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3. COSA PRODUCE IL METODO DI LAVORO DEL SARTO PARTE

3.3 Norme moral

Oltre alle norme civili, il sarto doveva rispettare anche quelle di carattere morale, fissate per esempio nei “Confessionali” del tardo Medioevo che dividevano le pene per mestiere. Si trattava di testi contenenti i principali peccati attribuiti a ciascuna categoria professionale con le relative penitenze da scontare per purificare la propria anima. Il manuale per confessori del XV secolo intitolato Interrogatorio volgare compendioso et copioso tra gli altri mestieri prende in considerazione anche quelli del sarto, che peccava quando tratteneva “alcuno pecio de panno de seta o grana o de altro in quantità”, che era “tenuto a restituzione”, annoverando tra le colpe i casi in cui “se la festa ha lavorato o perso la messa per vestire altrui le volte che ha cusite o se ha trovato focie nuobe"708. L’indicazione delle colpe elencate in questi libri offre preziose informazioni sul lavoro del sarto, i cui peccati più ricorrenti dunque possono essere così riepilogati: l’indebita appropriazione di tessuto, l’invenzione di nuove fogge, la mancata astensione dal lavoro durante le festività, la mancata partecipazione alle funzioni religiose709. Queste ultime due colpe attestano il continuo e duro lavoro del sarto, chino sulle stoffe per numerose ore al giorno, nell’intento di sfruttare al massimo la luce naturale, anche a scapito dei doveri religiosi, e documentano al tempo stesso l’esigenza di assumere più commesse possibili a causa della scarsa retribuzione. Occorre tuttavia precisare che i predicatori in generale criticavano indistintamente mercanti e artigiani su

706 P. Monacchia, M.G. Ottaviani Nico (a cura di) Perugia, in La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XVI. Umbria, cit, pp. 2-246, in part. p. 15.

707 N. Paolucci (a cura di), Todi, La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XVI. Umbria, cit, pp. 742-814, in part. p. 772- 773

708 Interrogatorio volgare compendioso et copioso documenti sulla confessione nel secolo 15. dal ms. Aldini 24 della Biblioteca universitaria di Pavia, a cura di E. Bellotti, Guardamagna, 1994, p. 117.

135 questo fronte, per la mancata partecipazione alle festività religiose710. Il tema dell’indebita appropriazione del tessuto è disciplinato - come si è già visto nel secondo capitolo - anche all’interno degli statuti della corporazione dell’arte al fine di tutelare la clientela e di regolare il quantitativo di stoffa che i sarti potevano lecitamente trattenere. Questo peccato va messo in relazione all’onestà che predicatori e moralisti richiedevano a produttori e commercianti, tuttavia nel caso dei sarti tale consuetudine è forse da mettere in relazione al fatto che i sarti avevano un compenso regolamentato dalle leggi cittadine - e che sarà analizzato nel prossimo paragrafo - tale da non consentire grandi margini di guadagno. Trattenere la stoffa non utilizzata nella confezione era un modo pertanto per il sarto di arrotondare i propri introiti confezionando per esempio con quella piccoli elementi dell’abito oppure rivendendola a sua volta ad altri.

Sull’invenzione di nuove fogge vale la pena soffermarsi.

Come già accennato, al sarto era proibito creare nuove fogge. Esempi riportati in cronache dimostrano l’ostilità da parte di moralisti e predicatori nei confronti di questa pratica, tanto diffusa quanto avversata, sulla quale si era espressa anche la sede papale. Consultata per un caso di questo tipo, quest’ultima era infatti giunta alla conclusione che i sarti rei di aver confezionato vesti con strascichi, frappe e intagli - elementi che verosimilmente rappresentavano più di altri le novità - avrebbero potuto essere assolti solo se si fossero impegnati a non reiterare la trasgressione711. Le leggi suntuarie veneziane della prima età moderna sembrano attribuire la deprecata usanza di inventare nuovi abiti ai committenti e non ai sarti che, sulla base di questa fonte, risulterebbero dunque solo esecutori712.

Sul tema delle frappe si era espresso anche san Bernardino in relazione ai peccati commessi dagli artigiani, sostenendo che “Non so’ mai lecite molte arti le quali fanno danno. Come so’ una quella del frappare: il frappare i panni, non è ben comune. Anco non è ben comune l’arte de’ veleni. Ogni volta che v’è danno o di robba, o di corpi, non vi può essare bene comune”713. Il frate considera l’opera di frappare un tessuto una corruzione dello stesso, un vero e proprio danneggiamento dell’oggetto-tessuto realizzato da altre maestranze.

710 Cfr. Bernardino da Siena, Prediche volgari sul Campo di Siena 1427, a cura di C. Delcorno, Rusconi, Milano 1989, 2 voll.

711 M.G. Muzzarelli, Guardaroba medievale, cit., pp. 223-224. 712

G. Butazzi,”Le scandalose licenze de sartori e sartore”. Considerazioni sul mestiere del sarto nella Repubblica di Venezia, in I mestieri della moda a Venezia dal XIII al XVIII secolo, catalogo della mostra, Venezia, giugno-settembre 1988, [Venezia] 1988, pp. 63-69, in part. pp.63-65; D. Davanzo Poli, Il sarto, cit., pp. 535-536.

136 Nella famosa predica tenuta sul campo di Siena nel 1427 “Come ogni cosa del mondo è vanità” san Bernardino ritorna sulle frappe e sui artefici di queste ultime, i sarti:

Porti le frappe…le frappe, eh? O padri, o madri, o sartori, io non so che conoscienzia voi ve avete, a guastare i panni come voi fate. Ben che si può dire: «qualis pater, talis filius». Io ho già veduto vestimento con sedici braccia di panno frappato. Una volta vi converrà capitare a la bocca de la macina. Doh! Io non penso a cotali frascarelle. Ma tanto panno a perdere, non pensi tu che peccato tu fai? Sai che ti dico? Tu cominci già a scialacquare il tuo714.

I sarti dunque erano, da un lato, limitati dalle leggi suntuarie emanate dai governi comunali finalizzate al controllo sociale, dall’altro dalle norme morali e dall’avversione generale nei confronti delle novità da parte di predicatori e moralisti; quelle stesse novità che rappresentavano, come vedremo nei paragrafi che seguono, le fonti di guadagno di questi artigiani ed erano tanto amate dai clienti. Vale la pena riportare alcuni passi di un paio di leggi suntuarie del XVI secolo, i cui proemi attestano sempre più, rispetto ai secoli precedenti, gli intenti di carattere moralistico della normativa.

Una provvisione bolognese del 1525 così recitava:

Et perché si ritrova in questi tempi essersi introdotta una vana et detestabile abusione circa la veste et habiti delle donne con stratagliarli e lavorarli con varii disegni e foggie sì per mano di ricamatori come etiandio di sarti, e alcuni altri habiti farsi di diversi colori e pezzi: oltra di questo essere venuta un’altra foggia di veste quali chiamano sottane fatte di seta e di panni rosati e di altre sorti recamate et galleggiate con gran spesa715.

Questo documento attesta la presenza delle novità sul mercato e il consumo di queste ultime da parte di coloro che se ne appropriavano per essere aggiornati con la moda del tempo - un modo per

714 Bernardino da Siena, Prediche volgari a cura di C. Dalcorno, pp. 1070.

137 aderire al tempo presente insomma, anche se in maniera diversa e meno evidente rispetto a ciò che accadrà a partire dal XVII secolo716; attesta d’altra parte anche il lavoro dei principali artigiani coinvolti nella realizzazione, se non nella loro elaborazione ab origine, di queste ultime: ricamatori e sarti. I clienti insomma erano sempre alla ricerca delle novità nel vestire e coloro che erano in grado di mettere in pratica, attraverso le proprie competenze tecniche, tali richieste venivano subissati da controlli incrociati che infliggevano loro multe pecuniarie da un lato, pene spirituali dall’altro e, in almeno un caso documentato, perfino pene corporali inflitte pubblicamente. Quest’ultima pena, insieme a quella pecuniaria, alla privazione di ogni carica e all’accusa di infamia, era infatti prescritta dallo Statuto di Foligno del 1499 e riguardava anche orefici e calzolai, “perché l’artisani sonno principal causa de tanti sforgiamenti et pazze forgie et damnose”717.

Anche Bernardino da Siena si era espresso contro la varietà del vestire in occasione della predica sopra citata:

sai che cosa è varietà? So’ questi vestiri scaccati, racamati, lillati e divisati: tu m’intendi bene; e queste tali cose tu le porti molto volentieri. E sai che dimostra questo? Dimostra che l’anima tua è variata come è il corpo. Vuoi vedere s’io dico il vero? Perché gli porti tu? Portigli per dare diletto a te? Mainò. Adunque, tu gli porti per dare diletto altrui. Vedi che tu se’ cagione di fare grandissimo peccato, e di ponare uno grande carico all’anima tua? … O donna che porti tante cose non tue, se elli ritornasse la lana di che tu vesti a le pecore, e la seta tornasse a’ vermini che la fecero, e i capegli che tu porti tornassero a coloro che so’ morti, di cui furono, e’ crini che tu adopari, tornassero a’ cavalgi; se ogni cosa che tu hai tolta per tuo adornamento tornasse al suo principio, oh, tu rimarresti spennacchiata, tu non aresti tanti lilli e tanti imbratti quanti tu h’hai, e non faresti tanti peccati quanti tu fai!718

Tali varietà negli abiti erano imputate dal predicatore a ricamatori e sarti, che aggiungevano ornamenti (lilli) e realizzano capi di abbigliamento con sgargianti accostamenti di colori (divisati). Nonostante tali avversioni i sarti continuarono ad inventarsi nuovi elementi ornamentali per clienti

716 D. Colombo, Alle origini della moda, cit; Ead., Appunti sul “secolo alla Moda”, cit. 717 La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XVI. Umbria, a cura di M.G. Nico Ottaviani, p. 435. 718 Bernardino da Siena, Prediche volgari a cura di C. Dalcorno, pp. 1074-1075.

138 che, seguendo la moda potevano soddisfare sia il desiderio di novità sia quello di distinzione719, in un continuo mutamento di fogge, seppur lento ma documentato dalle leggi suntuarie, la cui reiterazione è verosimilmente indice della loro elusione.

Bernardino da Siena si era espresso anche sul peccato di novità:

Questa è buona per coloro che usano di fare i Consigli, i quali so’ atti e potrebbero forse ponare rimedio e ordinare, ma con fatiga, che non si possi portare se non tanto ariento adosso; e che non si possa mettare se non tanto panno per vestire; e che non si facci tanto le maniche grandi, e ale, che ti faranno anco volare a lo ‘nferno. E questa legge in fine si farà per quelli che non hanno bisogno di legge, e non per chi h’ha bisogno; ché non v’avedete, che questo è uno disertamento de’ povari. Vuoi vedere come la cosa andarà? Tu farai l’ordine che non si possa fare se non tal cosa e tale; e questo s’intenderà per colui che è ricco. Dirà el povaro: «Oh, io posso fare la tale spesa, che non ne va pena niuna! Lo Statuto concede che si metta tanti taglieri, e io così vo’ fare. Dice che si metta tanto panno in uno vestire; così vo’ fare. Dice anco di tanto ariento; così vo’ fare». E però questa legge non vi farà regolare, che così vorrà fare uno come un altro. Unde io vi dico, ch’io non vi saprei già dar modo io: datevelo voi; fate da voi720.

Per Bernardino dunque il peccato di novità è ancora da attribuire a orefici e a sarti, ma soprattutto a questi ultimi, che applicano, insieme con i ricamatori, agli abiti gli ornamenti realizzati nei laboratori orafi e confezionano con sovrabbondante tessuto gli abiti, impiegandone più di quanto ci sia effettivamente bisogno, corrompendolo oltretutto, come abbiamo già visto, con frappe o intagli. Il suo ragionamento sulle leggi suntuarie è interessante, attestando la fatiga del legislatore e l’inutilità, anzi, la pericolosità della pubblicazione di tali leggi, che non fanno altro, per il frate, che diffondere le novità, anziché arginarle e proibirle721.

Se queste testimonianze lasciano intendere che buona parte delle invenzioni potessero essere prodotte in bottega, ne esistono altre che attestano il metodo di lavoro del sarto e il rapporto di quest’ultimo con il cliente, complici nell’elaborare le novità.

719

Cfr. Il linguaggio della moda a cura di L. Diodato, Rubbettino, Catanzaro 2000. 720 Bernardino da Siena, Prediche volgari a cura di C. Dalcorno, pp. 1087-1088.

721 Sul tema cfr. M.g. Muzzarelli, Nuovo, moderno e moda tra Medioevo e Rinascimento, in Moda e moderno. Dal Medioevo al Rinascimento a cura di E. Paulicelli, Roma 2006, pp. 17-38, passim e in part. p.36.

139 Testimonianze riferibili ad alcune corti italiane tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età moderna documentano la prassi di inviare al sarto il tessuto con l’indicazione della foggia dell’abito, di fatto già decisa dal committente722, che poteva dunque essere il diretto artefice di eventuali novità apportate al modello. A tal proposito basti citare alcuni esempi riferibili a Isabella d’Este, riconosciuta dai suoi contemporanei inventrice di fogge, alla quale si rivolgono persone al fine di poter avere il diritto di copia di novità da lei apportate ad abiti e acconciature. Per questi motivi nel 1506 la duchessa di Catanzaro chiede direttamente a lei il modello di un abito da copiare e nel 1533 Caterina Cybo Varano, duchessa di Camerino, e madame d’Orléans fanno confezionare vestiti sotto la sua direzione. Nel 1515 è addirittura il re di Francia a rivolgersi alla marchesa di Mantova per avere una “puva”, vale a dire una bambola, “vestita a la fogia che va lei di camisa, di maniche, di veste di sotto e di sopra et de abiliamenti et aconciatura di testa et de li capilli” per far conoscere e circolare in Francia la moda italiana, perfettamente rappresentata per il sovrano da Isabella723.

All’inizio dell’epoca moderna dunque i sarti continuavano a realizzare capi di abbigliamento ideati dai clienti più facoltosi, occupandosi esclusivamente della confezione, delle spese di fattura, della scelta della passamaneria ed eventualmente intervenendo come mediatori nell’acquisto dei tessuti. L’assenza di testimonianze relative ad invenzioni riferibili direttamente ai sarti non esclude tuttavia l’ipotesi che qualcuno di essi, specialmente se fornitore di raffinate corti, in situazioni dunque di vivace sollecitazione, avesse avuto un ruolo nell’elaborazione delle mode così come nella scelta del modello dell’abito da suggerire al cliente, come si vedrà in seguito. E’ questo il caso del sarto di Eleonora da Toledo, mastro Agostino - e sul quale si ritornerà nel quarto capitolo a proposito dell’uso dei modelli in bottega – nei confronti dei quale la duchessa aveva grande fiducia, seguendo, come attestano i documenti di corte, i suoi consigli soprattutto in merito a modelli, colori e tessuti724.