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3. COSA PRODUCE IL METODO DI LAVORO DEL SARTO PARTE

3.4. I tariffari dei sart

3.4.2 Le tecniche sartoriali dai tariffar

Come si è già anticipato, i tariffari contengono preziose informazioni sui manufatti realizzati nelle sartorie medievali. A differenza di altri tipi di elenchi di vesti, come quelli contenuti negli inventari di beni post mortem per esempio, i tariffari comprendono descrizioni di carattere tecnico volte a precisare la morfologia dell’indumento in relazione alle sue caratteristiche formali e alle varianti da cui potevano dipendere le differenze di prezzo. Dovendo commisurare il compenso del sarto al lavoro da compiere nel realizzare i vari indumenti, il tariffario rapporta il prezzo in base ad elementi difficilmente rintracciabili in altri fonti: cuciture supplementari, gheroni, pieghe, fodere, fregi, bottoni, intagli. Queste indicazioni attestano i vari interventi che il sarto compiva per realizzare i capi di abbigliamento.

757 E. Tosi Brandi, Abbigliamento e società a Rimini nel XV secolo, cit., p. 118. 758 M.G. Muzzarelli, Guardaroba medievale, cit., p. 222.

151 L’abbigliamento del basso Medioevo era, come già detto, diventato più complesso rispetto al passato proprio per la presenza di indumenti più aderenti al corpo che consentivano la sovrapposizione di abiti più ampi da indossare sopra questi ultimi760.

I farsetti maschili del Trecento diventati più complessi, potevano essere confezionati con una o più cuciture, come dichiarano i tariffari a partire dal XIV secolo, attestando la presenza di questa novità rispetto al secolo precedente, quando il suo prezzo era determinato dal suo assemblaggio più semplice verosimilmente ad una cucitura e dalla sua imbottitura in genere di bambace come più sopra si è visito. Lo statuto di Figline del 1233 prevedeva un costo di 30 denari per la cucitura di un farsetto con una libbra di bambace, informandoci che per la sua realizzazione occorreva questa quantità di imbottitura761.

Nel tariffario ferrarese del 1287 sono attestate quelle novità che connotano la moda basso medievale, la presenza cioè di inserti che consentivano di ampliare le vesti, i cosiddetti gheroni. Con questo termine si indicava un lembo di tessuto di forma triangolare che poteva inserirsi lateralmente al vestito cucendolo in corrispondenza del punto sottoascellare oppure nella parte anteriore e/o posteriore. Interessante da questo punto di vista risulta la precisazione dello stesso tariffario in merito ad una gonnella femminile frexatis cum gironibus et crespis et butonis che costa otto soldi, ma se i gheroni sono anche ante et post, allora il prezzo sale a 10 soldi. Il linguaggio utilizzato induce a pensare che i gheroni fossero prevalentemente presenti sui lati. Il loro inserimento anche nella parte anteriore e posteriore della veste rendeva quest’ultima decisamente più ampia.

Gli abiti trecenteschi così come quelli quattrocenteschi hanno altre caratteristiche desumibili dai tariffari: presentano in genere gheroni e increspature (crispis) vale a dire pieghe formate modellando il tessuto sul corpo generalmente in corrispondenza del punto vita. L’effetto di maggiore increspatura si otteneva con la presenza dei gheroni, cioè da inserti che consentivano maggiore ampiezza di pieghe determinata da una maggiore quantità di stoffa assemblata. A volte dunque in presenza di indicazione di increspature e di assenza di gheroni possiamo pensare che questi ultimi fossero sottintesi dal tariffario. Questi ornamenti sartoriali, che furono di moda soprattutto nel XV secolo, creavano effetti molto eleganti: le vesti infatti risultavano ornate di

760 Cfr. M.G. Muzzarelli, Guardaroba medievale, cit.

152 pieghe ben ordinate perché cucite in genere intorno al punto che ricadevano nella campana della gonna resa ulteriomente più ampia dai gheroni utilizzati e come si vedrà nel quarto capitolo.

Dai tariffari apprendiamo che i sarti facevano ampio uso delle pellicce che erano assemblate alle vesti al loro interno come fodere. Nel basso Medioevo infatti le pellicce rimanevano a vista soltanto agli orli delle maniche e delle vesti così come delle scollature. Come si è visto analizzando i documenti veronesi era piuttosto complicato cucire una pelliccia e dunque questa fase del lavoro non era lasciata ai discepoli ma svolta direttamente dal maestro o dei lavoranti più esperti.

Lo statuto con tariffario dei sarti di Bologna documenta la presenza di diverse tipologie di taglio che evidentemente i clienti erano in grado di riconoscere ed apprezzare se venivano indicate nel listino. Veniamo così a sapere che Bologna era specializzata in un determinato tipo di taglio definito ad taglium magnum col quale potevano essere realizzati sia abiti maschili sia abiti femminili. Ciò per esempio non è specificato nel tariffario fiorentino che è il più lungo così come negli altri tariffari qui esaminati. Il tariffario bolognese specificava che se le vesti elencate come guanacca, cottardita, gonnella, mantello, tabarro fossero state confezionate con taglio francisenum allora una parte del loro valore sarebbe stato tassato. Purtroppo non siamo in grado di comprendere le differenze dei due tipi di taglio. Possiamo tuttavia supporre che il taglio francese potesse corrispondere ad una maggiore aderenza al corpo e alla presenza, almeno negli abiti femminili, del punto vita più alto. Questa è infatti la moda, cosiddetta borgognona, che si svilupperà nella seconda metà del XIV secolo e durerà almeno fino alla metà del secolo successivo762. I bolognesi pare facessero anche un certo tipo di farsetto distinguibile dagli altri e oramai diventato un indumento tradizionale essendo definito alla maniera antica bolognese e caratterizzato da cuciture o coste piccole (minutis). Se confezionato con tessuto serico costava 20 soldi, se era intagliato (ad intaglium) 25 soldi, se di bucarano o altro tessuto 12 soldi763.

Lo statuto fiorentino, come già accennato, detiene il primato tra i tariffari italiani medievali per il numero di abiti elencati, 72. La quantità di capi descritti tuttavia non corrisponde ad un maggior numero di informazioni sartoriali potenzialmente ricavabili come quelle finora utilmente desunte da tariffari meno consistenti. Il tariffari fiorentino distingue come negli altri gli indumenti maschili da quelli femminili senza indicare particolarità locali di esecuzione di taglio come si è visto nel caso

762 Cfr. R. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, Einaudi, Torino 1978. 763 ASBo, Capitano del Popolo, Società di Popolo, Arti, b. VIII, Sarti, Provvigione del 1352.

153 bolognese. Molta attenzione è riservata ai tessuti, non più genericamente distinti tra panno di lana o seta ma, soprattutto nel caso di tessuti serici, se ne descrive la tipologia poiché da questa così anche come dal colore della tintura si giustifica il costo maggiore della lavorazione sartoriale. Dal tariffario apprendiamo che le vesti erano divise in quattro quarti, che potevano essere aperte anteriormente oppure chiuse. Allacciature formate da magliette (anelli metallici) con occhielli (asole rivestite di filo) servivano ad aprire e chiudere i vestiti tramite cordoncini passanti al loro interno che però non sono mai menzionati nei tariffari. Evidentemente cordoncini e stringhe facevano parte degli accessori o fornimenti compresi negli abiti. Le magliette e gli occhielli si trovavano anche in corrispondenza dei fianchi e lungo i gomiti: testimonianza dell’aderenza al busto e alle braccia delle vesti che necessitavano di essere aperte da questi sistemi per poter essere facilmente indossate ed adattate alle corporature. È appena il caso di ricordare inoltre che le vesti femminili dovevano consentire di accogliere le trasformazioni del corpo causate dalle gravidanze e rese possibili dai sistemi di aperture e chiusure così congegnati. Le allacciature tuttavia potevano essere costituite anche da bottoni.

Nel caso di vesti maschili il tariffario specificava le lunghezze dell’orlo distinte tra a mezza gamba o a mezza tibia, senza naturalmente indicare nulla per quelle femminili che giungevano ai piedi. Interessante risulta una gonnella gonnella grupponata aut cum bombice di lire 2 verosimilmente maschile che può attestare la presenza di pieghe cucite, ottenute con l’inserto di gheroni come più sopra si è già detto, e qui imbottite. Numerose infatti sono le testimonianze iconografiche della prima metà del Quattrocento a documentare l’uso di abiti resi plastici e imponenti attraverso pieghe che danno l’idea di essere ferme cioè cucite ed imbottite764.