatrale e romanzesco, è stato diretto dal regista cinematografico Ricki Piterbarg, argentino di Buenos Aires, classe 1968.

Venimos de muy lejos, la película ha partecipato al 27° Festival Internacional de Cine de Mar del Plata 2012, al 31° FCIU Festival de Cine Internacional de Uruguay, al 29° Chicago Latino Film Festival y del Vission do reel, Market DOCM (Nyon, Suiza).

III.2.2. El Fulgor Argentino: un “club sociale” che riscatta la sua