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La tacita relativizzazione della sovranità: un sottoprodotto della globalizzazione.

CAP 2. IL CONCETTO DI SOVRANITÀ ED IL SUO TACITO PROCESSO DI RELATIVIZZAZIONE.

2.3. La tacita relativizzazione della sovranità: un sottoprodotto della globalizzazione.

La relativizzazione della sovranità statale è un processo che poco si assomiglia alle limitazioni che il potere sovrano viene soffrendo dalle grandi rivoluzioni europee e nordamericane del Settecento e Ottocento, le quali avevano come finalità di definire, delimitare e rendere prevedibile la sfera di attuazione dello Stato nei suoi rapporti con i sudditi (o cittadini); non si trattavano di processi destinati all’usurpazione del potere, ma al suo condizionamento, una volta che, anche dinanzi alle limitazioni imposte, restava ancora attribuita allo Stato la prerogativa di, in ultima istanza, decidire sulle materie più importanti della società civile.

Molto già si ha detto sulla ‘crisi dello Stato’239 durante il XX secolo, ma quello che oggi si definisce come ‘crisi dello Stato’, cioè, la perdita della capacità di mantenere l’unità

239

La bibliogragia su questo tema è vastissima, ma riferiamo qui Santi Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano, Giuffrè, 1969; Agostino Carrino, Sovranità e Costituzione nella crisi dello Stato moderno, Torino,

interna propria del potere pubblico e la perdita di far valere la sua sovranità esterna nel dominio economico240, va oltre la condizione di una crisi o di un momento di discussione sui fini dello Stato per quanto riguarda l’economia. Occorre, di fatto, un continuo e non pienamente dichiarato trasferimento degli attributi della sovranità economica dello Stato alla tutela di agenti nonstatali il cui impegno politico e sociale è sconosciuto.

Questa relativizzazione del concetto di sovranità statale, tacitamente iniziata alla fine dell’Ottocento e aggravatasi negli ultimi decenni del XX secolo, si costituisce in una serie di processi che vanno al di là di una crisi decorrente dalla mera limitazione del potere statale: cercano di rimuovere determinate prerogative che storicamente caratterizzano lo Stato moderno dalla sua origine e attribuirle ad agenti che ipoteticamente sarebbero impersonali o indefiniti, come se fossero astrazioni sintetizzate in espressioni come ‘mercato internazionale’, ‘mercato globale’, ‘volontà del mercato internazionale’, tra altri gerghi privi di una minima oggettività.

Tuttavia, in tre settori dello Stato è possibile parlare – anche se possa sembrare troppo forte – dell’avvenimento di un reale trasferimento di potere sovrano dal pubblico al privato: nell’ambito dell’economia, dove agenti – chiaramente determinabili e che infra lo cercheremo di fare – agiscono attivamente guidando e dettando le regole del mercato internazionale, nell’ambito della politica, dove dalla Lega delle Nazioni esiste una tendenza a universalizzare l’occidentale e trasformare ognuno dei suoi princìpi in una sorta di ‘assioma-guida’ dell’umanità, e nell’incipiente ambito giuridico internazionale, nel quale si cerca – con scarsi successi, sotto una prospettiva minimamente positivista – d’implementare una giurisdizione internazionale capace di dare effettività alla sintesi dei richiami di regolazione peculiare a ognuno dei due ambiti precedenti.

In questo senso, a causa della profonda prossimità esistente tra l’ambito giuridico e quello politico, divideremo la nostra analisi del processo lato sensu di relativizzazione della sovranità in due campi specifici: (1) economico e (2) politico-giuridico.

Il principio cuius regio eius oeconomia, assicurato, soprattutto, dopo la Pace di Westphalia come inerente alla sovranità dello Stato moderno, è diventato obsoleto nei secoli XIX e XX, facendo in modo che, nella società globale del XXI secolo, sembri qualcosa di assolutamente incompatibile con le realtà dei mercati nazionali e internazionali. La capacità di determinare come le risorse economiche sarebbero allocate all’interno della catena produttiva

Giappichelli, 1998; Roberto de Mattei, La sovranità necessaria. Riflessioni sulla crisi dello Stato moderno, Il Minotauro, 2001; e Sabino Cassese, La crisi dello Stato, Roma-Bari, Laterza, 2002.

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e come il tema della manodopera sarebbe trattato – dalla formazione fino ai livelli di remunerazione – sono prerogative che lentamente vengono rimosse dal potere statale e affidate agli agenti la cui natura non sempre è vincolata ai princìpi che orientano la politica socio-economica dello Stato.

Precedentemente (vedi 1.2, supra), abbiamo sostenuto che i principali agenti che agiscono attualmente nei mercati internazionali sono: (1) imprese multinazionali, (2) imprese transnazionali e (3) investitori privati orientati dai rapporti (reports) di fondi di investimento che stabiliscono criteri universalmente validi e determinanti alla stabilità delle economie nazionali come, per esempio, il risk country e l’investment grade. Parallelamente a questi agenti, troviamo che l’uso d’incentivi statali e sussidi dei paesi che ospitano le direzioni delle grandi imprese (multinazionali e transnazionali) sono conseguenza non di alcune pratiche isolate in quei paesi, ma sono il prodotto di politiche che cercano di dare pieno sostegno all’attuazione e alla crescita di tali imprese nel mercato internazionale, visto che è a quei paesi che ritornano i profitti e dove si verifica una grande concentrazione di investimenti esterni diretti.241 Pertanto, è possibile inizialmente stabilire che la relativizzazione della sovranità è un processo tacito che possiede due beneficiari definiti, i quali cercano di allargare la loro capacità e la sfera di azione, di controllo e lucratività all’interno dell’economia internazionale: (1) le grandi imprese multinazionali e transnazionali, e (2) gli Stati che ospitano e offrono loro supporto interno per competere nel mercato internazionale con rischi minimi.242

Gli ultimi decenni del XX secolo si sono contraddistinti per una serie di proposte dirette al libero commercio, alla deregulation, alla privatizzazione delle attività vincolate allo Stato, alla liberalizzazione dei mercati di capitali e, soprattutto, alla minimizzazione – o estinzione – del carico tributario imposto dagli Stati nazionali; queste proposte sono state definite da J. Stiglitz come Washington Consensus, e implementate con una fede catechizzatrice dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale nei paesi in via di sviluppo. L’impatto negativo di molte di queste proposte è arrivato ad ambiti accademici che vanno oltre l’economia. Il sociologo Z. Bauman ha sostenuto che “aprire tutte le porte e abbandonare ogni idea di autonomia nella politica economica è tuttavia la precondizione, che

241

Paul Hirst denomina Tríade il gruppo composto da Stati Uniti, Europa e Giappone, il quale, oltre a concentrare l’investimento estero diretto, è anche responsabile della grande parte di regole sul funzionamento della economia mondiale. Cfr. Paul Hirst, The global economy: myths and realities, in ‘International affairs’, vol. 73, 1997, p. 410; e P. Hirst e G. Thompson, Globalization in question, cit., pp. 02 e 70-73.

242

Si veda il 1.2., supra, per una distinzione tra imprese multinazionali e transnazionali, e per un’analisi sul rapporto che loro possiedono con gli Stati di origine.

docilmente si accetta, per essere ammessi all’assistenza finanziaria delle banche mondiali e dei fondi monetari.”243

Tuttavia, sotto la prospettiva economica già abbiamo riferito qui (vedi 1.2, supra) che i suoi effetti sono stati, in generale, negativi per i paesi ai quali quelle proposte si destinavano, poichè finirono per esporre economie di paesi con strutture troppo deboli alle incertezze e incostanze dell’economia internazionale. D’altro canto, sotto la prospettiva politico- costituzionale dello Stato, l’adozione di quelle politiche insieme al consolidamento della globalizzazione economica, avvenuta nello stesso periodo storico, ha presentato una situazione nuova rispetto al concetto di sovranità statale: la capacità di controllo e comando sotto l’economia nazionale è diventata una prerogativa la cui esclusività non è più conseguenza del potere sovrano dello Stato, che nemmeno figura come il primo attore in questo contesto di competenza gerarchicamente scaglionata e divisa con altri agenti; la sua funzione passa ormai a essere secondaria, una volta che compete allo Stato definire soltanto delle politiche capaci di attrarre investimento estero diretto e permettere che questo trovi delle condizioni di infrastruttura (statali) per raggiungere i propri fini. L’orientazione macroeconomica è determinata senza considerare i confini dello Stato e disprezzando i princìpi politici, sociali, economici e morali che lo guidano.244

L’attività di regolamentazione e di controllo dell’adempimento dei contratti sembra essere l’unico residuo di sovranità economica conferita allo Stato, giacchè tutte le altre prerogative si trovano disperse tra agenti che non possiedono nessuna natura statale. Lo ‘Stato pedagogo’ adesso si chiama ‘Stato regolatore’, il quale “non indica fini, ma stabilisce regole e procedure e non svolge esso stesso l’attività di esecuzione, ma la affida ad autorità o di regolamentazione o di aggiudicazione.”245

In questo contesto, le agenzie regolatrici sono state presentate come la grande soluzione alla sensazione di insicurezza che tutte le economie aperte offrono ai propri cittadini – in particolare, quando si trovano nella condizione di consumatori – verso la mancanza di conoscenza delle politiche economiche vigenti e, soprattutto, verso l’incapacità dimostrata dallo Stato di decidere autonomamente la costruzione di un progetto politico-economico nazionale. Però, tra regolatore e regolato si stabilisce un rapporto multilaterale/orizzontale in cui non è possibile trovare l’antico rapporto bilaterale/verticale tra Stato (fonte del potere normativo) e cittadino (destinatario).

243

Zygmunt Bauman, Globalization: the Human Consequences, trad. it. cit., p. 71.

244

Paul Hirst, The global economy: myths and realities, cit., p. 420.

245

Inoltre, la propria natura giuridica di tali agenzie complica l’esercizio di un controllo efficiente sul comportamento delle imprese che dovrebbero essere controllate, una volta che la capacità di imporre sanzioni – molte volte limitata – accresciuta dalla partecipazione nella propria formazione dell’agenzia di rappresentanti di quelle imprese che dovrebbero essere controllate le rendono inefficaci e passibili di sottomissione totale al potere delle imprese. Commentando la realtà statunitense degli anni 70 del secolo scorso, George Stigler diceva che le agenzie e le commissioni di regolamentazione tendono a essere catturate dalle imprese che dovrebbero regolamentare, in modo che l’obiettivo principale, cioè la protezione degli interessi dei consumatori, finisce in secondo piano. 246

Oltre a ciò, quando guardiamo il momento attuale, possiamo vedere che casi come quelli della bancarotta delle imprese statunitensi Enron, Tyco e Global Crossing dimostrano che tali agenzie tendono a produrre un aumento della distanza dello Stato dal controllo dell’economia, che può attribuire un ampio margine di potere a individui svincolati da qualsiasi impegno con l’impresa che dirigono, con l’economia di cui fanno parte o con qualsiasi altro fine che non sia l’esclusivo beneficio personale. La globalizzazione economica fa in modo che gli effetti negativi di una cattiva (o corrotta) gestione non si restringa ai domini interni della impresa e a quelli che con essa hanno relazioni immediate: i mercati internazionali e i mercati nazionali di paesi che magari non abbiano la minima relazione con la impresa in bancarotta soffrono degli impatti che a priori sono impossibili di prevedere.

In questo senso, Stiglitz afferma che:

Oggi, almeno negli Stati Uniti, cominciano a dubitare delle opinioni, così strenuamente sostenute nei primi anni Ottanta, che propugnavano una più circoscritta presenza pubblica nelle attività economiche. La deregolamentazione non è più vista come un sicuro successo. Dopo una iniziale corsa all’entrata, l’industria del trasporto aereo ha cominciato a presentare quelle pratiche oligopolistiche, caratterizzate da alti prezzi, che la teoria economica – o almeno quelle teorie non impregnate del dogma competitivo – aveva previsto. Gli scandali nel settore bancario e nella trattazione dei titoli hanno portato a richieste di maggior sorveglianza e regolamentazione. Sembra che ci si preoccupi di più anche dei problemi sociali, come quelli posti dai senza tetto.247

La riduzione al minimo possibile della partecipazione statale nell’economia non è un processo con lo scopo di disperdere il potere sovrano in un ambiente acefalo, anarchico e

246

George J. Stigler, Theory of Economic Regulation, ‘Bell Journal of Economics and Management Science’, Vol. 2, n. 1, 1971, pp. 03-21.

247

Joseph Stiglitz, The Economic Role of the State, Oxford, Blackwell, 1989, trad. it. Il ruolo economico dello

senza destinatari determinati. La relativizzazione si succede in beneficio di agenti la cui azione nell’economia internazionale e la concentrazione di potere all’interno di questa è crescente, trasformandoli in veri sovrani. Metaforicamente, si può comparare la situazione dei tre agenti sopraccitati (grandi imprese multinazionali e transnazionali, fondi di investimento e Stati che concentrano l’origine del capitale) alla condizione che, nel corso del medioevo, regni, ducati e principati si trovavano verso la Respublica Christiana: tutti possedevano una sovranità di fatto sui loro territori, ma che decorreva dalla legittimità spirituale attribuita dalla

potestas spiritualis. La versione della Respublica Christiana attualmente presentata

dall’economia globale sarebbe la stessa economia globale, la quale possiede una logica interna che determina, condiziona e attribuisce legittimità a quelli che si trovano al suo interno. Altrimenti, così come succedeva nel medioevo, l’economia globale presenta anche i suoi ceti: i tre grandi agenti, anteriormente citati, fanno il ruolo che spettava ai regni, principati e ducati, ossia, sono la nobiltà; mentre a tutto il resto – comprendendo gli Stati nazionali e anche Stati che ospitano le grandi corporazioni, i quali paradossalmente diventano loro ostaggi – spetta il compito di obbedire a esse e giammai contestare la ‘verità’ imposta dall’attuale versione economica della Respublica Christiana, o per dire meglio, dall’economia globale.

Con la perdita della sovranità economica, lo Stato si trova come una tra le diverse sfere di regolamentazione economica stabilite all’interno della multicentrica economia mondiale; però, gerarchicamente situate sotto le istanze sopranazionali di controllo e regolamentazione.

Per quanto riguarda la prospettiva politico-giuridica della relativizzazione della sovranità statale, gli effetti sono ugualmente incisivi, ma con caratteri peculiari.

Malgrado il fato che anche alla società globale la “virtualità” delle relazioni umane – le cui sono, in diverse situazioni, determinate senza qualche specie di contatto o prossimità fisica – sia l’immagine emblematica in cui si sviluppano i principali processi di globalizzazione, si deve riferire che gli antichi (e schmittiani) elementi “terra” e “mare” rimangono essendo il tratto distintivo dello Stato e del suo modo di affermarsi dinanzi alle altre forme di organizzazione politica esistenti, poichè è a partire da criteri territoriali che lo Stato concede cittadinanza e limita la circolazione di persone e beni materiali, per esempio.

Così, per non avere la capacità di intervenire direttamente e fisicamente sullo spazio territoriale, i fenomeni presentati dal globalismo politico e giuridico sono caratterizzati dalla creazione di una serie di strutture pluristratificate destinate a condizionare e avvolgere gli Stati nazionali in politiche pubbliche globali, i cui argomenti includono temi come il

mantenimento della pace mondiale, la protezione ambientale, lo sviluppo economico, la repressione al crimine internazionale e la tutela dei diritti umani.248 I primi sforzi hanno successo quando il jus publicum Europaeum si trasformò concretamente in un diritto internazionale, cioè, alla fine del secolo XIX e inizio del secolo XX, soprattutto dopo la creazione della Lega delle Nazioni, la quale ha permesso che un ordine politico-giuridico internazionale potesse nascere.

Con il fallimento della Lega delle Nazioni, la sua erede, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, è apparsa quasi contemporaneamente all’inizio della Guerra Fredda, rendendo difficile il successo di qualsiasi tentativo di questa istituzione di produrre un approccio politico tra paesi che possedevano ideologie politiche distinte, poichè nel frattempo il mondo si divideva in due grandi blocchi di potere (Stati Uniti e URSS), tutti gli altri Stati erano costretti a unirsi a uno dei due. Rimanere solo significava non avere come certo il sostegno politico, militare e economico di nessun blocco.

È proprio in questo periodo che sono stati formati i grandi gruppi di integrazione sovranazionale (vedi 1.1, supra), creando quello che Z. Bauman ha chiamato di “meta- sovranità”.249 È precisamente in questo momento che si può chiaramente percepire l’inizio dell’attuale processo di relativizzazione della sovranità statale. Questa “meta-sovranità” riferita da Z. Bauman rappresenta più che una limitazione alla sovranità dello Stato: sono state trasferite ad una istanza sovranazionale alcune prerogative proprie della sovranità interna e esterna dello Stato, una volta che questo dovrebbe internamente sviluppare delle politiche pubbliche e economiche determinate dal blocco, essendo che esternamente le sue alleanze politiche e anche il suo jus ad bello sono condizionati dalla volontà “meta-sovrana” del blocco.

P. Hirst e G. Thompson sostengono che la ‘nuova’ sovranità può essere divisibile e alienabile, ma non ha perso la funzione centrale di attribuire legittimità e supporto alle agenzie o autorità che abbiano ricevuto prerogative proprie della sovranità statale; le autorità stabilite tanto ‘al di sopra’ quanto ‘al di sotto’ dello Stato trovano in questo la fonte di legittimità del suo potere e, di conseguenza, di esistenza.250 Gli Stati nazionali continuano ad

248

Cfr. David Held; Anthony McGrew, Globalization/Anti-Globalization, trad. it. cit., pp. 68-69.

249

Cfr. Zygmunt Bauman, op. cit., p. 77.

250

“Sovereignty is alienable and divisible, but states acquire new roles even as they cede power, and in particular they come to have the function of legitimating and supporting the authorities they have created by such grants of sovereignty. If ‘sovereignty’ is of decisive significance now as a distinguishing feature of nation-state, it is because the state has the role of a source of legitimacy in transferring power on sanctioning new powers ‘above’ it and ‘below’ it. Above – through agreements between states to establish and abide by forms of international governance. Below – through the state’s constitutional ordering within its on territory of relationship of power and authority between central, regional and local governments and also the publicly recognized private

avere rilevanza centrale nella funzione di distribuzione del potere, nell’attribuire legittimità, ordinare e dare forma ai poteri e agli agenti che da essi decorrono, perchè soltanto lo Stato- nazione possiede l’esclusiva rappresentatività politica del popolo che si trova sul suo territorio.251

Altrimenti, l’atto di cessione di parte del potere sovrano a terzi non si tratta di una azione puramente discrezionale da parte dello Stato. Ci sono fattori interni che fanno pressione sui governi perché questi adottino politiche che molte volte si concludono nella perdita del controllo di una determinata area, come, ex hypotesi, spesso succede dinanzi al mito che si consacrò nella economia internazionale che l’investimento estero diretto e le imprese multinazionali non possono essere attratte da paesi che non seguono fedelmente le regole del mercato internazionale.252 La sintesi di fattori di questo tipo, che sono economici, politici e culturali, fa sì che la sovranità politico-giuridica dello Stato resti coinvolta in un ambiente di costante e crescente pressione per regolamentazioni normative e giurisdizionali sovranazionali, le quali hanno come effetto immediato di limitare gli attributi della sovranità statale, soprattutto per quanto riguarda gli Stati che non possiedono una condizione politica e economica privilegiata nello scenario internazionale.253

La global expansion of judicial power – un’analogia a un fenomeno notevolmente statunitense, la expansion of judicial power, in cui il potere giudiziario interferisce direttamente sul potere esecutivo, condizionando la creazione di politiche pubbliche – fu citata da autori come N. Tate e T. Vallinder, negli anni 90 del secolo scorso, come una tendenza da essere importata dagli altri paesi del mondo e, in ultima istanza, dal diritto internazionale, poichè la democratizzazione dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa, oltre alla scomparsa

governments in civil society.” Paul Hirst e Grahame Thompson, op. cit., p. 276. Per ulteriori studi sulla proposta di P. Hirst sui rapporti tra Stato, mercato ed individuo, si veda anche From Statism to Pluralism. Democracy,

Civil Society and Global Politics, London, UCL Press, 1997; trad. it. Dallo statalismo al pluralismo. Saggi sulla democrazia associativa, Torino, Bollati Boringhieri Editore, 1999; e Associative Democracy, Cambridge, Polity

Press, 1994.

251

“Nation-states are still of central significance because they are the key practitioners of the art of governments as the process of distributing power, ordering other governments by giving them shape and legitimacy. Nation- states can do this in a way no other agency can; they are pivots between international agencies and subnational activities because they provide legitimacy as the exclusive voice of a territorially bounded population. They can practice the art of government as a process of distributing power only if they can credible presents their decisions as having the legitimacy of popular support.” Ibidem.

252

“The strong version of globalization thesis contends that national economies have simply been subsumed into world markets and that the power of such market forces either negates or render unnecessary any possibility of effective public governance, whether by nation-states, international agreements or supranational institutions.” Paul Hirst, The global economy: myths and realities, cit., pp. 410-411.

253

“Una prima conseguenza rilevante in tema di 'sovranità' politico-giuridica degli Stati è la crescente pressione