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Le forme di cooperazione tra enti locali: Convenzioni, Accordi di programma, Comunità montane, isolane e

DEL MODELLO DELLE UNIONI DI COMUN

1. Le forme di cooperazione tra enti locali: Convenzioni, Accordi di programma, Comunità montane, isolane e

dell’arcipelago e Unioni di Comuni.

La forte parcellizzazione territoriale a cui abbiamo fatto più volte riferimento, ha negli anni posto l’istanza di razionalizzazione e semplificazione dei livelli territoriali a fronte dell’obbligo di garantire un efficace esercizio delle funzioni amministrative. L’evidente ritardo nell’approdo ad una legislazione attuativa del disegno costituzionale, per molto tempo, ha fatto sì che l’unico strumento di natura associativa fossero i Consorzi, volontari o obbligatori, previsti dal T.U. del 1934. Si trattava di associazioni di Comuni che costituivano veri e propri enti locali complessi, costituiti al fine di <<provvedere a determinati servizi

ed opere di interesse comune a più municipi o a più municipi e alla provincia a cui erano ricompresi>>26. Successivamente, diverse Regioni iniziarono ad articolare il territorio in comprensori per favorire nuovi livelli di aggregazione tra enti locali. Si trattava di ambiti di

programmazione di livello intermedio tra Regioni, Province e Comuni. Con la Legge 3 dicembre 1971, n. 1102, vennero poi istituite le Comunità montane, enti pubblici associativi obbligatori disciplinati e costituiti con legge regionale, aventi funzione di pianificazione per lo sviluppo economico e sociale delle zone montane, spesso disagiate. Ma il legislatore del 1990, con la legge n. 142, ha voluto introdurre ulteriori strumenti, più flessibili, di collaborazione tra enti locali (da inserire accanto alle forme istituzionali di gestione) che non richiedono necessariamente una struttura burocratica rigida e volti a favorire forme congiunte di esercizio delle funzioni amministrative. Così, vengono introdotte le Convenzioni e gli Accordi di Programma. Questi, si sommano ai già citati Consorzi e, insieme alle Unioni di Comuni e alle Comunità Montane, isolane e d’arcipelago costituiscono, ad oggi, le più importanti forme di cooperazione tra enti locali, la cui disciplina di riferimento si trova contenuta nel T.U.E.L.

Le Convenzioni rappresentano la forma più semplice di accordo tra enti locali <<al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi

determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni>> (art. 30 T.U.E.L.) e, benché stipulate ovviamente da tra

soggetti pubblici, sono inquadrate giuridicamente quali contratti di diritto privato. Caratteristica importante delle Convenzioni è quella per cui non vengono creati nuovi soggetti giuridici ma, sulla base di un accordo, si disciplinano attività che restano imputate agli enti intestatari. Per la loro costituzione è sufficiente quindi un accordo autorizzato e

approvato dai Consigli degli Enti locali interessati con cui si determinano fini, durata, forme di consultazione dei soggetti contraenti, nonché i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie. Esistono due tipologie di Convenzioni distinte a seconda che la loro stipula sia spontanea ovvero sia indotta dalla volontà di un soggetto in grado di imporre la propria volontà. Nel primo caso ci troviamo davanti a Convenzioni facoltative, mentre nel secondo dinanzi a Convenzioni obbligatorie. Per le prime, il legislatore ha lasciato agli enti un margine più ampio senza creare intensi vincoli giuridici per provvedere alle esigenze di coordinamento e cooperazione. Per quanto riguarda, invece, le Convenzioni obbligatorie, queste sono disciplinate dall’art. 30, co. 3, T.U.E.L., secondo cui << Per la gestione a tempo determinato di uno

specifico servizio o per la realizzazione di un'opera lo Stato e la regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra enti locali, previa statuizione di un disciplinare-tipo>>. L’ampiezza e la rigidità del vincolo dipendono dal

contenuto del disciplinare – tipo, nel quale la normativa statale e regionale può lasciare margini più o meno ampi di manovra per gli enti coinvolti. Il modello della Convenzione prevede la possibilità di istituire uffici comuni e, in questo caso, gli uffici operano con personale in distacco dagli Enti partecipanti all’accordo. Un esempio è quello della costituzione mediante Convenzione di uffici unici di avvocatura tra enti diversi per lo svolgimento di attività di consulenza legale, così come individuato dalla Legge 24 Dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria

per il 2008). Particolari tipi di Convenzione disciplinati dal T.U.E.L. possono poi riguardare i Segretari comunali (art. 98), il Direttore Generale (art. 108, co. 3) e i controlli interni (art. 147, co. 4). Importante è, infine, la previsione di una delega di funzioni da parte degli stessi enti a favore di uno di essi che opera, in tal caso, per loro conto e luogo. Quest’ultimo è un aspetto di grande rilevanza che ha innovato la disciplina in materia di Convenzioni rispetto al passato.

Le Convenzioni vengono disciplinate anche dalle recenti normative degli anni 2010 – 2012 come forma associativa alternativa o di ausilio alle Unioni di Comuni. Anche la Legge Delrio (Legge n. 56/2014) conferma la disciplina delle Convenzioni in quanto queste rappresentano uno strumento agile, estremamente flessibile, adattabile facilmente anche al mutare delle condizioni di gestione delle funzioni e servizi27.

L’Accordo di programma è disciplinato dall’art. 34 del T.U.E.L., al fine della realizzazione di azioni, opere ed interventi di notevole complessità. Infatti, attraverso l’Accordo di programma, Comuni, Province, Regioni, Amministrazioni dello Stato ed altri soggetti pubblici, possono condurre un’azione integrata e coordinata per il raggiungimento del fine comune prestabilito. Quindi ciò che lo distingue dalle Convenzioni è il maggior

27 A. Sacchi (a cura di), La gestione associata delle funzioni fondamentali dei Comuni

dopo la Legge Delrio (n.56/2014) e il Decreto Legge n. 90/2014, in Publika n. 54/2014.

L’art. 1, co. 107 della L. n. 56/2014 introduce un’assoluta innovazione in quanto estende i limiti demografici previsti per le Unioni di Comuni anche alle Convenzioni. L’intento originario del Governo era quello di porre fine alla possibilità di esercitare funzioni tramite Convenzioni, ma l’andamento del dibattito parlamentare ha invece condotto a far salvo, ancora per cinque anni, questo strumento alternativo. Il vero scopo è quello di indurre i Comuni a scegliere l’Unione piuttosto che la Convenzione. Cfr. F. Pizzetti, La riforma degli enti territoriali, Giuffrè, 2015, p. 239.

numero e la più ampia diversità di soggetti che possono essere coinvolti. L’obiettivo è quello di snellire ed abbreviare i tempi dell’azione amministrativa da parte di diversi livelli di governo che definiscono all’origine un consenso unanime nel procedere. La legge non attribuisce specificatamente ad un soggetto partecipante all’accordo l’obbligo di ricoprire il ruolo di coordinatore. L’iniziativa per la stipulazione dell’Accordo spetta di volta in volta all’ente territoriale, Regione, Provincia o Comune, che possa considerarsi maggiormente competente per la realizzazione dell’opera oggetto dell’accordo. Gli enti interessati si riuniscono poi in sede di conferenza, ove si definiscono le azioni e i ruoli dei singoli partecipanti. A seguito, l’autorità che ha promosso l’Accordo, lo approva con un atto formale che dovrà poi essere pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione interessata. Al fine di vigilare sull’esecuzione dell’Accordo, è prevista la creazione di un collegio presieduto dal Presidente della Regione o della Provincia o del Sindaco e composto dai rappresentanti degli enti locali interessati, nonché dal commissario del governo nella Regione o dal prefetto nella Provincia interessata qualora partecipino all’accordo amministrazioni statali o enti pubblici nazionali. Tale collegio di vigilanza ha poteri sostitutivi nei confronti dell’amministrazione inadempiente. Questo profilo, insieme ad altri elementi, tra cui la possibilità di prevedere forme di arbitrato in caso di inadempienze, ci porta ad affermare che il mancato rispetto dell’Accordo costituisce inadempimento e che i provvedimenti degli enti coinvolti incompatibili con il contenuto

dell’Accordo di programma possono essere oggetto di impugnazione per eccesso di potere. L’Accordo di programma, in sostanza, obbliga le parti al relativo rispetto e mira ad instaurare tra le stesse un effettivo rapporto di collaborazione durevole è regolamentato nei suoi sviluppi e controllato nei suoi esiti.

I Consorzi, come detto, rappresentano il più antico degli strumenti collaborativi tra enti locali. Tale modello ha subito nel corso del tempo, diverse modifiche. La disciplina dei Consorzi, era contenuta nell’art. 25 della Legge n. 142/1990, successivamente modificato dal D.L. n. 361/1995, convertito in Legge n. 437/1995 e infine trasfuso, con alcune modifiche, nell’art. 31 del T.U.E.L. In particolare, mentre l’art. 25 della L. n. 142/1990 rendeva possibili solo i Consorzi tra Comuni e Province, l’art. 31 del T.U.E.L., ha esteso la possibilità di creare Consorzi anche a tutti gli altri enti locali e agli enti pubblici28. Secondo quando espresso dal T.U.E.L, i Consorzi sono enti strumentali dell’ente locale per l’esercizio in forma associata di servizi e funzioni pubbliche. Il consorzio viene costituito con l’applicazione, in quanto compatibile, della normativa sulle aziende speciali prevista dall’art. 114 del T.U.E.L.29. Questa forma associativa, dotata di personalità giuridica, seppur più funzionale rispetto al passato, conserva la caratteristica della

28 La partecipazione ai consorzi da parte degli Enti Pubblici è consentita ove la stessa

sia prevista come possibile dalle leggi a cui sono soggetti gli Enti stessi.

29 Sono inoltre da ricordare le novità introdotte nella disciplina dei consorzi dall’art.

35 della legge n. 448/2001 che ha integrato l’art. 115 del T.U.E.L. in merito alle procedure di trasformazione delle aziende speciali in società per azioni estendendo la stessa normativa anche alle trasformazioni di consorzi, intendendosi sostituita dal consiglio comunale l’assemblea consortile.

strumentalità dell’istituto rispetto, come vedremo, ad esempio, alle Unioni di Comuni, volte a realizzare una sinergia di più ampia portata tra gli Enti interessati. I Consorzi si distinguono in facoltativi ed obbligatori. Questi ultimi sono disciplinati dall’art. 31, ultimo co., T.U.E.L e prevedono che, in caso di rilevante interesse pubblico, lo Stato, con legge propria, con il successivo intervento di leggi regionali, ne disponga la costituzione di tali forme associative per l’esercizio di determinate funzioni e servizi. I Consorzi facoltativi, invece, possono essere di due tipi: Consorzi di servizi o di funzioni. Prima dell’entrata in vigore della Legge n. 448/2001, i Consorzi di servizi, gestivano attività a rilevanza economica o, se previsto dallo statuto, servizi sociali in forma imprenditoriale; successivamente all’entrata in vigore della Legge n. 448/2001 e alle modifiche introdotte in materia di servizi pubblici locali dall’art. 14, D.L. n. 269/2003 convertito in Legge n. 326/2003, i Consorzi di servizi possono gestire soltanto servizi pubblici a carattere non economico. I Consorzi di funzioni, invece, sono enti che gestiscono servizi sociali in forma non imprenditoriale o esercitano in forma associata funzioni amministrative strumentali, quali ad esempio quelle di segreteria, tecniche o di statistica. Questo tipo di Consorzi acquista la personalità giuridica con la sottoscrizione dell’atto costitutivo: la Convenzione. Il Consorzio si costituisce, infatti, per mezzo dell’approvazione, da parte dei componenti dei Consigli degli Enti interessati, di una convenzione e di uno statuto approvato a maggioranza assoluta. La convenzione, vero atto costitutivo del

Consorzio, disciplina le competenze degli organi consortili, le finalità e la durata dell’accordo, mentre lo statuto definisce l’organizzazione, la nomina e le funzioni degli organi. La Legge n. 191/2009, come modificata dal D.L. n. 2/2010, convertito in Legge n. 42/2010, dispone

<<la soppressione, al fine del contenimento della spesa pubblica, dei Consorzi di funzioni, facendo salvi solo i bacini imbriferi montani costituiti ai sensi dell’art. 1 della Legge n. 959/1953. Dall’abrogazione dei Consorzi di funzioni sono altresì fatti salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti per i dipendenti i quali vengono riassorbiti dai Comuni, nonché le funzioni e le risorse economiche con successione dei Comuni in tutti i rapporti giuridici facenti capo al Consorzio>>. L’organizzazione “strutturata” del Consorzio prevede poi

specifici organi rappresentativi dei diversi enti consorziati quali l’Assemblea del Consorzio, composta dai rappresentanti degli enti associati nella persona del Sindaco e il Presidente o di un suo delegato, ognuno con responsabilità proporzionale alla quota di partecipazione fissata dalla Convenzione e dallo Statuto30. È inoltre vietato costituire più di un Consorzio tra gli stessi enti locali. Il T.U.E.L. non stabilisce alcuna disposizione sullo scioglimento del Consorzio o il recesso da parte di uno degli enti consorziati, per cui l’ipotesi più plausibile è quella del mutuo consenso, in quanto rappresenta l’espressione di una volontà dei consorziati eguale e contraria all’assunzione del vincolo.

30 La quota di partecipazione viene determinata in considerazione del capitale conferito

da ciascun ente consorziato, la popolazione residente, il bacino di utenza, la media su base annuale della consistenza dei servizi e l’ammontare dei corrispettivi incassati.

Le Comunità montane, tra le forme di cooperazione tra enti locali, pur non essendo di fatto una delle realtà contemplate dal Legislatore tra le forme associative, incontrano con le forme precedentemente descritte delle affinità tali da meritarne la trattazione congiunta. La Comunità montana è stata per la prima volta introdotta nel nostro ordinamento con la Legge n. 1102/1971, poi integrata e modificata dalla Legge n. 93/1981. Secondo le disposizioni ivi contenute, le Regioni dovrebbero, con propria legge: delimitare le zone omogenee e i Comuni chiamati a costituire la comunità montana; emanare norme per la formulazione di Statuti, l’articolazione e la composizione di organi amministrativi; fissare criteri di ripartizione per i finanziamenti sia statali che regionali, per la preparazione di piani di zona e i programmi annuali delle comunità stesse; regolare i rapporti con gli altri enti operanti nel

territorio. Per quanto riguarda l’organizzazione, sulla base delle L. n. 1102/1971, spettava alle Regioni prevedere un’assemblea (formata

da un certo numero di consiglieri eletti dai consiglieri comunali, con salvaguardia delle minoranze), una giunta esecutiva, un presidente, un collegio di revisori di conti (eletti tutti dall’assemblea). Le comunità montane venivano altresì definite <<enti di diritto pubblico>>. A questo proposito, la successiva Legge n. 142/1990 ha precisato che queste sono <<enti locali>> dotati di indipendenza funzionale e soggetti alla medesima disciplina normativa degli enti locali31. Ai sensi della L. n. 142/1990, inoltre, le Comunità montane sono costituite con

31 Possibili destinatari, quindi, di deleghe regionali secondo quanto previsto dall’art.

Legge regionale tra comuni montani o parzialmente montani della stessa Provincia senza la necessaria appartenenza, sotto il profilo territoriale ed economico sociale, a zone omogenee. Vige, infine, il divieto di appartenenza alle Comunità montane a quei Comuni con popolazione superiore ai 40.000 abitanti. Nel tentativo di ridimensionare le funzioni, in specie quelle di programmazione, la Legge n. 97/1994 ha ampliato i poteri e le capacità di intervento delle Comunità montane, individuando settori omogenei di intervento mediante esercizio associato delle funzioni comunali32. Successivamente, la L. n. 265/1999 ha provveduto ad una revisione del precedente ordinamento, poi completata dal T.U.E.L. che, all’art. 27, co. 1, definisce espressamente le Comunità montane <<Unioni di Comuni>>, ponendo fine alla disputa relativa alla natura giuridica delle stesse. La riforma costituzionale del 2001 non ha invece preso in considerazione la figura delle comunità montane, rimaste escluse dal novero degli <<enti dotati di autonomia

costituzionalmente garantita>>. In questo senso si è espressa anche la

Corte Costituzionale33, che ha ritenuto le Comunità montane un <<caso

speciale di Unione di Comuni creata in vista della valorizzazione delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto non consentirebbe la frammentazione di Comuni montani, funzioni proprie, funzioni conferite e funzioni comunali>>. Di fatto, in materia,

è rimasta una forte competenza residuale delle Regioni, alle quali sono stati chiesti, negli anni seguenti, interventi principalmente di

32 Si veda l’art. 11 della Legge n. 97/1994.

razionalizzazione. In particolare, attraverso la L. n. 244/2007, è stato chiesto loro di provvedere alla riorganizzazione delle Comunità montane con finalità di riduzione della spesa. In caso di inadempimento la legge prevedeva la soppressione di certe tipologie di Comunità montane. La Corte Costituzionale34 ha poi dichiarato in parte l’incostituzionalità della L. n. 244/2007 ritenuta lesiva di determinate competenze rientranti nella competenza legislativa regionale. Nonostante ciò, con la Legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Legge finanziaria per il 2010), è stata disposta la cessazione del contributo statale a favore delle Comunità montane, comportando la progressiva riduzione delle stesse35, che si sono spesso “trasformate” in Unioni di Comuni, anche se ancora oggi esistono nel territorio nazionale zone con una fortissima presenza di Comunità montane nel territorio regionale36.

Le Comunità isolane o d’arcipelago sono state disciplinate dal T.U.E.L. (art. 29), che ha ritenuto applicabili alle stesse le norme sulle Comunità montane.37 I Comuni appartenenti ad un’isola di minori dimensioni

possono decidere di costituire o una Comunità isolana o una Comunità d’arcipelago, con l’estensione in questo caso delle dimensioni dell’ente associativo. A differenza delle Comunità montane che vengono istituite con atto del Presidente della Giunta regionale, le Comunità isolane o d’arcipelago si possono creare per iniziativa dei Comuni interessati.

34 Si veda Corte Costituzionale, sentenza del 9 Gennaio 2009, n. 237. 35 La Lombardia, nel 2009, ha ridotto le comunità montane da 30 a 23.

36 Il 90% in Trentino Alto Adige, Valle D’Aosta, Umbria e il 70% anche in Basilicata,

Molise, Abruzzo. Sono inoltre circa 9.000.000 i cittadini dei Comuni compresi in comunità montane.

Le Unioni di Comuni, introdotte dal Legislatore con Legge 8 Giugno 1990, n. 42, rappresentano la più rilevante ed innovativa forma di cooperazione ed associazionismo tra Comuni. Le motivazioni di questa importanza sono rintracciabili nelle caratteristiche che li determinano. Innanzitutto, si tratta di un modello che ha lo scopo di promuovere la semplificazione amministrativa, riordinando l’ordinamento degli enti associativi con l’obiettivo di contenere i costi di funzionamento degli organi e ridurre al minimo gli oneri per le strutture. Per questi motivi va operata una scelta razionale e lungimirante accompagnata da una disciplina di carattere nazionale semplificata che renda le Unioni di Comuni più forti. Le Unioni di Comuni sono enti locali nuovi e diversi, distinti dagli enti che li hanno costituiti, dotati di una propria personalità giuridica. La natura giuridica di ente locale, dunque, attribuisce all’Unione la capacità di essere destinatario della delega delle funzioni amministrative regionali o dell’attribuzione delle funzioni esclusivamente locali nelle materie di competenza regionale38. La

costituzione normativa delle Unioni ha, nell’ottica del legislatore, l’intento di creare una sede istituzionale di secondo livello cui affidare la gestione associata delle funzioni comunali, posto permanentemente al servizio di tutte le tipologie di Comuni per gestire un rapporto collaborativo. In tale ottica, l’Unione di Comuni diventa una concreta alternativa alla Convenzione e al Consorzio. Inoltre, rispetto alla Convenzione ha il vantaggio di dare vita ad un ente nuovo e diverso, al

38 P.P. Mileti, Le Unioni di Comuni. La cooperazione tra gli enti locali quale scelta

quale assegnare funzioni scorporate dagli enti che ne fanno parte. Rispetto al Consorzio, invece, si presenta come uno strumento maggiormente flessibile e rispettoso dell’autonomia comunale, poiché il modello istituzionale delle Unioni non è prefigurato dal legislatore, ma lasciato alla volontà politica e amministrativa degli enti e sostanzialmente si esprime mediante lo statuto39.

Le Unioni Comuni, hanno subito una rilevante evoluzione legislativa che merita di essere trattata con attenzione.