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Il controverso caso dell’abito funebre di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468)

4. COME PRODUCE IL METODO DI LAVORO DEL SARTO PARTE

4.5. Vesti e tessuti: un patrimonio di memorie tecniche e material

4.5.1. Il controverso caso dell’abito funebre di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468)

Della parure funebre con cui Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, fu sepolto nel 1468, nel 1920 furono recuperati assieme ad altri oggetti rinvenuti nella sua tomba alcuni frammenti

186 di tessuto appartenenti a due tipologie tessili, un raso e un velluto. Nell’impossibilità di ricostruire i capi di abbigliamento, nel 1970 i reperti tessili furono affidati alla Fondazione svizzera Abegg per il loro restauro conservativo. Dopo essere stati esaminati, i vari frammenti furono separati in tre gruppi, il velluto in seta broccato del farsetto e la bordura di seta della cintura877, il raso in seta broccato della sopravveste e di un presunto manto. In mancanza di punti di riferimento, come per esempio resti di cuciture e tagli che avrebbero consentito il ripristino della parure funebre, i restauratori decisero di ricostruire sulla base dei frammenti superstiti il disegno di un rapporto completo del motivo del broccato in grandezza naturale e l’altezza originaria del tessuto. Questo intervento ha consentito di ottenere una pezza di cm 230x58878, cancellando ogni traccia sartoriale e causando la dispersione di alcuni frammenti tessili. Sulla base della descrizione effettuata durante la prima ricognizione della tomba di Sigismondo Pandolfo, avvenuta nell’estate del 1756, quando i resti del Malatesta erano ancora in ordine, si possono formulare alcune ipotesi circa i capi di abbigliamento funebri da questi indossati. In tale occasione furono visti un farsetto e una cintura nella parte più vicina al corpo, due capi di abbigliamento superiori, una sopravveste e un presunto mantello.

Tutti coloro che hanno studiato i frammenti tessili malatestiani tentando di ricostruire i capi di abbigliamento, hanno paragonato la sopravveste rinvenuta nella tomba di Sigismondo a quella con cui questi è raffigurato nei due celebri dipinti di Piero della Francesca. In entrambi il Malatesta indossa una giornea, le cui maniche aperte e pendenti, puramente ornamentali, fanno sembrare quest’ultima una mantellina. Sulla base delle prime testimonianze, l’abito trovato indosso allo scheletro di Sigismondo potrebbe tuttavia aver avuto un’altra foggia, paragonabile al vestito, dotato di maniche come l’abito descritto nella relazione settecentesca e sul quale poteva essere sovrapposto un mantello. La sopravveste, in origine di color morello (un colore bruno tendente al violaceo o al nero), si presentava riccamente increspata nella parte anteriore, era foderata di taffettà e profilata con frange di seta e oro. Indumenti come la giornea e il vestito compaiono nel ricco guardaroba appartenuto a Sigismondo Pandolfo Malatesta descritto nell’inventario di Castel Sismondo compilato dalla vedova Isotta quattro giorni dopo la sua morte, avvenuta a Rimini il 9 ottobre 1468879.

877 Tali reperti sono custoditi dalla Diocesi di Rimini.

878 La pezza di stoffa ricostruita è conservata presso il Museo della Città di Rimini.

879 E. Tosi Brandi, Un esempio di magnificenza signorile: il guardaroba di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Il

potere, le arti, la guerra. Lo splendore dei Malatesta, catalogo della mostra, Electa, Milano 2001, pp. 68-69; Ead., Il guardaroba di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in La veste funebre di Sigismondo Pandolfo Malatesta nel Tempio Malatestiano, in “Kermes. La rivista del restauro”, Nardini Editore, Firenze 2001, pp. 42-44; Ead., Le vesti funebri di

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4.5.1.1 Frammenti del farsetto funebre di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468)

I frammenti di tessuto appartenenti al farsetto con cui Sigismondo Pandolfo Malatesta fu sepolto nell’ottobre del 1468, furono recuperati assieme nella stessa ricognizione del 28 settembre 1920 di cui si è già parlato. In quella circostanza il sepolcro fu trovato manomesso, con i resti mortali del Malatesta confusi e mescolati ai vari reperti, fra i quali ciò che rimaneva dei capi di abbigliamento. La tomba aveva infatti subito una ricognizione il 21 agosto del 1756, documentata da un atto notarile e da alcune relazioni che testimoniano come tutti i reperti rinvenuti a quella data fossero in ordine e in stato di conservazione piuttosto buono. Purtroppo non è possibile sapere se la situazione documentata nel 1920 sia da imputare ai curatori della ricognizione del 1756 – che aprirono le vesti e spostarono ogni cosa - oppure a manomissioni successive a questa, in ogni caso i frammenti tessili giunsero ai restauratori in condizioni talmente precarie che non fu loro possibile ricostruire i capi di abbigliamento. Sulla base delle descrizioni settecentesche, le più antiche in nostro possesso, questi ultimi erano costituiti come già si è detto da un mantello, una sopravveste, un farsetto, una cintura e una camicia; non fu trovata traccia di altri capi di abbigliamento, quali copricapo, calze, calzature e guanti.

Del farsetto sono rimasti solo alcuni frammenti, fra i quali una parte della chiusura anteriore con asole e bottoncini, tracce della fodera e dell’imbottitura, numerosi occhielli, costituiti da cerchietti metallici, le magliette citate nei tariffari, con sopraggitto di filo sottile, e frammenti di piccoli ganci a uncino vale a dire le presette. Il farsetto di Sigismondo era imbottito, corto fino all’inguine, stretto in vita e allacciato davanti con una fila di bottoni rivestiti di velluto e posti sulla parte destra, che sembrano appartenere alla tipologia dei peroli, bottoncini a forma di pera. Interessanti risultano gli occhielli metallici con sopraggitto di filo e i piccoli ganci, uno dei quali rinvenuto ancora agganciato all’occhiello. È possibile che questi accessori siano da mettere in relazione e con la parte interna del farsetto, in genere provvista di un sistema di fermagli e passanti deputati a serrare la vita, e con la sua parte inferiore, alla quale venivano fissate le lunghe calze di panno che fasciavano le gambe. È inoltre possibile che tali reperti metallici appartenessero alle maniche: esisteva infatti un tipo di farsetto con maniche molto aderenti fornite di tagli (finestrelle) all’altezza della spalla, del

Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468). Alcune considerazioni, in “Penelope. Arte, Storia, Archeologia”, I, Rimini 2002, pp. 41-52.

188 gomito e lungo l’avambraccio, che servivano a dare agio ai movimenti; questi tagli, da cui fuoriusciva il candido sbuffo della camicia sottostante, venivano regolati attraverso stringhe passanti in magliette ad occhiello situate sulla spalla e sotto il braccio. Questi sistemi sono ampiamente documentati nei tariffari che sono stati precedentemente analizzati. Parte di questi possono anche essere messi in relazione con la sopravveste oramai completamente dispersa dal punto di vista sartoriale, che nella parte anteriore poteva essere provvista di una fila di occhielli per tutta la sua lunghezza. Ciò sarebbe dimostrato anche dai tariffari che prevedevano abiti aperti anteriormente e allacciabili con magliette ed occhielli.

Il farsetto di Sigismondo era stretto in vita da una cintura di velluto in seta, munita di fibbia metallica, molto interessante per la tecnica di tessitura a cartoni con cui fu realizzata. Si tratta di una bordura alta 4 cm, di cui rimangono soltanto 10 frammenti, guarnita di frange880.