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Il contesto giuridico-filosofico del consolidamento dello Stato moderno come suprema potesta superiorem non recognoscens.

CAP 2. IL CONCETTO DI SOVRANITÀ ED IL SUO TACITO PROCESSO DI RELATIVIZZAZIONE.

2.1. La sovranità e la formazione dello Stato moderno europeo.

2.1.1. Il contesto giuridico-filosofico del consolidamento dello Stato moderno come suprema potesta superiorem non recognoscens.

Differenziandosi dalle forme di organizzazione politica precedenti – in particolare da quella che ha caratterizato il medioevo: il contratto di dominazione – e di tutte le altre forme precedenti, lo Stato moderno europeo ha introdotto nella storia del pensiero politico-giuridico occidentale la nozione di sovranità come il principio-guida che fondamenta la concentrazione delle attribuzioni del potere pubblico in un solo titolare e, di conseguenza, la possibilità che l’imperium su un dato territorio resti sintetizzato in quello stesso titolare: lo Stato.113

Fino all’inizio dell’età moderna il diritto era pensato come una situazione di fatto, come qualcosa esistente per sé, ossia, come qualcosa che si inserisce nel proprio ordine naturale del mondo e che, soprattuto, è identico all’ordine divino della Creazione.114 Pensare il diritto come un’ordine “posto”, come il prodotto di un comando che può essere anche meramente volontarista, sarà possibile soltanto dopo la fine del medioevo. La concentrazione dei poteri amministrativi, legislativi e giurisdizionali nella figura dello Stato sarà l’antitesi di quella realtà che, in particolare nel basso-medioevo (a partire dall’XI secolo), frammentava quei poteri in diverse comunità locali che non erano immediatamente vincolate alla soddisfazione degli interessi generali del Regno al quale si trovavano sottomessi, ma sì agli

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Maurizio Fioravanti, Lo Stato moderno in Europa (a cura di), Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 07-08, afferma che: “lo Stato moderno europeo ha evidentemente avuto, all’inizio del suo percorso, una prima forma in cui si trovano al massimo alcuni elementi che saranno propri delle forme che seguiranno, ispirate dal principio-guida della sovranità-politica: la tendenza del signore di collocarsi al centro di un dato territorio, o l’avvio dello stesso processo di concentrazione dei poteri d’imperium.”

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interessi e obiettivi privati degli individui che internamente componevano quelle comunità, come negoziare, possedere un patrimonio, imporre tasse ai propri membri e, entro certi limiti, fare l’amministrazione della giustizia.

L’ascensione dei signori feudali, situati in un piano gerarchicamente superiore a quello della nobiltà provinciale, è stata la più significativa causa della dissoluzione del potere politico del Regno in una miriade di piccole unità territoriali autocefale che, al contempo, sono divenute un vero punto di coesione di tutta la struttura feudale. I primi momenti del processo di formazione dello Stato moderno iniziano, infatti, quando nei secoli XIII e XIV avviene una lenta e graduale aggregazione di quelle unità territoriali autocefale che per secoli avevano identità giuridica propria. Quello che si vedeva era un insieme di situazioni empiriche che davano i primi passi verso la formazione di un corpo politico unitario come quello che nella modernità ha dato origine allo Stato.

Fu soltanto a partire dai contributi del pensiero politico dei secoli XV e XVI, specialmente con Machiavelli (1469-1527), che l’espressione “Stato” ha cominciato ad essere impiegata in un senso politico-giuridico, oltre al suo tradizionale senso meramente fisico e contingente.115 Più che un cambiamento – oppure innovazione – etimologica, questa nuova forma di pensare l’organizzazione politica si allontanava da qualsiasi possibilità di comprensione del potere politico basata su una legittimazione metafisica ed irrazionale, come molte di quelle situazioni che si vedevano fino a quel momento storico nel continente europeo, soprattutto quando nel medioevo l’ultima istanza di legittimazione politica restava affidata alla Chiesa cattolica, una volta che questa aveva l’auctoritas spiritualis sul mondo terreno. Si parlava in sovrano, nel medioevo, solo per riferirsi a un rapporto concreto stabilito tra parti che si trovavano gerarchicamente ordinate, cioé, per definire la superiorità esistente tra signore e servo, tra padre e figlio, per esempio.116

Ovviamente, questo modello di legittimazione politica non è una caratteristica esclusiva del medioevo: in tutte le forme di organizzazione del potere politico che sono state presentate precedentemente in Europa, possiamo rintracciare una autorità suprema che poco – oppure niente – aveva di fondamentazione logico-razionale.

Soltanto a titolo esemplificativo, si veda la concezione di autárkeian, la quale si vincolava alla polis dell’Antica Grecia in una proporzione somigliante al rapporto teoretico

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“Nel linguaggio di Machiavelli, che comincia a usare, soprattutto nel Principe (1513), questo termine nel suo significato moderno, esso conserva ancora più significati antichi, quale l’estensione territoriale o la popolazione o entrambi, come oggetto del dominio.” Nicola Matteucci, op. cit., p. 25.

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Cfr. Bertrand de Jouvenel, De la Souveraineté, Paris, Génin, 1955, trad. it. La Sovranità, Milano, Giuffrè, 1971, p. 213.

della concezione di sovranità con la nozione di Stato moderno. L’autárkeian si caratterizzava, secondo Aristotele, come categoria etica, ossia, destinata alla ricerca del bene comune e alla realizzazione della felicità (eudaimonia) del cittadino.117

Pur essere tutti gli ‘esseri’ capiti come avendo sua esistenza – e anche sua essenza (ontos) – relazionata con la ricerca di un bene, la città-Stato (polis) si trovava anche relazionata con la ricerca di un bene, però questo doveva essere il più grande di tutti i beni: il bene comune, l’autárkeian. Questo faceva sì che l’antica polis potesse essere intesa come un’esistenza svincolata da tutto il resto del mondo: la sua autosufficienza morale veniva considerata come sufficiente a sé stessa, visto che tanto la polis quanto gli uomini già avevano all’interno della stessa il loro telos (il fine ultimo, ragione di essere di ognuno) determinato e tutte le referenze assiologiche e deontologiche per guidare le loro condotte individuali. Una

polis non aveva bisogno del mondo barbaro o di qualsiasi altra sorella greca per compiere il

suo telos.118

Nell’idea aristotelica di polis esiste solo la necessità di indipendenza potenziale e rispetto di fatto da parte dell’estero; però la sua indipendenza non è basata sulla natura suprema, sovrana, della polis, ma sulla condizione di essere sufficiente a se stessa per soddisfare tutte le sue necessità morali, economiche e politiche.119 Dall’espressione

autárkeian non deriva un’idea di supremazia del potere, una volta che si costituisce soltanto in

uno stato (fisico e morale) di piena autorealizzazione; dal suo concetto non si può dedurre niente per quanto riguarda l’intensità e l’ampiezza interna oppure esterna del potere della

polis.120

Il punto dove il concetto di autárkeian più si allontanerà dalla moderna sovranità nazionale risiede nel fatto di essere quel concetto relazionato, in ultima istanza, alla nozione di giusto esistente nel kosmos e necessariamente vincolato alle volontà degli Dei, poichè sono solo questi che conoscono la verità assoluta, quella verità capace di spiegare il funzionamento complessivo del kosmos. Nell’Antica Grecia le nozioni di ethos, polis e kosmos sono

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“Every state is as we see a sort of partnership, and every partnership is formed with a view to some good (since all the actions of all mankind are done with a view to what they think to be good). It is therefore evident that, while all partnerships aim at some good, the partnerships that is the most supreme of all and includes all others does so most of all, and aims at most the most supreme of all goods; and this is the partnership entitled the state, the political association.” Aristotle, Politics. (1252, a, 1), Cambridge, Harvard University Press, 1950, p. 03.

118

“La Polis n’a pas besoin du monde barbare, elle n’a pas même besoin de ses soeurs, les autres cités de la Grèce, pour remplir sa tâche.” Georg Jellinek, L’état modern e son droit, Paris, Panthéon Assas, 2005, p. 74.

119

Cfr. Georg Jellinek, Allgemeine Staatslehre, Berlin, O. Häring, 1905, trad. it. La Dottrina Generale del

Diritto dello Stato, Milano, Giuffrè, 1949, pp. 43-44.

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intimamente legate, di modo che non sarebbe possibile all’autarkéian prescindere dal suo vincolo a questi ultimi.

La laicizzazione del potere politico nell’Occidente e la sua fondamentazione a partire dalla volontà del popolo non sono sufficienti per caratterizzare, di fatto, un potere sovrano. Nonostante nella Roma Antica il potere fosse attribuito al popolo – anche se solo in modo retorico – in gran parte del suo sviluppo storico, non possiamo trovare un concetto che sia somigliante alla moderna concezione di sovranità, una volta che era inconcepibile qualsiasi possibilità di comparare Roma a un altro potere situato di fianco o al di sopra della stessa. I romani utilizzavano espressioni come maiestas e potestas per designare forme di rappresentazione del potere dello Stato: il Senato ed il popolo, rispettivamente.121

In questo senso, si parlava in suprema potesta per caratterizzare l’integralità del potere politico, militare e amministrativo dello “Stato” romano. Nel periodo dell’Impero è sorta la parola imperium per rappresentare il potere del magistrato romano, così come il potere di comando che Roma aveva, sia politico che giuridico, su tutti i popoli e territori da lei dominati. Soltanto nel III secolo d.C. che l’imperium e la potestas passarano a concentrarsi nella figura dell’Imperatore.

Tuttavia, anche non avendo un accurato sviluppo teorico per quanto riguarda la sovranità, Roma ha goduto – come poche altre forme di organizzazione politica – degli effetti di una sovranità popolare e sfruttato delle prerogative che soltanto uno Stato sovrano possiede.122 Così come è successo con l’Antica Grecia, anche l’Antica Roma si sentì sovrana e con un potere incontestato sui propri territori, al punto che la necessità di una teorizzazione su un possibile concetto di sovranità diventasse vuoto e, in certa misura, inutile. Fu soltanto nel passaggio dal medioevo alla età moderna, con gli incessanti conflitti e incertezze quanto al reale potere degli Stati nei confronti dei loro pari e con la Chiesa, che è diventato necessario

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“Ces expressions ne disent rien quant au contenu et aux limites du pouvoir politique, quant à l’indépendence de Rome vis-à-vis des pouvoirs étrangers.” Georg Jellinek, L’état modern e son droit, cit., p. 78.

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“Il pensiero romano, sempre pratico, si rivolgeva alla realtà concreta; e pertanto, ad esso non si presentava il benchè minimo motivo di paragonare teoreticamente lo Stato romano con una qualsiasi altra potenza, che gli fosse accanto o al di sotto; e, quindi, di stabilire per esso una caratteristica speciale. Che anzi, il riconoscimento e l’accentuazione della sovranità si sarebbero trovati nella piena contraddizione con la politica romana, la quale ai popoli «qui maiestatem populi Romani comiter servant» lasciava volentieri la parvenza d’indipendenza statale. Espressioni come maiestas, potestas ed imperium designano la grandezza e la potenza del popolo romano, il potere di comando civile e militare; ma non dicono nulla nè circa il contenuto e i limiti del potere statale, nè circa l’indipendenza di Roma di fronte a poteri stranieri. La definizione dello Stato data da Cicerone, l’unica tramandataci di un Romano, resta per chiarezza e precisione considerevolmente dietro a quella di Aristotele. Bene, a Roma, fino ad epoca tarda è viva l’idea che è il popolo la fonte di tutti i pubblici poteri; ma la questione di chi, nello Stato, abbia il potere supremo è – come si è accennato – tutt’altra che quella circa la sovranità dello Stato.” Georg Jellinek, Allgemeine Staatslehre, trad. it. cit., p. 46.

elaborare concezioni teoriche capaci di determinare e valutare l’ampiezza del supremo potere politico dello Stato, ossia, definire un concetto di sovranità.

Abbiamo già riferito precedentemente che il moderno uso dell’espressione “Stato” possiede radici nella teoria politica di Machiavelli. Benchè lui non sia stato filosofo ma scienziato politico, è proprio con l’autore del celebre Il Principe che si è cominciato a comprendere la parola “stato” non solo come una situazione – oppure condizione – fisica, ma anche come la denominazione dell’ente responsabile per dare unicità, stabilità, continuità e trascendenza temporale al potere politico.123

Comunque, il pensiero di Machiavelli non era occupato dalla problematica della sovranità, poichè il momento socio-storico nel quale il fiorentino viveva non richiedeva la comprensione dello Stato come potere impersonale ed assoluto, capace di concentrare in sé le funzioni legislative, giudiziarie e esecutive.124 Le considerazioni di Machiavelli sullo Stato non rappresentavano un modello di organizzazione politica impersonale e destinato alla difesa dell’istituzione, come succede con lo Stato moderno: lui pensava lo stato come dominio, possesso e proprietà – del Principe – su un territorio specifico.125

L’imprescrittibilità, uno dei principali attributi della sovranità, era difesa in modo implicito da Machiavelli, in una delle sue più importanti opere, Discorsi sulla prima deca di

Tito Livio, rendendo evidente il profondo legame esistente tra stato e Principe:

Talché, felice si può chiamare quella republica, la quale sortisce un uomo sí prudente, che gli dia leggi ordinate in modo che, sanza avere bisogno di ricorreggerle, possa vivere sicuramente sotto quelle. E si vede che Sparta le osservò più che ottocento anni sanza corromperle, o sanza alcuno tumulto pericoloso: e, pel contrario, tiene qualche grado d’infelicità quella città, che, non si sendo abbattuta a uno ordinatore prudente, è necessitata da sé medesima riordinarsi. E di queste ancora è più infelice quella che è più discosto dall’ordine; e quella ne è più discosto, che co’ suoi cittadini è al tutto fuori del diritti cammino, che la possa condurre al perfetto e vero fine.126

123

La denominazione Stato (di origine nella lingua latina, status = “ciò che sta fermo”) significa una situazione permanente di convivenza nella società politica, di modo che appare per la prima volta in “Il Principe”, di Machiavelli, nel 1513, e comincia a venire utilizzata dagli italiani sempre per designare il nome di una città indipendente, come, per esempio, stato di Firenze. Durante i secoli XVI e XVII l’espressione “Stato” appare anche negli scritti dei francesi, inglesi e tedeschi. In Spagna, fino al secolo XVIII, si utilizzava anche la denominazione di “Stati” a grandi proprietà rurali privati, in cui loro proprietari avevano potere giurisdizionale. È certo comunque che il nome Stato, indicando una società politica, appare nel secolo XVI, e questo è uno degli argomenti contro gli autori che non riconoscono l’esistenza dello Stato prima del secolo XVII. Cfr. Dalmo Dallari, op. cit., p. 51.

124

Cfr. Thierry Ménessier, Principauté et souveraineté chez Machiavel, in G. M. Cazzaniga et Y. C. Zarka (a cura di), Penser la souveraineté, Paris, Vrin, 2001, pp. 28-29.

125

Cfr. Thierry Ménessier, op. cit., p. 29.

126

La difesa della continuità politica è conseguenza dell’idea che un ente politico capace di conservarsi attraverso i secoli significherebbe la possibilità di sviluppo di un modello di organizzazione socio-politica che non restasse, in assoluto, abbandonata alle contingenze e circostanze politiche che potevano portare allo smantellamento di una repubblica o regno. Nel concetto di imprescrittibilità si trova compresa la nozione di perpetuità, ossia, l’assenza di limitazione temporale. Però, in questo caso era una perpetuità che preservava la sua essenza in modo che il decorso del tempo non rappresentasse una diminuzione del potere sovrano.

Il fatto di essere la politica machiavellica pienamente indipendente da qualsiasi criterio che non sia sufficiente per rendere possibile la consecuzione dei fini – oppure semplicemente per giustificarli –, ci permetterà di trovare in Machiavelli uno abbozzo di un concetto di Stato svincolato da qualsiasi sorta di compromessi etici, morali e religiosi. Si può vedere questo amoralismo ateo anche quando il maestro fiorentino sosteneva che

La quale cosa merita di essere nota ed osservata da qualunque cittadino si truova a consigliare la patria sua: perché dove si dilibera al tutto della salute della patria, non vi debbe cadere alcuna considerazione né di giusto né d’ingiusto, né di piatoso né di crudele, né di laudabile né d’ignominioso; anzi, posposto ogni altro rispetto, seguire al tutto quel partito che le salvi la vita e mantenghile la libertà.127

Il Principe, ideato da Machiavelli, dovrebbe rivestirsi delle forme di volpe e di leone, perchè dalla prima riceverebbe l’astuzia e dal secondo la forza.128

Arrivando in Francia, nello stesso periodo storico, possiamo trovare in Jean Bodin (1530-1596) contributi teorici decisivi al consolidamento e alla configurazione delle nozioni di Stato moderno e di sovranità. Egli non dissociava la funzione ed il carattere della funzione, neanche il potere e la qualità del potere, concedendo che la sua comprensione di sovranità si assomigliasse formalmente alla descrizione politico-giuridica del Principe. Il successo della sua dottrina è dovuto anche al fatto che l’Assolutismo Monarchico si trovava nel suo apogeo, essendo il re di Francia uno dei più appropriati destinatari della dottrina politica di Bodin – semmai non ne sia stato anche l’ispiratore.

127

Niccolò Machiavelli, Discorsi..., cit., p. 323.

128

“Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione: perché il lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi: coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono.” Niccolò Machiavelli, Il Príncipe, Roma, Newton&Compton, 2005, p. 73.

A partire da una flagrante preferenza per la monarchia, Bodin affermava che “souveraineté est la puissance absolue et perpétuelle d’une République”129 – definizione che in pochi anni sarà diventata classica nello Stato moderno130 –, e ha attribuito alla sovranità alcune caratteristiche che si sono affermate nella storia come punti di riferimento teorici del pensiero politico moderno: 131

x Il potere di legiferare ed imporre la legge a tutti e ad ognuno in particolare. x Il potere di fare la guerra e di concludere la pace.

x Il potere di nomina dei titulari di uffici elevati.

x Il potere di essere l’ultima istanza di ricorso nei processi giudiziali. x Il potere di concedere indulto e grazia.

x Il potere di imporre, maggiorare ed estinguere imposte. x Il potere di battere moneta.

Prima di Bodin nessuno aveva mai definito lo Stato come un “droit gouvernement de plusieurs ménage et de ce que leur est commun avec puissance souveraine.”132 La scienza politica medievale non conosceva un modello di organizzazione politica come quello presentato da Bodin: dotato di potere indipendente e sovrano, tanto nei confronti dell’estero quanto con i suoi domini interni, e la cui rappresentazione avveniva tramite un agente impersonale denominato ‘Stato’.133

Il potere sovrano è un potere che, dentro la sua competenza, non trova nessun altro superiore, essendo che la nozione di sovranità esprime un’idea negativa, ossia, significa l’assenza di subordinazione.134 Si tratta di un potere superlativo, poichè indica più che una

forma di potere: indica il proprio contenuto sostanziale. La sovranità comporta un insieme di poteri determinati che non appartengono a nessun altro e il cui godimento rappresenta l’investitura al più alto livello di dominazione politica.135

129

Jean Bodin, Les six livres de la Republique, Geneve, 1629, Livro I, Cap. VIII.

130

“Nel titolo dell’opera Six Livres de la République, la parola respublica già deve essere tradotta con ‘Stato’.” Carl Schmitt, Der Nomos der Erde, trad. it. cit., p. 143.

131

Cfr. Jean Bodin, op. cit., Livro I, Cap. X.

132

Jean Bodin, op. cit., Livro I, Cap. I.

133

Cfr. Georg Jellinek, L’état modern e son droit, cit., p. 96-97.

134

“(…) souveraineté designe un pouvoir qui n’en admet aucun autre au-dessus de lui, une puissance qui, dans la sphère où elle est appelée à s’exercer, ne relève d’aucune autre.” Georges Burdeau, Traité de Science Politique, tome II, Paris, Librarie Generale de Droit e Jurisprudence, 1949, p. 265.

135

Nel contempo che a Machiavelli si deve l’idea di imprescrittibilità della sovranità, a Bodin si attribuisce – oltre alla prima definizione già presentata sopra – l’unicità della sovranità. Prima di questi due autori si poteva pensare nell’esistenza di una sovranità esterna, nello stesso senso di quella suprema potesta che gli imperatori romani, i princìpi e re possedevano, permettendo che questi fossero riconosciuti come indipendenti dai loro pari quando in rapporto diretto con questi.136 La logica medievale della sottomissione del diritto interno al jus gentium fu superata dal modello di legittimazione politica presentata con lo Stato moderno: il principio dell’unicità concentrava nello Stato tanto la qualità di essere l’origine del potere pubblico quanto la prerogativa di riconoscere diritti già esistenti o delegare poteri a terzi.

A dispetto di Bodin aver descritto – e attribuito – caratteristiche peculiari ad un ente politico illimitato ed assoluto, è d’uopo ricordare che secondo lui la sovranità del principe non