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Le Unioni di Comuni dopo la riforma del Titolo V della Costituzione

DEL MODELLO DELLE UNIONI DI COMUN

2. Le Unioni di Comuni nell’evoluzione legislativa

2.4 Le Unioni di Comuni dopo la riforma del Titolo V della Costituzione

La riforma del Titolo V attuata dalla legge costituzionale n. 3/2001 si è occupata del problema della competenza legislativa in materia di forme associative degli enti locali. A riguardo, sono state avanzate diverse ipotesi. Secondo alcuni infatti, le forme associative, ricadrebbero nella competenza legislativa residuale delle Regioni, in quanto non espressamente elencate in alcuna materia esclusiva dello Stato dal nuovo art. 117. Secondo un’altra interpretazione invece, la competenza statale in materia di organi di governo, legislazione elettorale e funzioni fondamentali dei Comuni, comporterebbe un’analoga competenza in materia di forme associative degli stessi, affermando quindi una competenza esclusiva dello Stato. Così, risulterebbe in capo agli enti locali la potestà decisionale in materia di forme associative, le quali potrebbero essere costituite solo su base

47 V. Tondi Della Mura, La riforma delle Unioni di Comuni fra “ingegneria” e

“approssimazione” istituzionali, cit.

48 P. Bilancia, L’associazionismo obbligatorio dei Comuni nelle più recenti evoluzioni

volontaria, anche alla luce dell’ampliamento della loro autonomia statutaria e regolamentare49.

Ad ulteriore complicazione, è successivamente intervenuta la Legge n. 131/2003 che, nel dare attuazione agli artt. 114 e 117, co. 6, Cost., in materia di potestà normativa degli enti locali, ha pienamente equiparato Comuni, Province e Città metropolitane ad Unioni di Comuni e Comunità montane e isolane, oggi dotate di autonoma potestà statutaria e regolamentare.

Sembra, in ogni caso, di potere affermare una ripartizione di competenze in materia di forme associative in questo senso: lo Stato ha competenza limitatamente alle forme di natura privatistica, salva la possibilità di una previsione della necessità di una gestione associata nell’individuazione di determinate funzioni fondamentali, ex art. 117, co. 2 lett. p), Cost.; alle Regioni spetta la competenza nell’individuazione e nella disciplina legislative delle concrete forme associative, con particolare riferimento a quelle di tipo istituzionale o burocratico, e in connessione con la necessaria individuazione degli ambiti ottimali di esercizio delle funzioni amministrative di competenza locale; infine, spetta agli enti locali decidere quale strumento associativo adottare, anche alla luce di disposizioni legislative di conferimento delle funzioni e della necessaria garanzia dell’efficienza dell’azione amministrativa, il tutto con il

49 T. F. Giupponi, “Autonomie territoriali e processi di riforma: le forme associative

degli enti locali tra legge statale e legge regionale”, in Scritti in onore di Giuseppe Palma, Giappichelli, 2012, p. 14.

coinvolgimento delle autonomie locali nelle sedi concertative adeguate a livello statale o regionale.

Appare quindi di notevole importanza l’individuazione degli ambiti ottimali di esercizio delle funzioni, collegati ad una incentivazione allo svolgimento delle stesse in forma associata, cui deve unirsi la previsione normativa delle funzioni fondamentali degli enti locali da parte sia dello Stato che delle Regioni.50 Si conferma perciò una ruolo centrale della Regione nel doveroso rispetto dell’autonomia costituzionale dei Comuni coinvolti e delle stesse forme associative di natura istituzionale. Stante l’orientamento giurisprudenziale delineato, in definitiva, la competenza legislativa in tema di Unioni di Comuni parrebbe restare riservata alle Regioni (art. 117, co. 4, Cost.) e alle fonti locali (art. 4, co. 5, L. n. 131/2003), salva la potestà statale d’intervenire a titolo di “coordinamento della finanza pubblica” con norme di principio e tali da non esaurire l’autonoma scelta regionale (art. 117, co. 3, Cost.). Si tratta, tuttavia, di una conclusione che lascia insoddisfatti. Piuttosto che assicurarne peraltro richiesta dalle Unioni di comuni, il modello è formulato in modo doppiamente equivoco: oltre a favorire la moltiplicazione regionale dei micro modelli associativi, infatti, il modello delle Unioni si presta a essere aggirato per mezzo di un impiego verosimilmente estensivo51.

50 Questi profili emblematici sono stati al centro della giurisprudenza della Corte

costituzionale. Con la sentenza del 24 Giugno 2005, n. 244, la Corte ha infatti espressamente affermato la competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di forme associative degli enti locali.

51 V. Tondi Della Mura, “La riforma delle Unioni di Comuni fra “ingegneria” e

I primi sistemi di finanziamento alle forme di associazionismo tra enti locali sono stati previsti dal Decreto del Ministero dell’interno n. 318/2000, poi modificato dal DM n. 289/2004.

Con il D.M. n. 318/2000 è stata disciplinata la ripartizione dei contributi spettanti ai Comuni derivanti da procedure di fusione, alle Unioni di Comuni e alle Comunità montane che svolgono le funzioni in forma associata. In particolare alle Unioni di Comuni spetterebbe il 60% del totale dei fondi erariali destinati annualmente, <<ove l’Unione di

Comuni coincida esattamente con gli ambiti territoriali ottimali di esercizio delle funzioni individuati ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del Decreto legislativo 31 Marzo 1998. n. 12.>>, ma precisando che il

contributo è ridotto proporzionalmente in caso di insufficienza dei fondi erariali. La richiesta di contributo viene quindi trasmessa entro il 30 settembre dell’anno <<di prima istituzione delle Unioni, ampliamento

o conferimento di nuovi servizi>>. All’art. 3 del DM vengono poi

elencate le percentuali, calcolate ogni dieci anni, da applicare alle Unioni di Comuni in base alla popolazione. Altri contributi, poi, vengono determinati sia in base al numero degli enti associati52 sia in base ai servizi determinati in forma associata53.

Percorrendo le principali tappe normative delle Unioni di Comuni, è opportuno fare di nuovo riferimento alla Legge n. 42/2009 avente ad oggetto il federalismo fiscale. Infatti, oltre alla stesura di un primo elenco provvisorio di funzioni fondamentali da attribuire agli enti locali,

52 Art. 4, DM 318/2000. 53 Art. 5, DM 318/2000.

tale normativa ha considerato anche l’esercizio delle funzioni in forma associata. In particolare, l’art. 12 riguardante <<Principi e criteri

direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali>>, co. 1, lett. f), riconosce la <<Previsione di forme premiali per favorire unioni e fusioni tra Comuni, anche attraverso l’incremento dell’autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali>>.

Queste tappe normative sono fondamentali per comprendere l’importanza delle Unioni di Comuni, il cui principale obiettivo era quello di razionalizzazione della spesa pubblica tramite l’esercizio in forma associata. I finanziamenti e i premi previsti a tale scopo, nel lungo termine, si sarebbero dovuti tradurre in un consistente risparmio per gli enti locali. Tuttavia, come vedremo, le riforme intervenute successivamente, muovendo dalla presa d’atto delle difficoltà nel raggiungimento dei suddetti obiettivi, hanno fatto ricorso a Unioni di Comuni “obbligate” alla fusione, proprio come era già stato ipotizzato dalla L. n. 142/1990.

2.5 Le Unioni di Comuni nel quadro del contenimento della spesa