Il teatro comunitario: da “esperienza” a “fenomeno”
III.3. El Circuito Cultural Barracas, ovvero il teatro della strada Se Catalinas Sur si definisce sin dagli esordi come gruppo di teatro
III.3.1. Los chicos del cordel e la teatralizzazione del corpo
Los chicos del cordel139 è uno spettacolo itinerante che dal 1999 per tre anni
consecutivi è stato rappresentato nella piazza centrale di Barracas e lungo le strade della parte vecchia del quartiere. L'opera, riproposta tra il 2005 e il 2007, è stata soggetta a numerose riletture, derivate dalla crisi economica del 2001 e dalle sue inevitabili ripercussioni sulla società.
Per la realizzazione di questo spettacolo i cittadini, partendo ognuno dalla propria esperienza, hanno tradotto in idee e personaggi tutte le loro preoccupazioni, attraverso la pratica dell'improvvisazione, sotto la direzione di Ricardo Talento. Il regista, durante un'intervista nel 2000, racconta le origini di questo spettacolo, del tutto radicato nella realtà che il popolo stava vivendo in quel momento, anticipando con grande lungimiranza i fatti che di lì a poco avrebbero colpito i settori più bassi della società: “La primera vez que vi a una familia entera comiendo de un tacho de basura me puse a llorar”, un'immagine forte che oggi è parte della geografia e del paesaggio urbano con cui i cittadini purtroppo hanno imparato a convivere.
Lo spettacolo diventa una radiografia della società attuale. Un barrio frammentato, dove i bambini abbandonati, esclusi, hanno sofferto più di tutti l'emarginazione sociale e culturale che si è andata sommando all'angoscia di non avere da mangiare, di non avere un luogo dove dormire né il denaro per andare a scuola.
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L'analisi dello spettacolo contenuta si basa sul testo dello spettacolo riportato in Diego Rosemberg, Teatro comunitario argentino, sullo studio di Lola Proaño Gómez e sulle interviste da me raccolte.
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La strada, che in passato è stata lo spazio del gioco, della cultura e della trasmissione dei valori, è oggi il rifugio di coloro che non hanno uno spazio nel mondo, è il luogo del lamento e della disperazione, che il teatro prende in prestito per mostrare tutti i mali della società. La piazza Dìaz Vèlez, situata nella calle Osvaldo Cruz al 2300, diventa spazio di riunione e concentrazione di tutti cittadini e fulcro dell'intero spettacolo, a partire dal quale gli spettatori, insieme agli attori, percorrono il quartiere, attraverso i vecchi ponti, la stazione abbandonata, le case fatiscenti, e le macchie verdi incolte. Lo spazio pubblico si teatralizza, ponendosi al servizio di una finalità estetica. Le pitture sulle facciate, i sacchi di spazzatura, gli escrementi dei cani, i rumori dei treni e dei
colectivos (gli autobus), costituiscono lo scenario di un tragico rito quotidiano.
Man mano che gli spettatori affluiscono nella piazza, compaiono i vari personaggi: Dona Benita che cerca con la gabbia vuota il suo pappagallo perduto, bambine costrette dalla madre ad andare al collegio, un uomo con in mano le buste del supermercato, gli spettri di madri adolescenti, Mercedes e Encarnaciòn con i figli morti fra le braccia, Raùl Albarracin, il cantore di tango, che intona la serenata per una donna perduta. Inaspettatamente dagli angoli delle strade arrivano “los chicos” (i ragazzi della strada) che cantano:
Somos los chicos del cordel, / los que sobramos sin saber porqué, / no se asombre tanto por lo que ve / si esto no es verdad, bien podría ser.140
Segue l'apparizione di un predicatore del barrio, Carloncho, al quale i ragazzini si ribellano lanciando sassi. Relicario Iglesias, un disoccupato della ferrovia, è il personaggio che guida il pubblico per i differenti scenari naturali, che si estendono per ben 14 isolati del barrio, commentando le varie tappe in una sorta di “via crucis della miseria”. Gli spettatori sono invitati a partecipare alle storie e agli stati d'animo dei personaggi: la desolazione di un vecchio impiegato della Biblioteca Nazionale che si lamenta della pigrizia dei giovani, che non leggono più nulla; la rabbia di una donna che incolpa le poste di aprire le sue lettere e rubare le sue parole; la paura di un uomo che trova nella religione la possibilità di affidarsi a qualcosa, perché “en algo hay que creer”;
140 Qui e di seguito ove non diversamente indicato le citazioni si riferiscono al testo dello
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l'indignazione di un nonno che rimprovera agli adolescenti l'abitudine malsana di riunirsi negli angoli delle strade per bere birra e alcolici di ogni tipo; lo spaesamento dei nuovi immigrati nel barrio.
Il gruppo dei settanta personaggi si può suddividere in tre categorie, come nota Jorge Dubatti in un suo studio dello spettacolo: “los caricaturescos”, “los alegoricos”, “los netamente realistas”. Del primo gruppo fanno parte quei personaggi dal carattere satirico e farsesco che, come se fossero presi in prestito dalla commedia dell'arte porteña, incarnano i caratteri tipo della realtà barriale. Tra questi troviamo i disoccupati, l'insegnante di piano, le donne che vendono reliquie di famiglia per necessità, le tre ingenue prostitute e il cantante di tango. I personaggi allegorici compongono tableaux vivants: ragazzine incinte e madri vestite di un bianco immacolato. A ispirare queste figure, le giovani madri che ogni giorno trovano una morte precoce per la povertà, la fame e le cattive pratiche abortive. Personaggi reali sono invece i ragazzi della strada, che sbucano dagli angoli e dalle fessure e appaiono all'improvviso di fronte al pubblico, corrono, si nascondono come fuggitivi senza legge, perseguitati dal vicinato e nel frattempo, in preda alla loro instancabile fuga dal mondo, intonano canzoni liberatorie.
La rappresentazione avanza così per il barrio fino ad arrivare al luogo “sacro”, dove si trova un'enorme macchina da cui sgorga latte, immagine plastica di tre seni femminili, con un cartello che dice “Leche entera la carida”. “Los chicos” passano di lì a racimolare una razione di latte, col sottofondo melanconico di un sassofono.
La scarsità di latte è uno dei problemi più urgenti posti dalla crisi: l'industria del latte è stata distrutta e adesso l'Argentina è obbligata a importare questo alimento (“El popular”, Olavarrìa, provincia de Buenos Aires, 9 gennaio 2003). Non manca nello spettacolo l'allusione critica alla scuola, sintetizzata nella scena di una bambina, vestita con l'uniforme scolastica, che recita versi imparati a memoria e, mentre ascolta tre canzoni tradizionali, Himno a
Sarmiento, En el cielo las estrellas, Aurora, si intristisce e piange.
Lo spettacolo si conclude con una canzone di speranza e accettazione, che dice: “Estamos bien, no nos quejamos, algunos nacen, otros se mueren”. Il tema della gravidanza (el embarazo) è la chiave dello spettacolo e si presenta attraverso i corpi maschili: nel prominente pancione di Relicario Iglesias, la guida del pubblico che più volte afferma che “la criatura está por nacer en
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cualquier momento”, e nel corpo di Mecha, anch'egli “embarazado”, che partorisce senza tregua bambini da appendere alla corda. Il termine stesso “embarazar” si carica di nuovi significati: il verbo deriva dal portoghese “baraça” che significa laccio, cordone, “cordel”, con in più il prefisso “en”, che sta etimologicamente per “impedimento”.
Ma il “cordel” non rimanda forse anche al cordone ombelicare, al funicolo che collega placenta e feto? Il cordone altro non è che quel laccio che lega indissolubilmente madre e figlio, e rappresenta al tempo stesso l’unione e il dolore della nascita, il taglio, il trauma del distacco, il buio rincuorante e gli abbagli della luce, la sicurezza e il disequilibrio dell’esistenza.
Lo spettacolo sembra dunque contenere risvolti e sfumature non immediati da cogliere, così immagini che in determinati momenti della rappresentazione acquistano un significato allegorico, in verità si caricano continuamente di sensi ulteriori, riconoscibili dallo spettatore che guarda e costruisce il suo personale, unico spettacolo. Allora, Los chicos del cordel non è propriamente uno spettacolo, ma più spettacoli insieme, storie nelle storie, personaggi dentro altri personaggi, mondi altri da quelli presentati realisticamente sulla scena.
Gli agenti della riproduzione sono esseri androgini141, dai quali nascono figli prodotti in serie, che arrivano in un mondo nel quale non trovano alcuna collocazione. Viene perciò assegnato loro un luogo di mezzo che li disumanizza: la corda dove si appendono i panni ad asciugare. Convertiti in oggetti riprodotti meccanicamente, essi sono, come articoli appartenenti al mercato dei consumi, soggetti alla soddisfazione del cliente e, se danneggiati, vengono restituiti per essere riparati. “Los chicos”, il futuro dell'Argentina, subiscono la stessa mancanza di protezione e sicurezza sociale. L'individuo adesso è esiliato non solo dall'economia, dalla politica, dalla società, dalla cultura, ma anche dalla sua stessa vita. I bambini rappresentano la categoria della popolazione che, insieme alla donne incinte, ha sofferto maggiormente la crisi del paese.
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Psicologicamente l'androginia rappresenta una formula (come quasi tutte le formule mitiche) della “totalità” attraverso l'integrazione dei contrari. Questi personaggi androgini che riuniscono visibilmente e grazie alle protesi e al trucco le caratteristiche di entrambi i sessi, possono suggerire la persistenza di un'utopia che si presenta come l'ideale ritorno di un'unità perduta. Cfr. Lola Proaño-Gómez, Poéticas de la globalización
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Vale la pena ricordare che nel 2002 l'Argentina contava ventuno milioni di poveri, ovvero il 54,3% della popolazione, di cui i bambini di età inferiore ai quattordici anni costituivano il 75%, secondo i dati pubblicati nel Diario Clarìn di Buenos Aires nel gennaio dello stesso anno.
In questo spettacolo il corpo femminile funziona come una metafora della politica e della società. L'immagine della donna “madre-patria”, tradizionalmente usata per rappresentare il paese e il suo futuro, si smonta in queste immagini di madri/padri travestiti, i cui figli non producono nulla di sano per la nazione. Le generose prostitute, coi loro petti prominenti, sembrano affermare i caratteri femminili di cura, alimento e vita, allontanandosi dal significato erotico che hanno tradizionalmente. Nella strada, trasformata in scena teatrale, ci sono le madri e le prostitute insieme. Entrambe atavicamente recluse tra le mura delle case e dei bordelli, invadono le strade del barrio, realizzando una duplice trasgressione: non soltanto rinunciano all'isolamento, ma arrivano perfino a condividere il medesimo spazio.
La vicinanza dei corpi obbliga non solo gli attori tra loro, ma anche il pubblico, a riconoscersi come parte della comunità: ogni cittadino (attore o spettatore che sia) si vede costretto a muoversi in mezzo agli altri, a sentire la vicinanza di corpi estranei, a stabilire inedite relazioni fisiche. Anche quando possono costituire un ostacolo alla vista dello spettacolo, i corpi aggiungono la sensazione di convivenza, di solidarietà. Così l'individuo “inmerso en la moltitud, vuelve a encontrar la condiciòn comunitaria, las fronteras personales y las del cuerpo se disuelven.”142
Il percorso lungo il barrio stimola la sensorialità, oltre che la riflessione. A differenza del teatro erudito, dove il corpo dell'altro può anche non essere riconosciuto, perché ciò che conta sono le parole, la vista e l'ascolto, il teatro di strada privilegia il contatto corporale. L'invito a superare l'individualismo non solo si palesa attraverso il contenuto dello spettacolo, ma si concretizza nella modalità di fruizione.
Il linguaggio di questo spettacolo si può leggere come una protesta che esprime la tensione tra i cittadini e al tempo stesso la ricerca di un'identità comunitaria, con la speranza di promuovere nuovi modelli culturali alternativi
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al capitalismo neoliberale. Come afferma Talento: “estamos desarollando la creativitad y tambien una forma de resistencia y creación a partir de una realidad adversa.”