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Gli statuti dei sarti nel XVI secolo: il caso di Modena

2. Il mestiere del sarto in Emilia-Romagna e in altre città italiane

2.4 Gli statuti dei sarti nel XVI secolo: il caso di Modena

A conclusione di questa parte dedicata agli statuti dei sarti emiliano romagnoli può essere utile riportare i capitoli dei sarti della città di Modena che ci sono pervenuti a partire dal XVI secolo593. Non tutto può essere confrontato con quanto finora analizzato, ad eccezione di alcuni capitoli dell’arte del 1534594. Si tratta di alcune disposizioni che aggiornavano precedenti statuizioni non pervenute e che, come quelli cesenati sopra descritti consentono di vedere in un lungo periodo i cambiamenti avvenuti nell’arte. Con ciò non significa che si intenda pretendere di poter estendere i casi di Cesena e di Modena anche altrove. Come si è già visto per Bologna, Ferrara e Reggio Emilia ogni realtà aveva proprie caratteristiche, tuttavia la maggior parte delle statuizioni relative all’arte dei sarti presenta elementi comuni non solo in Emilia Romagna ma, come tra poco si vedrà, anche in altre città. Ci si propone dunque di evidenziare i principali cambiamenti, che si ipotizza possano essere stati comuni anche altrove, avvenuti tra Quattrocento e Cinquecento all’interno dell’arte dei sarti, partendo dal caso modenese, non altrimenti documentato.

589 Ivi, capitolo 33. 590 Ivi, capitolo 55. 591 Ivi, capitolo 54. 592 Ivi, capitolo 53.

593 Presso l’Archivio di Stato di Modena si sono conservati documenti, tra i quali statuti, decreti, libri contabili dei sarti modenesi che tuttavia riguardano soprattutto il Seicento e il Settecento e qui non sono stati presi in considerazione. 594 Non è stato rintracciato il documento originale, di cui si è appresa l’esistenza da una pubblicazione a cui si farà riferimento: P. Fiorenzi, Le arti a Modena. Storia delle corporazioni d’arti e mestieri, Società tipografica modenese, Modena 1962, pp. 49-53.

111 Prima di passare all’esame dello statuto corporativo modenese, occorre precisare che non è pervenuta documentazione prodotta dall’arte prima del XVI secolo ma che tuttavia tra le leggi statutarie cittadine, così come si è visto per alcune città romagnole, è possibile rintracciare la presenza dei sarti e del loro lavoro. Gli statuti della città di Modena menzionano infatti in alcune rubriche questo artigiano fin dal XIV secolo, stabilendo che i sarti dovessero fare da mediatori tra i clienti che avessero voluto confezionare un abito presso la loro bottega e i venditori di tessuti, dai quali, precisava lo statuto, non potevano ricevere alcun compenso o regalo595. Simile disposizione si era già vista per Bologna. In un'altra rubrica le istituzioni cittadine vietavano ai sarti di bagnare i propri tessuti presso le fonti pubbliche596. Tale disposizione conferma che il bagno dei tessuti rappresentava un vero e proprio metodo di lavoro adottato dai sarti che consentiva, come già ipotizzato più sopra, di confezionare gli indumenti evitando che al primo lavaggio si restringessero e perdessero la forma datagli dal sarto sulla base della conformazione del cliente. Una fase che avrebbe dunque garantito la qualità del prodotto finale e che comportava la necessità di approvvigionarsi di una adeguata quantità di acqua. Una legge suntuaria contenuta nella stessa statuizione del 1327 vietava ai sarti di aggiungere a gonnelle o guarnacche femminili cavezzi cioè ritagli di stoffa ornati con oro, argento o perle di valore superiore alle 3 lire, così come strascichi di misura superiore ad un braccio del comune di Modena, pena una multa, così come agli orefici, di 10 lire di Modena597.

Tra basso Medioevo e prima Età moderna poco sostanzialmente cambia nell’organizzazione dell’arte. Come già visto per altre legislazioni corporative, quella dei sarti modenesi nella prima metà del Cinquecento continuava infatti ad eleggere i propri funzionari: massari, sindaci, notaio e nunzio, qui chiamato messo, con analoghe funzioni più sopra descritte ed esaminate. Tra i compiti dei massari, c’era quello di custodire gli statuti dell’arte, il libro della matricola, che veniva aggiornato per conto del notaio, e il pallio cioè un panno lugubre che avrebbe coperto il corpo dei consociati defunti, durante il giorno del funerale. Purtroppo non sappiamo null’altro a riguardo, tuttavia è interessante notare come, oltre ad iniziative mutualistiche per aiutare i soci poveri che non potevano provvedere alle spese del funerale, la società disponesse gli onori per tutti attraverso apparati specifici come il pallio, appunto598. A proposito di questi aspetti la società modenese aveva predisposto una vera e propria cassa per i poveri che i massari dovevano custodire sei mesi ciascuno

595 C. Campori (a cura di), Statuta civitatis Mutinae, Monumenti di storia patria delle province modenesi, Serie degli Statuti, tomo I, Parma 1864, p. 248.

596 Ibid.

597 E. Coser, Modena, in La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XVI. Emilia-Romagna, cit., pp. 369-423, in part. pp. 392. 598 P. Fiorenzi, Le arti a Modena, cit. pp. 50-51.

112 le cui chiavi erano nelle mani dei sindaci. La raccolta dei fondi destinata ai soci bisognosi avveniva il sabato mattina per opera del messo che si recava presso le botteghe a riscuotere un sesino dai maestri e un quattrino dai garzoni. Con queste offerte si aiutavano inoltre le figlie da maritare dei sarti che non avevano i mezzi per costituire la dote599. Questo è un aspetto nuovo nell’ambito delle statuizioni corporative che, nei secoli precedenti non era ancora stato trattato.

Una novità è costituita dalla composizione dei mestieri che facevano capo all’arte e cioè, oltre ai sarti, anche strazzaroli, ricamatori, berrettai e chiunque usasse forbici e ago. Se in passato i membri dell’arte dipendevano dalle specializzazioni imposte dalle richieste del mercato e dunque i sarti si distinguevano in farsettai e calzaioli, tra Quattro e Cinquecento questi mestieri non sono più separati ma riuniti in quello del sarto. Ciò dimostra non solo che i capi di abbigliamento dei guardaroba erano cambiati com’è facilmente intuibile e dunque, per esempio, di calzaioli non c’era più bisogno, ma anche che il mondo stesso della produzione e del consumo di oggetti era cambiato. Una maggiore disponibilità e varietà di capi di abbigliamento aveva determinato la nascita di nuove figure professionali e un ampliamento del raggio di azione di quelle che avevano contatti con numerosi fornitori, come ad esempio gli strazzaroli. Questi ultimi, definiti anche rigattieri e documentati fin dal Medioevo assumono un ruolo di rilievo nel commercio di oggetti vecchi e di oggetti nuovi, compresi i capi di abbigliamento. La normativa modenese cinquecentesca precisava che gli strazzaroli potessero confezionare soltanto indumenti per il mercato vale a dire preconfezionati, vietando rigorosamente loro di tagliare o far tagliare con misura e cucire o far cucire nella propria bottega o in casa calze, giuboni, cappe, saglioni, cappucci, gionne, scoffioni, camiscie, farsetti, tabarri, roboni, né vestiti su richiesta di clienti sia locali sia forestieri600. La scelta di comprendere gli strazzaroli che, in passato, come ad esempio a Bologna, erano dipendenti dall’arte dei drappieri, nell’arte della sartoria può essere letta da due punti di vista. Da un lato quello di controllare da vicino gli artigiani che sul mercato cittadino erano i principali concorrenti dei sarti, dall’altro quello pratico di unire due attività affini e complementari dove gli scambi di merci, clienti e servizi, dovevano essere quotidiani.

Ultima novità è costituita dalla concessione offerta alle donne di poter aprire una propria bottega, tagliando vestiti, o garzone cucendo gli stessi601. La differenza tra maestri e garzoni infatti consisteva in queste due differenti mansioni e lo statuto precisava che nessun garzone potesse tagliare presso alcuna bottega gestita da maestri. Ciò era consentito soltanto ai figli dei sarti e i

599 Ivi, p. 51. 600 Ivi, p. 52. 601 Ibid.

113 massari semestralmente controllavano con il notaio dell’arte tra le botteghe affinché i maestri avessero garzoni in regola602. Agli inizi dell’Età moderna, così come in passato, continuavano dunque i privilegi per i famigliari di coloro che già facevano parte dell’arte.

Anche a Modena si festeggiava S. Omobono, così il 13 di novembre tutte le attività lavorative dovevano essere sospese per onorare il santo patrono dell’arte con una processione durante la quale i membri e i soci accompagnavano l’immagine del santo dalla chiesa di S. Giovanni Evangelista alla cattedrale, partecipavano alla funzione religiosa durante la quale venivano offerti due doppieri e ritornavano presso la sede dell’arte per occuparsi degli affari e rinnovare le cariche dei funzionari603. Lo statuto precisava che durante le festività i sarti non potessero lavorare, se non per confezionare abiti per funerali. In questo caso il lavoro del sarto era ammesso in via eccezionale non in bottega, ma a casa, in forma riservata. Nei giorni festivi che tuttavia non erano di precetto invece i sarti potevano lavorare nelle botteghe aperte tuttavia a metà battente. Chi trasgrediva veniva punito con una multa di 10 soldi che avrebbe incrementato il fondo per i poveri604. Vale la pena sottolineare come lo statuto dia per scontata la separazione tra abitazione e luogo di lavoro del sarto, tra casa e bottega. Ciò può voler indicare sia una corrispondenza delle stesse nel medesimo immobile ma in vani separati sia l’ubicazione delle stesse in edifici differenti. La norma non dice nulla di più, ma tale affermazione fa riflettere sul fatto che bottega ed abitazione potevano non coincidere come già si è tentato di dimostrare nel capitolo precedente.