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Il teatro comunitario: da “esperienza” a “fenomeno”

III.5. Matemurga de Villa Crespo: storia di un’identità “inventata”

III.5.1. Zumba la risa, ovvero il teatro della risata

Il secondo spettacolo della compagnia debutta nel 2009, ma la sua genesi risale già al 2006. Quando il gruppo comincia a riunirsi nel club Atlanta, si sviluppano le prime idee intorno a un lavoro sul tema della risata. Nel 2007, Matemurga si trasferisce nel cortile della scuola Ferreyra, uno spazio enorme, dove era possibile provare con assoluta calma e autonomia e sperimentare, come mai prima, il meccanismo del gioco in tutte le sue possibili interpretazioni.

Le riflessioni dei vecinos rappresentano un materiale molto importante per provare a ricostruire la vita della compagnia durante gli anni. Nella scuola giocavano a piangere come bambini, a muggire, ruggire, a schiamazzare come adolescenti: «Jugábamos a reír. A reír fuerte. ¿Cómo era esa risa perdida? ¿En qué momento de nuestro pasado social se había escurrido? Reíamos hasta que la cara nos dolía163».

Il tema del riso ridefinisce le sue funzioni e le sue modalità poetiche nella nuova cartografia culturale della Post-dittatura, e non a caso Matemurga decide di farci uno spettacolo intero.

I personaggi, nati anno dopo anno, a partire dalle improvvisazioni degli attori, sono legati da un solo comune denominatore: la perdita della risata. Il pensiero che sta alla base della messa in scena di quest’opera è radicato, come sempre accade nel teatro comunitario, all’interno del contesto storico che i cittadini del gruppo stavano vivendo. Il tentativo era quello di capire cosa avesse scatenato la tristezza, la malinconia e il pianto collettivo e in che modo, attraverso quali espedienti, fosse possibile recuperare l’armonia preesistente. Esiste un prima, dunque, un passato al quale il gruppo sembra rifarsi, e che pare risiedere nelle forme popolari di espressione, dal canto corale, alle maschere carnevalesche, a una comicità intelligente ma comprensibile a tutti. La storia non è storia, piuttosto un filo conduttore, rappresentato dal personaggio del fotografo, intento, con la sua macchina, posta all’angolo della sala, a immortalare i vezzi e le isterie degli altri personaggi: tutti, in gruppo come in una foto scolastica di fine anno, provano a ridere, ma lui non è convinto di ciò che vede: «No, no… esto no es risa», il leitmotiv dell’intero spettacolo.

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La canzone iniziale, che si ripete in altri momenti della rappresentazione, è molto eloquente. Se poi la immaginiamo cantata in coro da più di cinquanta cittadini mascherati il risultato è esilarante:

Zumba la risa rabiosa, la risa procaz, truena la risa volcánica, roja, mordaz, grita y golpea en el pecho que quiere salir, aunque quisieron matarla, no quiere morir. Risa furibunda, desatada,

voz escandalosa y lenguaraz, risa desafiante, carcajada,

¿cómo te olvidamos? ¿Dónde estás? Risa que es ronquido de insolencia, goce que el olvido devoró. Risa y carnaval, desobediencia, grito que la historia nos robó.

Zumba la risa rabiosa, zumba la risa rabiosa, zumba la risa rabiosa164.

Lo spettacolo viene concepito in un momento storico particolare per Buenos Aires, in cui le conseguenze della crisi e della desolazione hanno avuto ripercussioni fortissime sulla vita sociale dei cittadini argentini, sull’economia, la comunicazione, la politica, le arti. Il teatro comunitario, dal canto suo, essendo un’espressione collettiva privilegiata, in quanto autentica, ingenua, scevra da inganni politici, riesce a rispecchiare le inquietudini e le utopie di quegli anni. I cittadini di Matemurga cercavano la risata vera, non quella ufficiale, ossequiosa, conciliatrice, ma una risata critica, scomoda, quella dimenticata.

Cuando reímos, me refiero a cuando reímos de verdad, nos sacudimos de tal manera que aperacen, espasmos incontenibles, y nos brotan las lágrimas. El cuerpo se

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sacude, suda, transpira, se aflojan los esfínteres. En una palabra: nos ponemos impresentables.165

In questo contesto, infatti, la risata è diventata uno strumento di costruzione culturale senza precedenti. Da sempre, all’interno delle forme di teatro popolare, la risata ha costituito un mezzo di catarsi, di liberazione dalla prigionia delle relazioni quotidiane, di allontanamento delle emozioni negative; con il clima culturale ereditato dalla dittatura e dalle sue conseguenze sulla società argentina, la questione del riso si è complicata.

La risata opera come strumento di dissoluzione dei discorsi di potere, come una pratica di sovversione e inversione delle relazioni di autorità e sottomissione166. La satira funge da elemento dissacratorio nei confronti di alcuni dei pilastri della cultura dittatoriale: la famiglia, la religione, la politica. La risata permette infine di ripensare le tradizioni e rinnovare il passato argentino alla ricerca di nuove prospettive.

Durante la post-dittatura si assiste a una rivalorizzazione dei generi comici come il sainete, il grottesco, la rivista, il varietà, il circo criollo, la murga, il carnevale e il ritorno sui palcoscenici di alcune grandi figure legate alla tradizione popolare come Nini Marshall, Alberto Olmedo, Florencio Parravicini. A teatro non si ride come si ride solitamente in tv o alla radio. Il valore della risata può essere addirittura ribaltato: in televisione acquista connotati conformisti, sessisti, borghesi e portatori di valori culturali imposti dalla comunicazione mediatica globalizzata; alla radio, semplicemente, non è condivisa tra spettatori e attori, tra chi parla e chi ascolta, non esiste reciprocità. La risata teatrale, invece, è una sorta di contro-modello che si oppone dichiaratamente a quello televisivo, che pure fa incursione anche in alcune forme di spettacolo dal vivo come la rivista, il varietà, il music hall. All’interno del canone della molteplicità del teatro argentino, la risata viene posta al servizio di ciascuna poetica, diventando quindi di per sé un elemento molteplice e polivalente, adattabile alle più diverse singolarità teatrali. Nel teatro comunitario, essa esprime al massimo la sua potenzialità trasgressiva e

165 AA.VV., Matemurga, 10 años 2002-2012, cit., p. 100. 166

Cfr. Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa

nella tradizione medievale e rinascimentale, 1995. Sulla questione del riso cfr. Henri

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irriverente, più che catartica diventa sarcastica, non è espressione di un pensiero represso o di una frustrazione collettiva, quanto piuttosto una voce critica, virtuosa, portatrice di un’idea nuova che, prima di distruggere ciò che non va, prova a immaginare una strada migliore.

L’atto eversivo della risata è il punto di partenza del nuovo spettacolo. I cittadini di Matemurga sono alla ricerca di un riso rumoroso, rigeneratore, perché l’Argentina ha bisogno di ridere, di prendersi in giro e di ricominciare a vivere.

La risa tiene que hacer vibrar todos los cimientos. De este modo caerán las máscaras. La risa saldrá desde la boca del subte, asomará por las copas de los árboles, tocará los timbres de las casas. Todo ese estado de caos, esa situación de juego al borde del descontrol, tornará visible lo invisible.167

La scelta di un mezzo tanto popolare, inizialmente, rendeva perplessi molti dei

vecinos. Si temeva il rischio di una banalizzazione del loro pensiero politico,

soprattutto se confrontato con l’impianto drammatico della Caravana, dove si cantavano voci della resistenza. Il piglio critico cambia d’umore e Matemurga sprigiona un’energia contagiosa. Si racconta, in alcune pagine del libro-diario, la paura degli attori, l’ansia da prestazione, il timore del confronto con esperienze di teatro comunitario più rodate e, soprattutto, l’attesa del grande giudizio di Catalinas e Barracas, considerati punti di riferimento indiscutibili del movimento.

Superato l’esame dei maestri, Matemurga procede inarrestabile e, anno dopo anno, l’opera si arricchisce di nuovi significati, nuovi personaggi, nuovi componenti, per arrivare nel 2009 alla messa in scena completa dello spettacolo.

In definitiva, la risata – ritrovata – renderà visibile l’invisibile.

«Fue en este barrio, en esta calle, una noche, tal vez de carnaval. Quizás sucedió algo»168.

167 Ivi, p.125.

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III.6. Ipotesi di teorizzazione: tipologie di spettacoli e profili sociali