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4. COME PRODUCE IL METODO DI LAVORO DEL SARTO PARTE

4.1. Chi è il sarto: prime definizion

Come è stato detto nel precedente capitolo, la figura professionale del sarto si delinea nel basso Medioevo in relazione alla necessità da parte delle persone di recarsi da un professionista per la realizzazione di abiti che, anche quando non eccessivamente complessi - il caso delle vesti per esempio di bambini e servitori che emergono nei tariffari - richiedevano la competenza di quest’ultimo837. Dalle informazioni ricavate dalle varie fonti finora consultate e ampiamente descritte nei precedenti capitoli, tentiamo di riepilogare chi è il sarto e cosa fa.

Le prime definizioni si possono ricavare dagli Statuti cittadini, i più antichi documenti pervenutici che trattano questo mestiere, dai quali apprendiamo che il sarto taglia e cuce tessuti per la realizzazione di abiti, questi ultimi alcune volte descritti nelle liste dei prezzi riportate dagli stessi. L’attività del sarto si apprende naturalmente - e con maggiore precisione rispetto alla normativa pubblica - all’interno degli statuti della corporazione, che sono stati analizzati nel primo capitolo. Il sarto taglia e cuce tessuti di vario genere ed è aiutato in bottega da discepoli in formazione - o apprendisti - e lavoranti che, a loro volta, possono essere anche maestri. In genere ai discepoli e lavoranti è destinato il lavoro di assemblaggio dei capi di abbigliamento, vale a dire quello di cucitura838, com’è anche ribadito dagli statuti pisani analizzati nel capitolo precedente a proposito dei compensi destinati a questi ultimi839. A Bologna, alla scuola della sartoria appartenevano coloro che si erano specializzati nella confezione dei farsetti (dipploides), vale a dire l’indumento maschile che si indossava sulla camicia e che fino al XV secolo reggeva le calzebrache, coloro che realizzavano calighe (calligas) vale a dire calzature di panno, e naturalmente tutti coloro che

837 Sul tema cfr. III capitolo. 838 Cfr. I capitolo

170 incidevano panni nuovi, cioè il sarto vero e proprio. Quest’ultima precisazione è utile per capire come in realtà la categoria del sarto non fosse l’unica ad occuparsi del taglio e dell’assemblaggio delle vesti840. A Bologna per esempio gli strazzaroli, appartenenti alla Società dei Drappieri, che si occupavano di oggetti di seconda mano, commerciavano anche abiti usati che erano in grado di riadattare per dare a questi nuova vita.

Sappiamo tuttavia che anche i sarti si occupavano di abiti usati, d’altro canto era a questa categoria professionale che i clienti si rivolgevano per modificare i propri abiti, soprattutto quando questi erano di pregio. Allargare, stringere, accorciare e allungare oppure aggiornare con nuovi elementi abiti oramai passati di moda e, ancora, rammendare, pulire e dare insomma alle vesti una nuova vita era affare dei sarti com’è emerso nei capitoli precedenti. Naturalmente non troviamo queste mansioni tra quelle elencate all’interno degli statuti delle società, che si preoccupavano di difendere l’attività per eccellenza, quella di incidere tessuti nuovi a differenza di altri artigiani che non erano specializzati e dunque potevano eventualmente occuparsi di rammendi e modifiche su abiti già realizzati da altri. Per attestare queste attività che sarebbe improprio definire secondarie, non conoscendone esattamente la portata, si può fare riferimento a fonti di natura privata, per esempio i libri di conti e/o memoriali delle famiglie più abbienti che annotavano con cura le spese effettuate per il proprio guardaroba841. D’altra parte anche oggi i sarti, che purtroppo hanno visto negli ultimi trent’anni notevolmente ridimensionata la propria attività, si lamentano di fare soprattutto lavori cosiddetti di “riparazione”, vedendo come loro prerogativa quella della realizzazione di un abito nuovo842.

Altre attestazioni a riguardo possiamo trarle dalle fonti omiletiche. Giordano da Pisa per esempio, nell’attestare alcuni comportamenti scorretti da parte di mercanti ed artigiani predicava: “Altresì, com’io ti dissi l’altrieri, tirano i panni e tragono loro le budella di corpo, e stracciansi, e poi gli ricusciono e rimendano e raffacionano, e vendolo per buono, e lodanlo, e è feccia ristagnata”843. Non sappiamo se si rivolgesse a sarti o stracciaioli, in ogni caso è interessante la pratica quotidiana di coloro che si occupavano di riadattare vesti e commerciavano con gli abiti usati che si ingegnavano come potevano per mantenere attiva la propria attività.

840 Cfr. I capitolo.

841 A. Tugnoli Aprile, I libri di famiglia dei Da Sala, cit.; C. Ferretti (a cura di), I Memoriali dei Mamellini, notai bolognesi. Legami familiari, vita quotidiana, realtà politica (secc. XV-XVI), cit. Cfr. E. Currie, Diversity and design in the Florentine tailoring trade, 1550-1620, cit., p. 157; E. Welch, Shopping in the Renaissance, cit.

842 E. Tosi Brandi, Artisti del quotidiano. Sarti e sartorie storiche in Emilia-Romagna, Bologna 2009. 843 C. Delcorno, Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare, Olschki, Firenze 1975, p. 61.

171 Una interessante definizione sul mestiere è pervenuta direttamente dalla voce di un uomo vissuto nel Quattrocento che tentò di intraprendere la professione del sarto: si tratta di Giovanni Antonio Faie che ci ha lasciato una cronaca dove narra la sua vita ripercorrendo tutta la sua carriera lavorativa piuttosto complicata che lo porterà poi a diventare speziale844. Rimasto orfano a dieci anni i suoi tutori lo fecero lavorare prima come guardiano di buoi, poi lo mandarono a bottega da un calzolaio rendendosi però ben presto conto che per continuare questa carriera sarebbero occorsi investimenti superiori alle reali possibilità del ragazzo. I tutori di Giovanni Antonio decisero dunque di fargli imparare il mestiere del sarto, ritenendo che “la sartoria è arte lizera e se fa con pochi dinari: se àe una gochia e uno didale, con una taxora può andare per tuto”. Il ragazzo rimase a bottega ma, capendo che non stava imparando il mestiere come avrebbe voluto, decise di cambiare ancora una volta professione approdando presso la bottega di uno speziale dove finalmente apprese il mestiere che fece per il resto della sua vita. Questa rara ed eccezionale testimonianza offre alcuni spunti di riflessione sul mestiere del sarto: la prima è il fatto che per diventare sarto non occorrevano grandi capitali (arte lizéra, cioè leggera) dunque questo mestiere poteva essere intrapreso anche da categorie sociali non abbienti, d’altro canto non era un mestiere consigliato a chi avesse voluto fare un qualche avanzamento professionale, come aveva capito lo stesso Faie che, viste le inadempienze del suo maestro sarto e, probabilmente rendendosi conto dei pochi guadagni, decise di rivolgersi altrove. Infatti, se nei contratti di apprendistato il maestro era tenuto a docere sine fraude et in toto suo posse, bene docere et instruere, artem suam ostendere845, le esperienze riportate dal Faie dimostrano che i maestri fossero spesso piuttosto negligenti:

El dito fantino andò a stare a Bagnono con uno maestro Simone de Fornolo che faceva l’arte dela sartoria lì. E quive s’aconza con queli medeximi pati, ma vive e sta per uno altro stilo, che non n’à tanta la cura deli familii, se fano bene o no, che n’aveva tre. Guarda con tuti modi a chavrane el suo vantalio et utile; e poi, se volen esere valenti, tale ne sia de loro. Alcuna volta canta con loro, alcuna volta li manda per legne. Facieva fare una caxa: quive bexognava de molto afrato, e el dito Giovanni Antonio faceva de queste coxe asai, secondo el suo tempo846.

844 G. Sforza, Autobiografia inedita da Gio. Antonio Faie, speziale lunigianese del secolo XV, in “Archivio storico per le province parmensi”, cit., pp. 129-183.

845 Ricavo le espressioni citate da D. Degrassi, La trasmissione dei saperi: le botteghe artigiane, cit., p. 58. 846 G. Sforza, Autobiografia inedita da Gio. Antonio Faie, speziale lunigianese del secolo XV, cit., p. 146.

172 Le prime vere e proprie descrizioni dell’arte si trovano nei primi trattati cinquecenteschi che si occupano delle scienze e delle professioni. Il primo trattatista che si occupa della sartoria, insieme ad altre professioni, è il famoso medico bolognese Leonardo Fioravanti che, nel suo Dello specchio di scienza universale pubblicato a Venezia nel 1564847, dedica il capitolo IX del primo libro a questo mestiere: “Dell’arte del Sarto et sue invenzioni”:

Essendo già venuta in luce l’arte del Tessitore et fattosi diverse sorti di tele et panni, seguita appresso l’arte del Sarto, overo cusitore; arte che al dì d’hoggi è in tanto prezzo, et riputatione appresso il mondo, come tutti vediamo: imperoché ciascuno, sia di che grado, stato, o conditione si sia, vuole andare vestito sfoggiatamente: secondo il grado, et condition sua.

Interessanti le prime asserzioni del Fioravanti, utili a capire quanto nella realtà tutti conoscessero o, almeno ritenessero di conoscere, il mestiere del sarto, dato che chiunque almeno una volta nella vita si era recato da questo professionista e aggiunge:

et se alcuno volesse vedere le grandissime diversità di vestimenti, che usano le genti delmondo, vada cercando, et vedendo molte Regioni, Città, et Castella, et così vederà grandissime differentie, tra vestimenti di un luogo et quegli d’un altro. Ma chi volesse veder foggie stupende sopra di tal arte, cerchi di vedere molte Donne, che egli vedrà sopra di loro tante diverse foggie, che sarà cosa da fare impazzire il mondo. Sì che bisogna che i Maestri di tal arte si vadino sempre lambicando il cervello, volendo contentare a tutti, et però egliè necessario al sarto di saper fare tutte le nuove foggie, che vede, volendo essere riputato da qualche cosa fra le genti.

847 Si è consultata l’edizione: L. Fioravanti, Dello specchio di scienza universale, Heredi Marchiò Sessa, Venezia 1583, pp. 26-29.

173 Fioravanti aveva viaggiato molto durante la sua vita, avendo assunto incarichi professionali in varie città italiane e anche all’estero, dunque ci si può fidare di lui che aveva effettivamente visto le notevoli varietà di fogge che diversificavano le aree geografiche.

Ma quello che a lui è necessario, è il saper tagliare calze, giupponi, saii, cappe, ruboni, gavardine, veste longhe di ogni sorte; come dolimani, cafetani, zamberlucchi, sotane, guardacori, tabarri, vestimenti da Frati, da Monache, da Vedove, et da Maritate, da Duchi, da Principi, da Re, da Vescovi, da Cardinali, et da Papi, et da Imperatori: cosa veramente incredibile a vedere tanti et diversi modi di vestire. Ma sono ancora grandissime le diversità del cusire, et delle nuove foggie, che si truovano ogni giorno: percioché havendo il Mastro tagliato le vesti, vi sono di quegli che la vogliono guarnita del medesimo, chi di veluto, o altre sorti di panni di seta, et chi di altro colore: come rosso, giallo, turchino, verde, pavonazzo, et altri colori, ma chi vuole il ponto allacciato, et chi un drieto ponto, chi il gaso, et chi la cadenella, chi vuole franzette, chi liste, et chi cordoni, et chi rivetti, et tante altre materie così fantastiche, che sarebbe un stupor grande solamente a volere raccordarle tutte.

Se Fioravanti attribuisce al sarto numerose competenze, poi sminuisce questa professione conferendo ai clienti l’arte di saper riferire a questo la foggia del vestito che il sarto si limiterà soltanto ad eseguire.

et però cari Sartori miei affaticatevi pure a truovare belle inventioni, ma non vi gloriate però tanto di questa vostra arte, se bene ella è bella, et vaga, et in parte ancor necessaria: perché non è però di quello ingegno, et di quel grado, che voi pensate, essendo cosa tanto facile a sapersi fare da ciascuno: percioché il vestire non è altro, che mettere il panno sopra le persone, et tagliare via quel che avanza; et così il vestimento sarà fatto. Lo aggiongervi poi le guarnizioni egliè cosa da tutti; percioché sempre i Sartori si fanno insegnare a quelli che fanno fare i vestimenti, et quanto quegli comandano, tanto fanno, et non più. Et per questo dico, che chi fa questa arte non sa tanto, quanto pensa di sapere: imperoché quanti vestiti fanno, tante volte imparano di nuovo a lavorare; et tutte l’arti del mondo si finiscono a qualche tempo d’imparare: ma questa sola non si finisce mai. Per la qual cosa a me pare, che niuno la possi imparare.

174 In realtà, la continua formazione del sarto rappresenta una qualtià di questo professionista, sempre pronto a nuove sfide, ora come allora. Sappiamo inoltre che se il cliente poteva fornire idee e materiali, era il sarto a doverle trasformare in un prodotto, dispensando non solo consigli ma anche e soprattutto sapendo ascoltare molto bene - e con pazienza - le esigenze dei clienti, facendo sapientemente passare per altri, cioè i clienti, idee o soluzioni riferite a ragion veduta dall’artigiano848.

Possono bene i Sartori imparare di disegnare, et di operare il detale, et l’ago, et di cusire: ma altro no. Et per tanto possiamo dire, che quelli, che fanno questa arte non sappiano fare se non quello, che vien loro insegnato: percioché colui, il quale si fa fare vestimenti, lui stesso dice al sartore la forma, che hanno d’havere, cioè se lo vuole longo, o corto, o largo, o stretto, o simplice, o guarnito. Sì che dunque ogniuno lo sa fare meglio del sartore, poiché il Sartore da sé non sa indovinare li vestimenti, che ha da fare, se quegli, che li vogliono non glielo dicono di sua bocca. Ma egliè ben vero, che se questa arte non fosse al mondo, che le genti non potrebbero così a prima vista mostrare quello che sono: percioché molti sono conosciuti dall’habito, che portano indosso, come fanno i Senatori grandi, che portano alcuna sorte di vestimenti pieni di gravità, et di dignità, molto differenti da quelli de gli altri, per esser conosciuti. I Dottori similmente vestono habiti lunghi, et differentiati da tutti gli altri. I Religiosi, et le Religiose vestono essi ancor vestimenti molto differentiati da’ secolari, et sono ancora differenti tra Religione, et Religione; et nondimeno egliè necessario, che i Sartori sappino intendere, et servire tutti, secondo la loro volontà, et a questo modo il Sartore sarà riputato per buono maestro.

Concludendo, il Fioravanti ammette le qualità dell’artigiano, riepilogando le sue mansioni, tra le quali ne aggiunge una rispetto alle informazioni che finora è stato possibile reperire delle fonti qui consultate, quella di disegnare. Il sarto dunque deve essere in grado di disegnare il progetto dell’abito, una mansione diffusamente documentata a partire dal XVI secolo849 e di cui si parlerà nel prossimo paragrafo e che, verosimilmente, doveva già essere presente tra le abilità del sarto almeno nel secolo precedente.

848 Sul tema cfr. E. Tosi Brandi, Artisti del quotidiano, cit.

849 Si veda per esempio la documentazione riportata in E. Currie, Diversity and design in the Florentine tailoring trade, 1550-1620, cit., pp. 164-167 e nota 59.

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L’arte del Sartore dunque consiste prima nell’haver giudicio per sapere intendere tante diverse volontà d’huomini, et di donne: et appresso havere buon disegno, per saper pigliare le misure de’ vestimenti, ch’egli vuol fare; et saper ben cusire con l’ago, et fare ogni sorte di punti: e queste tre cose son quelle, nelle quali consiste tutta l’arte del Sartore. Sì che dunque: quelli che saperanno ben disegnare, intendere, et cusire, saranno riputati buoni maestri di tale arte. Sì come hoggidì in Venetia il valentissimo, et acutissimo Sartore M(aestro) Giovanni, che al presente fa botega vicino la chiesa di San Lio, il quale è huomo di tanta esperienza, et dottrina nell’arte che è cosa da stupire il mondo; percioché lavora di quante sorti d’habiti si possa imaginare et massime di veste alla Venitiana, che son molto difficili da fare, et tanto da huomo, quanto da donna, egli è rarissimo, et quello che più importa egli è huomo schietto, et da bene, sì come ben tutta la Città lo sa. In Treviso vi è uno maestro di questa professione, chiamato Maestro Cesare Vaghetto, il quale è di tanta scientia, et esperienza nell’arte, che è cosa di stupore; percioché di sua mano disegna quante sorti di lavori si possono trovare al mondo, et lavora così polito di tal’arte, che pochi a lui si possono aguagliare. Ve ne sono ancor molti altri valentissimi quai per brevità si lasciano di dire in questo luogo.

Le attestazioni di ammirazione nei confronti dei due sarti citati, provano che, come in tutti i mestieri creativi, oltre alle competenze acquisite e all’esperienza, avevano un peso anche talento e capacità individuali.

Un decennio dopo Tommaso Garzoni pubblica La piazza universale di tutte le professioni del mondo edita a Venezia nel 1585, all’interno della quale non manca un capitolo dedicato ai sarti, nel quale si delineano, rispetto alle descrizioni del Fioravanti, tratti nuovi, dovuti soprattutto ad una maggiore benevolenza e comprensione nei confronti di questo artigiano che, agli occhi del Garzoni pare non essere stimato quanto meriterebbe dai suoi contemporanei:

La fatica dell’arte accresce medesimamente la dignità de’ sartori, perché cotesto mestieri, oltra che è pieno di mille varietà di punti (come di semplici, di doppi, di punto allacciato, di drieto punto, di gasi, di cadenelle, di gippature), e porta seco diversità d’ornamento (perché chi vuol liste, chi cordoni, chi franzette, chi passamano, chi tagli, chi cordella, chi raso, chi cendado, chi velluto, chi nastro di seta, chi treccietta d’oro)

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non ha mai fine, e mai si fornisce d’imparare quanto alla forma degli abiti, i quali alla giornata si variano che i sartori ne sanno meno in lor vecchiezza che sul principio che aprono bottega.850

Tommaso Garzoni come il Fioravanti suffraga l’ipotesi che al sarto non spettasse la creazione di nuove fogge851. Alcune fonti scritte di ambito mediceo risalenti al Cinquecento attestano, tuttavia, che alcuni sarti erano soliti predisporre anche nuovi modelli per i propri clienti. Interessante a proposito è il caso di mastro Agostino da Gubbio, sarto di fiducia della duchessa Eleonora da Toledo, che si occupava di tutti gli abiti femminili di corte, compresi quelli da maschera852. Il lavoro di questo sarto è documentato tra il 1534 e la fine degli anni Sessanta del XVI secolo, attraverso numerose commesse da parte della corte, attestanti la capacità di realizzare vesti per la duchessa anche in sua assenza. Lontano da Firenze infatti Eleonora poteva ordinare capi di abbigliamento al suo sarto, che non mancava di realizzare ed inviarle aiutandosi probabilmente con un modello costruito sulle misure della facoltosa cliente e costituito da sagome in tela o in carta853. Inizialmente su pelle o cuoio poi su carta, l’uso dei modelli è documentato fin dal Medioevo e facevano parte del corredo che il sarto poteva essere tenuto a consegnare, sulla base di accordi preliminari, insieme ad altri strumenti come forbici, ago e ditale, agli apprendisti una volta terminato il periodo di garzonato854. Purtroppo non esistono esemplari di questi antichi modelli, gelosamente custoditi all’interno dei laboratori dai sarti che, come accennato, non sempre erano disposti a fornirli in copia agli allievi poiché allora, come oggi, rappresentavano il capitale più prezioso della bottega, lo strumento indispensabile per ottenere un buon risultato finale855.

850 Tomaso Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, a cura di G.B. Bronzini, 2 voll., Olschky, Firenze 1996, discorso CXX, vol. I, pp. 1308-1312, in part. p. 1310. Garzoni prese spunto e utilizzò le informazioni contenute nel trattato di Leonardo Fioravanti.

851 Cfr. inoltre G. Butazzi, ,”Le scandalose licenze de sartori e sartore”, in I mestieri della moda a Venezia dal XIII al XVIII secolo, Venezia 1988, pp. 63-69, passim.

852

R. Orsi Landini, Sarti e ricamatori, in R. Orsi Landini, B. Niccoli, Moda a Firenze. 1540-1580. Lo stile di Eleonora da Toledo e la sua influenza, Pagliai Polistampa, Firenze 2005, pp. 171-179, in part. pp. 171-174.

853 Ivi, p. 171.

854 Cfr. D. Davanzo Poli, Il sarto, cit., pp. 528, 530; S. Piccolo Paci, Per una storia della sartoria: strumenti e tecniche, in “Kermes”, n. 33, anno XI, sett.-dic. 1998, pp. 63-75, in part. p.72.

855 In alcuni documenti relativi a sartorie milanesi attive nel XVI secolo è attestata la presenza in bottega di modelli al vero per il taglio dei tessuti, cfr. S. Leydi, Sarti a Milano nel Cinquecento, in Giovanni Battista Moroni. Il Cavaliere nero. L’immagine del gentiluomo nel Cinquecento, Skira, Milano 2005, pp. 67-75, in part. p. 70.

177 Ritornando a mastro Agostino, questi era in grado di soddisfare qualsiasi richiesta proveniente dalla