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Possibili fattori ostativi al processo aggregativo: il fenomeno del campanilismo

REGIONE TOSCANA

2. Il modello dell’associazionismo nella Regione Toscana

2.2 Possibili fattori ostativi al processo aggregativo: il fenomeno del campanilismo

Possiamo affermare come la volontà del Legislatore statale in merito alle Unioni di Comuni abbia subito, negli anni, un esito positivo da parte delle Regioni e degli Enti locali stessi: il numero delle Unioni di Comuni è infatti aumentato di anno in anno, soprattutto in seguito all’entrata in vigore di recenti normative.

L’Unione di Comuni è stata definita come la forma più promettente di cooperazione, in quanto presuppone un’integrazione duratura, pur mantenendo, per certi aspetti, l’identità delle amministrazioni e delle comunità locali coinvolte105. Le caratteristiche delle Unioni sono il mantenimento e la valorizzazione dell’identità territoriale dei Comuni associati e la condivisione delle proprie risorse amministrative, territoriali e umane nell’associazione106. Le Unioni infatti, rappresentano anche nuovi soggetti di programmazione territoriale, di riconquista di capacità di governo dei territori da parte degli amministratori dei piccoli e piccolissimi Comuni capaci di conferire

104 Ancitel, 2016

105 L. Vandelli, Unioni di Comuni. Uno studio sui vincoli e le opportunità

organizzative, in Le istituzioni del federalismo, n. 6/2012

106 F. Rubino, Le Unioni di Comuni nella dottrina e negli studi empirici, Maggioli,

nuova vitalità alle innumerevoli risorse locali ed accrescere la qualità della vita delle popolazioni residenti107.

L’obiettivo delle Unioni consiste, come si è ricordato, nel raggiungimento di nuove economie di scala e di una razionalizzazione secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità dell’attività comunale attraverso lo svolgimento in forma associata di funzioni e servizi.

Nella realtà, però, nonostante l’incremento quantitativo delle Unioni nel corso degli anni, il grado di vitalità delle Unioni stesse subisce battute d’arresto, tanto da essere state definite “associazioni vetrina”108,

formalmente ineccepibili, ma sostanzialmente vuote. Tutto può derivare da diversi fattori ostativi al processo aggregativo che, di conseguenza, ne limitano anche la sopravvivenza. Spesso, come abbiamo visto, le Unioni di Comuni sono il risultato di un obbligo imposto dal legislatore statale e pertanto l’aggregazione coattiva e non volontaria tende a rivelarsi fallimentare. Inoltre, gli strumenti individuati dal Legislatore regionale non sempre soddisfano le esigenze dei Comuni che devono aggregarsi. Basti pensare alla definizione degli ambiti territoriali ottimali: il concetto cambia da Regione a Regione sulla base delle caratteristiche geografiche e territoriali. Vi sono alcune Regioni, quali la Liguria, ad esempio, i cui ambiti territoriali occupano una superficie vasta, tale da rendere più difficile, in termini concreti, un’aggregazione

107 Atti della II Conferenza Nazionale Anci Piccoli Comuni, Unioni di Comuni –

associazionismo comunale, una sfida strategica per l’intera repubblica.

108 M. Marotta, Quante Unioni, Quali Unioni. Studio sulle Unioni di Comuni in

di funzioni e servizi. Inoltre, vi sono i già citati limiti imposti dal Legislatore statale in merito alla soglia demografica minima per la costituzione di una nuova Unione che gravano sull’aggregazione di contesti territoriali ancora una volta eterogenei. Ciò serve a capire come, le scelte “di risparmio” del Legislatore, sia statale che regionale, comportino una risposta negativa da parte dei Comuni interessati, i quali faticano a sentirsi parte di un contesto che deve abbandonare il concetto di Comune come ente più vicino e prossimo alle esigenze dei cittadini. Di conseguenza, qual è uno dei fattori che maggiormente condiziona le dinamiche aggregative? Sicuramente l’omogeneità109.

Il concetto di omogeneità prende spunto da quelle che sono le principali affinità secondo cui è possibile considerare adeguata una determinata aggregazione di Comuni. Tali sono l’affinità dimensionale, orografica, culturale e politica. In particolare, l’affinità culturale ci porta a considerare un aspetto di tipo tradizionale, ovvero quanto il territorio aggregando abbia già dimostrato di essere considerato come un tutt’uno e non abbia bisogno, culturalmente, di aggregazioni. Questo punto di vista considera, principalmente, la preferenza dei cittadini utenti ed è spesso alla base del c.d. campanilismo, termine che fa parte ampliamente delle cultura del nostro Paese, che significa attaccamento esagerato e gretto alle tradizioni e agli usi della propria città110.

109 M. Marotta, Quante Unioni, Quali Unioni. Studio sulle Unioni di Comuni in Italia,

XXIX Convegno SISP, cit.

Infatti, rappresentano motivi di limitazione all’aggregazione in Unioni la volontà di non perdere autonomia e controllo sulle attività gestite in forma associata, la mancanza di cultura collaborativa e la resistenza al cambiamento (che si lega alla percezione dei costi/benefici del cambiamento, alla cultura/clima organizzativo, nonché al timore di non saper gestire il processo di cambiamento), la divergenza di valori e interessi e l’elevata differenziazione sociale, economica e territoriale anche tra gli enti limitrofi. Soprattutto la differenziazione del diverso grado di sviluppo delle funzioni e delle attività da svolgere in forma associata può essere un forte ostacolo, in quanto le amministrazioni più avanzate non sempre sono disposte a trasferire le loro conoscenze e le loro modalità organizzative agli enti più in difficoltà111.

Il campanilismo è perciò un elemento ostativo rilevante per le scelte aggregative poiché da esso, dipendono, in un certo senso, gli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità dell’Unione perseguite attraverso l’adeguato svolgimento delle funzioni fondamentali.

Nelle Unioni di Comuni è quindi possibile individuare due forze: una che spinge al cambiamento e un’altra che resiste al cambiamento112.

Quest’ultima è data dalla forza del campanilismo che non ostacola il raggiungimento di uno stato di equilibrio nell’organizzazione; per rispondere agli obiettivi fissati dal quadro normativo dovrebbe, invece, prevalere la forza che spinge al cambiamento.

111 F. Rubino, Le Unioni di Comuni nella dottrina e negli studi empirici, cit, p. 61 112 L. Sergio, Autonomie locali: l’Unione dei Comuni come leva del cambiamento

CAPITOLO IV