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La Legge “Napolitano–Vigneri” e le nuove Unioni di Comun

DEL MODELLO DELLE UNIONI DI COMUN

2. Le Unioni di Comuni nell’evoluzione legislativa

2.2 La Legge “Napolitano–Vigneri” e le nuove Unioni di Comun

Il c.d. “federalismo amministrativo” introdotto dalla Legge Bassanini n. 59 del 1997 e attuato con D. Lgs. n. 112/1198 ha riportato l’attenzione sull’inadeguatezza degli enti locali minori nello svolgimento delle funzioni amministrative a cui ha fatto seguito una forte esigenza di cooperazione conseguentemente all’individuazione, da parte delle Regioni, degli ambiti ottimali per la gestione sovracomunale di funzioni e servizi. In quest’ottica, la Legge n. 265/1999, c.d “Napolitano – Vigneri”, ha riconosciuto all’Unione di Comuni la potestà regolamentare per la disciplina della propria organizzazione, per lo svolgimento delle funzioni ad essa affidate e per i rapporti, anche finanziari, con i Comuni. Inoltre, ha abrogato l’obbligo per cui le Unioni, una volta trascorsi dieci anni, avrebbero dovuto necessariamente tramutarsi in fusioni, delegando al Governo il compito di adottare un Testo unico di coordinamento delle disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei Comuni e delle Province e delle loro forme associative. Quindi l’intervento della L. n. 265/1999 mirava innanzi tutto a determinare i presupposti perché le

42 V. Tondi Della Mura, La riforma delle Unioni di Comuni fra “ingegneria” e

Unioni di Comuni potessero diventare il principale strumento associativo per eliminare le loro carenze amministrative ed organizzative.

La libera associazione tra Comuni è stata quindi favorita oltre che dall’abolizione del limite della fusione, anche dal venir meno del limite demografico – numerico previsto invece nella L. n. 142/1990.

Passando ad un’analisi più specifica della normativa, vediamo che le Unioni di Comuni sono ora disciplinate dall’art. 6, co. 5, che ha sostituito integralmente l’art. 26 della L. n. 142/1990. È stato inoltre introdotto un art. 26 bis, secondo cui si pone a carico della potestà legislativa regionale l’onere di <<favorire il processo di

riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture>> e di promuovere le Unioni di Comuni <<senza alcun vincolo alla successiva fusione>>, ma solo prevedendo <<ulteriori benefici da corrispondere alle Unioni che autonomamente deliberino, su conforme proposta dei Consigli comunali interessati, di procedere alla fusione>>. L’Unione è stata definita un <<ente locale>>,

costituito da due o più Comuni e ha acquisito la titolarità dell’autonomia normativa, amministrativa e finanziaria tipica degli enti locali. All’Unione si applicano poi, in quanto compatibili, i principi previsti per l’ordinamento dei Comuni ed è quindi riconosciuta loro potestà statutaria e regolamentare.

Compito dello statuto è quello di individuare le funzioni svolte dall’Unione e le corrispondenti risorse, oltre alla determinazione degli

organi dell’Unione e delle modalità di costituzione dei medesimi. Lo statuto dovrà prevedere la figura del Presidente dell’Unione, scelto tra i Sindaci dei Comuni interessati e gli altri organi, composti da componenti delle Giunte e dei Consigli dei Comuni associati, con forme di garanzia della rappresentanza delle minoranze. Compito dei regolamenti è, invece, quello di disciplinare gli aspetti relativi al funzionamento degli organi dell’Unione, allo svolgimento delle funzioni ad essa affidate ai rapporti finanziari con i Comuni. Resta ferma la previsione secondo cui all’Unione competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad essa affidati. Ciò che preme sottolineare è che in seguito a tale riforma, l’Unione di Comuni <<si è configurata non solo quale ente plurifunzionale ma anche quale proiezione dell’autonomia comunale>>43 e come <<la percorribilità del processo di fusione fra Comuni sia realizzabile in via non già necessitata e coattiva, bensì eventuale e all’esito di un’esperienza associativa capace di trasfondere nell’Unione medesima i caratteri propri della natura esponenziale e autonoma dei Comuni partecipanti>>44. In questo modo è cambiata radicalmente e totalmente

la concezione delle Unioni di Comuni che vengono inquadrate quali enti locali aventi il compito di associare in maniera ottimale funzioni e servizi al fine di migliorarne l’efficienza. L’obbligatorietà si tramuta in

43 S. Mangiameli, Titolo V, Ordinamento degli enti locali e Comunità montane, in

Giur. Cost., 2005, p. 20120

44 V. Tondi Della Mura, La riforma delle Unioni di Comuni fra “ingegneria” e

volontarietà e facoltà, come risultato appunto di una forte esperienza associativa.

2.3 L’ approdo al T.U.E.L.

Una volta portato a compimento il progetto previsto dalla Legge 265/1999, che prevedeva la redazione di un testo unico che fornisse una panoramica completa sulla normativa degli enti locali, le Unioni di Comuni sono state disciplinate all’art. 32 del T.U.E.L. Tale normativa ribadisce la natura di ente locale, al pari di Comune, Provincia, Città metropolitana, Comunità montana, Comunità isolana dell’Unione di Comuni e dotata di personalità giuridica pubblica. La capacità giuridica indica l’attitudine ad essere titolari di situazioni giuridiche e ciò è fonte di titolarità del potere amministrativo. La soggettività giuridica pubblica, inoltre, comporta per le Unioni anche la capacità giuridica di diritto privato, quindi la capacità di autoregolare i propri interessi mediante negozi giuridici. Questo non significa però che le stesse abbiano capacità di agire, ovvero l’attitudine a compiere atti giuridici idonei a produrre effetti giuridici, ma hanno l’attitudine all’imputazione giuridica degli atti, la quale si svolge attraverso l’organo della persona giuridica.

All’art 32, co. 1, si ribadisce che l’Unione debba essere costituita da almeno due Comuni, <<contermini>> soltanto <<di norma>>. Quindi l’obbligatorietà che i Comuni aderenti siano confinanti viene sostituita dalla richiesta a favore di una migliore condizione delle stesse Unioni.

Viene mantenuta la concezione già prevista dalla L. n. 265/1999 per cui non è necessario che l’Unione di Comuni debba costituirsi in previsione di una fusione tra i Comuni che la costituiscono. Questo però non significa che tale fusione sia necessitata: perché vi sia la fusione, infatti, devono ricorrere alcune condizioni, ovvero deve esserci la volontà politica di volerla costituire e i Comuni interessati devono essere confinanti45.

Lo scopo delle Unioni di Comuni rimane quello dell’<<esercizio

associato di funzioni e servizi>>. Con il termine funzioni si intendono

tutti i compiti e le attività proprie del Comune o a esso delegate. Quando parliamo di servizi invece facciamo riferimento ai servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni e di attività, rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e sociale delle comunità locali, così come previsto dall’art. 112 T.U.E.L.

Riguardo agli organi di governo, l’art. 32, co. 3, conferma quanto già era stato previsto in passato: il Presidente delle Unioni deve essere necessariamente un Sindaco di uno dei Comuni aderenti all’Unione, mentre la Giunta è composta dagli assessori dei Comuni che costituiscono l’Unione di riferimento. L’Unione si conferma poi come ente locale dotato di potestà statutaria e regolamentare a cui si applicano, in quanto compatibili, i principi previsti per l’ordinamento dei Comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori, all’ordinamento finanziario e contabile, al personale e

45 La fusione può avvenire anche tra Comuni contigui di Province differenti, dopo

all’organizzazione. All’Unione vengono conferite le risorse umane e strumentali necessarie all’esercizio delle funzioni da parte dei Comuni partecipanti. Per quanto riguarda le risorse umane, <<La spesa

sostenuta per il personale dell’Unione non può comportare, in sede di prima applicazione, il superamento della somma delle spese di personale sostenute precedentemente dai singoli Comuni partecipanti>>. Inoltre, si specifica che <<a regime, attraverso specifiche misure di razionalizzazione organizzativa e una rigorosa programmazione dei fabbisogni, devono essere assicurati i progressivi risparmi di spesa in materia di personale >>.

Infine si ribadisce che alle Unioni competono gli introiti derivanti dalla tasse e dai contributi sui servizi ad esse affidati.

Perciò, una volta sganciato il raggiungimento della gestione associata dalla successiva fusione e svanito il timore dell’effetto dissolutivo indotto dal modello precedente, si è registrata una crescente diffusione dei modelli associativi e un vigoroso impulso alle Unioni di Comuni come disciplinate all’art. 6, co. 5, della L. n. 265/1999 e poi all’art. 32 del T.U.E.L46. L’Unione appariva così come una proiezione dei Comuni rispettosa e finanche partecipe della loro autonomia e conformazione. Il modello flessibile nelle dimensioni e negli obiettivi, in relazione alle diverse esigenze territoriali, faceva dell’Unione un ente locale sovracomunale dotato di forza contrattuale, di capacità politica e di gestione delle funzioni fondamentali per l’erogazione dei servizi alla

46 C. Pennacchietti, L’associazionismo comunale obbligatorio nelle più recenti

persona47. Allo stesso tempo però, tale sistema rischiava di originare Unioni non preordinate alla fusione, fortemente differenziate le une dalle altre nella disciplina e nella struttura, con la conseguenza di generare nuove sedi decisionali, sovrapposizioni di funzioni, incarichi ed emolumenti48.

2.4 Le Unioni di Comuni dopo la riforma del Titolo V della