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Le necessità di riformulazioni teoriche imposte dalla concezione d

CAP 2. IL CONCETTO DI SOVRANITÀ ED IL SUO TACITO PROCESSO DI RELATIVIZZAZIONE.

2.2. I cambiamenti della nozione “territorialista” di sovranità propria dello jus

2.2.1. Le necessità di riformulazioni teoriche imposte dalla concezione d

mare liberum.

Dall’inizio della formazione delle prime civiltà possiamo trovare la terra come uno dei punti di riferimento alla costituzione politica e alla formazione giuridica di ogni società. L’uomo è un animale nato sulla terra e che su di essa ha costruito la sua storia. Ogni organizzazione costituzionale di uno Stato è un’organizzazione territorialmente delimitata, tanto che ogni misura, divisione e distribuzione è determinata a partire dalla terra.216

Nell’Antica Grecia, tutto che era passibile di diventare oggetto di deliberazione politica – e di conseguenza produrre effetti giuridici – poteva essere misurato attraverso il

nomos, ossia, la “misura che distribuisce il terreno e il suo suolo della terra collocandolo in un

determinato ordinamento, e la forma con ciò data dell’ordinamento politico, sociale e religioso.”217 Nonostante il nomos sia attualmente tradotto come “legge”, la sua funzione

215

Maurizio Fioravanti, Stato e Costituzione, cit., p.136.

216

Carl Schmitt, Der Nomos der Erde, trad. it. cit., p. 64.

217

essenziale era dividire, determinare e specificare quello che, secondo giustizia, era dovuto a ognuno. Realizzare il giusto legale (nomikon dikaion) rappresentava più che la mera attuazione delle leggi scritte: significava il rispetto alla divisione stabilita, oppure ad un’altra determinazione concreta, per quanto riguarda la terra e anche a qualsiasi altro bene a questa vincolato.

Nell’età moderna, la visione territorialista dello Stato sovrano, il quale arbitrariamente determinava un rapporto di proprietà verso tutto ciò che poteva conquistare, può essere percepita quando osserviamo il fatto che lo Stato determinava la sua situazione come essendo quella di un agente essenzialmente “monologante”, invece di “dialogante”, tra lui ed i suoi sudditi – includendo, soprattutto, i beni di questi –, poichè non riteneva necessario creare un ordine istituzionale nel quale i sudditi potessero partecipare – e dialogare – delle decisioni da lui prese, portando, così, questi ultimi nella passiva condizione di semplici destinatari dei comandi venuti dal potere sovrano.218 Al Sovrano, esercitare il dominium significa, esclusivamente, attuare il proprio potere sulla terra e sugli uomini che la abitano.219

La dimensione marittima del concetto di sovranità è un avvenimento caratteristico dell’età moderna. È stato necessario che accadesse la concentrazione di poteri pubblici nella figura dello Stato moderno, per avere le condizioni generali di espandere i limiti del suo dominio al di là degli inesplorati confini del mare. A partire dalle conquiste degli oceani, nel Cinquecento e nel Seicento, il diritto di esplorazione dei mari passa a essere guidato dal principio del res communis omnium, ossia, si trattava il mare come un bene di uso comune che a tutti era aperto, ma a nessuno apparteneva.220

D’altro canto, tanto nell’Antichità quanto nel medioevo, il mare era concepito come qualcosa di inesplorato e che presentava grandi difficoltà e avversità a quelli che sognavano di occupare questo nuovo spazio, tanto che molte volte fu considerato inesplorabile. L’horror

vacui, provocato da un orizzonte blu che sembrava non aver fine, produceva le più diverse

sensazioni di timore, angoscia ed afflizione. Le acque che fino all’inizio dell’età moderna sono state conquistate dagli europei si restringevano alle dimensioni ridotte di mari come il Mediterraneo, l’Adriatico e il Mare Morto. Carl Schmitt ricordava che “tutti gli ordinamenti preglobali erano essenzialmente terranei, anche se comprendevano domini marittimi e talassocrazie.”221

218

Maria Rosa Ferrarese, Il diritto europeo nella globalizzazione: fra terra e mare, in ‘Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno’, 31, 2002, p. 23.

219

Carl Schmitt, Der Nomos der Erde, trad. it. cit., p. 26.

220

Sul questo punto, si veda Benedetto Conforti, Il regime giuridico dei mari, Napoli, Jovene, 1957, pp. 20-56.

221

La storia del mondo, nell’antichità, nel medioevo o durante l’età moderna, era la storia di appropriazioni di terre e guerre i cui obiettivi, per diversi che fossero, avevano sempre la ricerca delle nuove conquiste territoriali come una delle cause preponderanti.222 Quello che le antiche guerre tra romani e barbari avevano in comune con le Crociate promosse dalla

Respublica Christiana è il fatto che, nella maggioranza degli episodi, era in ballo più che lo

“splendore di Roma” oppure la supposta legittimità che l’auctoritas spiritualis della Chiesa Cattolica aveva sul mondo terreno: la conquista spaziale era il fine più importante di tutta la teleologia della guerra, dove, allora, per spaziale si considerava sempre quello che aveva delle dimensioni territoriali.

Con le conquiste marittime del Cinquecento e del Seicento, il mare diventa un dilemma per il modello di Stato sovrano territoriale esistente, il quale non possiede tra le sue prerogative fondate sul principio di sovranità il diritto di autointitolarsi proprietario del mare. Il jus publicum Europaeum considerava ogni spazio territoriale del globo terrestre come di proprietà di uno Stato appartenente all’Europa, o come terreno conquistabile dal primo (Stato europeo) che lo scoprisse. Le conquiste marittime hanno iniziato un processo di divisione di questa comprensione essenzialmente territorialista del potere sovrano, facendo in modo che tutto dovesse situarsi in uno dei lati della contrapposizione terra e mare. Il commercio, le guerre, le relazioni internazionali e tutte le altre forme di espressione non soltanto del potere sovrano dello Stato, ma anche del modo come l’individuo si relazionava con quelli o quello che si trovasse al di fuori dei limiti territoriali del suo Stato, doveva ormai adattarsi alle regole che erano proprie del mare liberum.

Gli stessi riferimenti che valevano nel periodo dello ‘Stato territoriale’ continuarono a valere dopo le conquiste marittime e all’inizio della esplorazione dei nuovi territori conquistati: tutto possedeva una condizione elementare di ‘europeo’, poichè la logica utilizzata per definire la natura di qualcosa era esclusivamente eurocentrica. Con esso, tutti gli ordinamenti giuridici e politici dei territori conquistati dovevano appartenere allo stesso del conquistatore europeo, una volta che, nonostante la distanza fisica, questi e quelli passavano a formare un’unità a partire dal momento in cui si consolidava la conquista.

Oltre a vincolare gli spazi conquistati con un modello territorialista, la divisione del mare fu fatta in base alle linee globali immaginarie che cercavano di riprodurre sulla superficie instabile del mare la stessa idea che tradizionalmente era usata per dividire la terra in modo preciso ciò che apparteneva a uno o all’altro.

222

Le prime linee di divisione sono stati le rayas create da Spagna e Portogallo per dividire soltanto la proprietà dei loro territori, giacchè tutto che fosse conquistato faceva parte dello stesso ordine universale cristiano che metteva insieme quei paesi, e le amity lines per dividire gli spazi conquistati da Francia ed Inghilterra.223 Le rayas valevano in uno spazio geografico determinato tra due paesi, dove quello che non fosse del Portogallo sarebbe stato della Spagna e vice-versa, una volta che l’ordine medievale basato sulla Respublica

Christiana era ancora indirettamente presente in questa situazione. Tuttavia, le linee

d’amicizia tra gli inglesi ed i francesi avevano lo scopo di determinare quello che era il ‘Nuovo Mondo’: uno spazio – tanto in terra che in mare – giuridicamente vuoto che cominciava a partire da quelle linee di amicizia e non era sottomesso al jus publicum

Europaeum. Erano linee che, nonostante l’alto grado di imprecisione geografica, passavano a

ovest per il Tropico del Cancro ed a sud dell’Equatore, permettendo che al di là di queste linee vigesse unicamente il principio della libertà dei mari, però in un senso in cui “libertà vuol dire che la linea definisce un campo in cui si afferma il libero e spietato uso della violenza.”224

Indipendentemente dall’assenza di un ordinamento valido per le acque d’‘oltre mare’, le nozioni territoriali di proprietà privata, conquista e dominio continuavano a essere i princìpi-guida per i nuovi navigatori delle potenze europee. Parlare in mare liberum significava parlare di assenza di proprietario in relazione a tutto ciò che fosse trovato, con la possibilità, per il conquistatore, di investirsi liberamente di tutto che fosse possibile conquistare, anche se per questo fine fosse necessario decimare popolazioni complete di

indios e di impossessarsi delle terre che appartenevano loro da periodi immemorabili.225 La frontiera delle linee d’amicizia demarcava dove finiva l’ordinamento del jus publicum

Europaeum e qualsiasi nozione di civiltà che esistesse in Europa, rendendo possibile che la

controversa comprensione hobbesiana sulla natura umana presocietaria, dove homo homini

lupus226, passasse ad avere luogo proprio e partecipanti definiti: l’oltremare, cioè, la perfettibilità dello Stato di natura che Hobbes aveva studiato – ed immaginato – soltanto come ipotesi.

La divisione fatta dalle linee d’amicizia ha creato un universo non riconosciuto dalla prospettiva eurocentrica e che cominciava a produrre le proprie forme di sviluppo e autoriproduzione sistemica. Dopo le rivoluzioni dell’Ottocento, soprattutto con le guerre di

223

Carl Schmitt, Der Nomos der Erde, trad. it. cit., pp. 88-89.

224

Ibidem, p. 93.

225

Ibidem, p. 246.

226

indipendenza, il diritto internazionale eurocentrico già non poteva mantenere i suoi antichi fondamenti e pertanto fu forzato a convivere con la divisione del mondo in ‘Nuovo’ e ‘Vecchio Mondo’, in modo che degli effetti pratici di questo cambiamento si affermarono inizialmente soltanto nel Novecento e con maggior vigore nell’inizio del XX secolo.227

Possiamo sintetizzare l’influenza di questo processo di conquista dei mari riguardo il principio di sovranità in due modificazioni essenziali avvenute. La prima si riferisce ai limiti di frontiera dello Stato. Non sono più dei limiti territoriali che definiscono la dimensione spaziale dove lo Stato può esercitare il suo potere sovrano: dall’inizio dell’Ottocento, con la gittata dell’artiglieria costiera e le sue tre miglia, si aveva una distanza che si definì come l’estensione dei limiti marittimi dello Stato.228 Però, indipendentemente dal fatto che questi limiti finissero nel mare, il punto di riferimento rimaneva la terra ferma, dimostrando l’indissociabilità esistente tra lo Stato e la terra.

La seconda modifica è conseguenza del modello di guerra introdotto con le guerre marittime. Fino all’inizio delle grandi navegazioni la natura territoriale delle guerre era più che predominante, era definitiva, poichè anche popoli come i troiani, nell’Antica Grecia, e gli inglesi, lungo il medioevo, adottavano l’invasione via mare come una delle principali tattiche di guerra, ma il conflitto si sviluppava sul suolo ed era proprio su di esso che le guerre erano concluse. Quando l’Inghilterra si affermò come la più importante potenza marittima dell’Europa, nell’Ottocento, sembrava che il Behemoth, un mostro terrestre che simbolizzava gli Stati continentali, doveva ormai competere con la mitica balena che dominava i mari: il

Leviatano.229 L’Inghilterra diventava signora dei mari e detentrice di un impero mondiale capace di raggiungere – e avere possedimenti in – tutti i continenti del mondo; più che vincere molte delle battaglie in mare, ha prodotto una rivoluzione spaziale nella sua propria struttura: “ha veramente spostato la sua esistenza dalla terra all’elemento del mare.”230 Però, l’Inghilterra rimaneva come un’isola, staccata dal continente e con il mare come unico vicino immediato e anche come fonte di grande parte della propria ricchezza, ma, nonostante il suo profondo rapporto con il mare, non aveva perso ancora la propria natura territoriale.231

227

Carl Schmitt, Der Nomos der Erde, trad. it. cit., p. 103.

228

“È sorprendente osservare quanto a fondo sia penetrata la cifra delle tre miglia marine per deliminare la zona costiera, e come poi sia rimasta, tanto da essere ritenuta ‘codificabile’, inizialmente, ancora nei progetti di codificazioni dopo la prima guerra mondiale (1920-1930). La cifra, completamente svincolata dalla prospettiva originaria e dall’argomentazione che la sosteneva (la gittata dell’artiglieria costiera), si è mantenuta fino ad oggi inalterata nonostante lo svilupo e il potenzialmento della vis armorum.” Ibidem, p. 221.

229

Per ulteriori informazioni sul questo punto, si veda Filippo Ruschi, Leviathan e Behemoth: modelli egemonici

e spazi coloniali in Carl Schmitt, in ‘Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno’, 33/34,

2004/2005, pp. 379-462.

230

Carl Schmitt, Land und Meer, trad. it. cit., p. 55.

231

L’avvenimento più significativo di questo processo fu la creazione di un nuovo spazio politico-giuridico con il quale lo Stato territoriale possedeva un intimo legame: il mare. Guerre sono stati vinte su di esso, il commercio internazionale nel Novecento è divenuto assolutamente dipendente dal trasporto marittimo e l’identità delle navi, militari o civili, dimostrava più che la propria origine, una volta che passavano a essere un’estensione della sovranità dello Stato. La matrice territorialista continuava ad esistere, però ormai dotata di un profondo rapporto con il già non così sconosciuto mare.

Schmitt estese a tutte le altre scienze e sfere della vita umana gli effetti della rivoluzione creata dal superamento del paradigma territorialista della sovranità statale quando diceva che

Non è esagerato sostenere che tutti gli ambiti vitali, tutte le forme d’esistenza, tutte le forme di energia dell’umana forza creativa, arte, scienza e tecnica furono partecipi del nuovo concetto di spazio. I grandi mutamenti dell’immagine geografica furono solo un aspetto esteriore della profonda trasformazione indicata con il termine, così ricco di conseguenze, di ‘rivoluzione spaziale.232

Invece di aver prodotto un permanente confronto tra Leviatano e Behemoth, le nuove dimensioni presentate da questo spazio cognitivo, che porta terra e mare in un rapporto di intermittente prossimità e reciprocità, hanno consentito che un diritto internazionale non più eurocentrico potesse formarsi, creando, conseguentemente, la necessità di adattamento alla realtà da parte di un modello di potere sovrano dello Stato moderno che non era più in grado di conformare tutte le situazioni empiriche a partire dalla propria volontà suprema. Schmitt già aveva anticipato che da questa nuova relazione terra/mare formata dopo le grandi scoperte territoriali, avremmo visto “che l’antico Nomos viene certamente meno e con esso un sistema complessivo di misure, norme e rapporti che ci sono stati trasmessi.”233

2.2.2. Gli effetti della conquista dei cieli nel XX secolo: la sovranità intesa