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Criticità e nuovi paradigmi per la gestione associata della Valdera: un ritorno al passato?

L’UNIONE DEI COMUNI DELLA VALDERA

2. Criticità e nuovi paradigmi per la gestione associata della Valdera: un ritorno al passato?

La complessa realtà dell’Unione Valdera ha dato origine nel suo percorso a numerosi ostacoli che hanno impedito la piena realizzazione di quegli obiettivi di partecipazione e di efficiente organizzazione nello svolgimento di funzioni e servizi. L’Unione Valdera, infatti, come si è visto, è stata costituita sulla base dell’individuazione, da parte della legge regionale della Toscana, di ambiti ottimali per l’esercizio associato di funzioni e servizi. Sotto il profilo dell’efficienza della produzione, la dimensione ottimale dell’integrazione tra enti locali può evidentemente variare in rapporto ai servizi di volta in volta considerati. È ormai chiaro, peraltro, che la dimensione corrispondente alla zona socio-sanitaria, come nel caso della Valdera, è individuata dalla Regione Toscana quale livello adeguato per l’implementazione delle principali

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politiche a livello locale, in quanto è ritenuta l’area più estesa in cui i cittadini possono ancora riconoscersi come appartenenti ad un territorio comune per il fatto di usufruire di servizi pubblici (ospedale, scuole superiori, uffici e trasporti) ed attività economiche riferibili a quella stessa area138. In realtà, per l’Unione Valdera, si sarebbero potute adottare soluzioni diverse per l’individuazione degli ambiti ottimali, più idonee ad assicurare una maggiore compattezza rispetto all’ampiezza demografica e territoriale. Sarebbe stato probabilmente più logico individuare un ambito ottimale, ad esempio, tra i Comuni dell’Alta Valdera, piuttosto che tra i Comuni che avevano, in passato, costituito il Consorzio Sviluppo Valdera. Tuttavia, si è scelto di procedere con la soluzione più ambiziosa e più coerente con la storia del territorio, sicuramente l’unica in grado di attribuire ai Comuni della zona un ruolo effettivo nella costruzione delle politiche sociali139. Così, siamo arrivati all’Unione odierna, che racchiude un territorio di 600 km2 che va dal

Comune di Buti al Comune di Chianni. Sotto il profilo logistico, è utile considerare, ad esempio, il sistema dei trasporti. Come è possibile individuare un efficiente sistema di trasporti, idoneo a soddisfare le esigenze di un territorio così vasto e densamente popolato? Ciò risulta essere complicato e di non facile attuazione. Ad oggi, infatti, vi sono zone, prevalentemente nei Comuni dell’Alta Valdera, che non beneficiano di un sistema efficiente di trasporti, risultando di fatto disagiate rispetto agli altri Comuni che, al contrario, hanno un sistema

138 G. Forte (a cura di), L’Unione dei Comuni della Valdera, cit. p. 28. 139G. Forte (a cura di), L’Unione dei Comuni della Valdera, cit. p. 29.

di trasporti più organizzato. Non possiamo non considerare poi il fatto che l’Unione Valdera costituisca un contenitore di più esperienze, tanto che ciascuna realtà porta con sé vissuti e modi di operare diversi. Questi aspetti rappresentano, di per sé, un fattore di debolezza e frenante il percorso associativo.

Un altro aspetto importante, da non sottovalutare, consiste nella diversità geografica dei Comuni di riferimento. La diversità, anche orografica, oltre a comportare difficoltà nell’erogazione dei servizi, senza che questi risultino particolarmente onerosi per i Comuni più piccoli, si traduce anche in differenziazione sulla base della “vocazione territoriale”: se, infatti, da una parte abbiamo Comuni industrializzati e che prediligono, attività terziarie; dall’altra, troviamo zone prevalentemente dedite all’agricoltura e, in parte, al turismo. Ancora una volta, sotto questo profilo, sono protagonisti i Comuni dell’Alta Valdera, che ospitano importanti aziende agricole e agrituristiche oltre che strutture alberghiere.

Sotto il profilo organizzativo, non è stato pienamente realizzato quel modello a rete che prevedeva poli back office e front office, comunicanti attraverso le nuove tecnologie di comunicazione e gli strumenti web. Infatti, accanto ai back office di Pontedera e Peccioli, a cui, per i servizi di protezione civile si affianca quello di Ponsacco, si sono in realtà aggiunti back office nei vari Comuni, creando così dei “doppioni” e allontanando l’Unione Valdera dalla realizzazione degli obiettivi di efficienza sotto questo profilo. Per l’Unione Valdera, si era in origine

avanzata l’ipotesi di dar vita ad un c.d. “back office diffuso”, costituito dall’insieme degli operatori di un determinato settore, organizzati come appartenenti ad un’unica unità organizzativa, pur continuando ad operare a livello di singolo Comune. Tuttavia è prevalsa subito la convinzione che, pur con tutte le possibilità offerte dalle moderne tecnologie per la collaborazione a distanza, la vicinanza fisica rappresenti ancora un valore aggiunto insostituibile nella creazione di un pool di professionisti distinti nelle diverse specialità, ma capaci di integrarsi all’occorrenza in lavori multi-disciplinari140. Il modello a rete,

invece, avrebbe meglio soddisfatto le esigenze del territorio della Valdera, senza però togliere la possibilità ai cittadini/utenti di recarsi presso appositi sportelli di back office. Sicuramente questa scelta non avrebbe potuto trovare immediata attuazione, ma avrebbe potuto consentire l’avvio di una soluzione organizzativa atta a privilegiare un modello organizzativo reticolare. Le ragioni di questo fallimento, se così si può dire, sono rintracciabili, in primis, in scelte di opportunità politica: infatti, a livello politico-amministrativo avrebbero dovuto essere previste delle scadenze attraverso cui accompagnare un processo di informatizzazione concreto, prevedendo anche di superare l’inerzia degli amministratori con meccanismi sostitutivi in modo tale da raggiungere una erogazione efficiente dei servizi. A ciò, vanno aggiunte le problematiche legate alle differenze dimensionali dei Comuni costituenti l’Unione Valdera. È proprio la diversità tra gli enti aderenti

che ha spinto l’Unione Valdera ad adottare alcuni indirizzi strategici finalizzati a mantenere un’elevata flessibilità del modello gestionale: ci riferiamo, in particolare, alle c.d. “geometrie variabili” e alla struttura direzionale “leggera”. La geometria variabile, che ha consentito l’avvio della nuova organizzazione in un quadro di flessibilità, tale da consentire a ciascun Comune partecipante di scegliere le funzioni da associare, ha però spinto i Comuni ad associare ciò che era per loro più conveniente, ostacolando in modo sostanziale anche una programmazione a medio– lungo termine delle attività e della nuova organizzazione. La mancanza di un quadro dirigente articolato ha inoltre minimizzato i costi aggiuntivi di struttura, ma ha di fatto concentrato la responsabilità sulla direzione generale, con conseguente rallentamento del processo di trasferimento delle funzioni141. La mancanza di un quadro dirigenziale strutturato ha

lasciato maggiori margini di discrezionalità ai funzionari comunali, che spesso hanno trascurato le indicazioni provenienti dai funzionari dell’Unione. Si è trattato, ancora una volta, di decisioni di carattere strategico, preferibilmente idonee in una prima fase del processo aggregativo, ma poco adeguate ai processi di consolidamento ad oggi richiesti. La situazione differenziata all’interno dell’Unione Valdera, dovuta oltre che alla presenza di Comuni di diversa dimensione anche alle loro capacità economico finanziarie sensibilmente divergenti, ha reso necessario un percorso di integrazione complessa, dovuta alla disomogeneità degli enti. Infatti, l’integrazione tra enti molto diversi

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presenta maggiori difficoltà rispetto all’integrazione tra simili e richiede soluzioni di tipo “solidaristico” in modo da non gravare troppo sui Comuni di minori dimensioni. Questo non ha impedito, come abbiamo visto, il tentativo di uniformare i servizi per i cittadini della Valdera ma, allo stesso tempo, non vi sono stati interventi “solidaristici” volti ad impedire ai piccoli Comuni di adeguarsi ad un modello strutturale di costi per loro inadeguato e, di conseguenza, anche per tali motivi, non si è realizzato un modello organizzativo efficiente.

Sotto il profilo economico, vi è stata fin dall’inizio la percezione che l’Unione Valdera, come del resto la maggior parte delle Unioni di Comuni, non generasse risparmi sulla spesa rispetto alle situazioni antecedenti. Certo è che in mancanza di un sistema di contabilità analitica, i singoli Comuni non sono posti in condizione di dimostrare l’effettiva spesa sostenuta dalle Unioni. Nonostante ciò, non è del tutto infondato sostenere che le spese dell’Unione Valdera siano aumentate, in virtù del fatto che, in questi anni, si è ampliata la sfera delle funzioni conferite all’Unione. Un sistema di contabilità analitica avrebbe permesso di misurare l’aumento di spesa dell’Unione in correlazione alla diminuzione della spesa sostenuta dai singoli Comuni e giustificata dal conferimento di funzioni e servizi all’Unione. Per quanto riguarda l’andamento della spesa di personale, anch’essa risulta essere notevolmente aumentata in favore, tuttavia, della progressiva diminuzione della medesima spesa per i Comuni appartenenti all’Unione. Talvolta, però, va ricordato, l’atteggiamento restio dei

singoli Comuni a cedere all’Unione Valdera unità di personale, ha comportato, da parte dell’Unione stessa, l’assunzione di personale esterno e, di conseguenza, maggiori costi.

Il percorso dell’Unione Valdera è stato, in parte, influenzato dalle disposizioni normative che sono intervenute negli anni. Inoltre, come si è visto, le forme di aggregazione previste per i Comuni dalla Legge Delrio, si articolano non solo in Unioni di Comuni, ma anche in processi di fusione e incorporazione agevolati allo scopo di aiutare i Comuni di minori dimensioni a confluire volontariamente in nuovi Comuni di dimensioni più ampie e più idonei a soddisfare le esigenze delle popolazioni. La Regione Toscana, in quest’ottica, si è mossa prevedendo, entro il 2020, una fusione di tutti i Comuni dell’Unione Valdera per la realizzazione di un unico Comune di area vasta che risponda alle esigenze di razionalizzazione della spesa dei Comuni. L’articolazione delle criticità fino ad ora considerate è il frutto, nella maggior parte dei casi, di scelte politiche mosse da esigenze campanilistiche che hanno ostacolato il percorso dell’Unione Valdera. I Comuni hanno faticato a condividere le funzioni e a realizzare l’obiettivo di un’Unione frutto di una solida partecipazione di tutte le forze in gioco. Stante ciò, sarà ancora più difficile immaginare i Comuni dell’Unione Valdera come un unico Comune.

A prova di quanto affermato, si deve ricordare che recentemente i Comuni di Peccioli, Chianni, Lajatico e Terricciola hanno manifestato la loro volontà di recedere dall’Unione Valdera per costituire una nuova

Unione di Comuni, costituita dai quattro Comuni più piccoli dell’Unione Valdera, che prenderà il nome di “Unione Alta Valdera”. A seguito della comunicazione ufficiale, il recesso avverrà ufficialmente il 30 giugno 2016. Non sono ancora chiare le modalità di costituzione della nuova Unione. Potrebbe infatti esserci un ritorno al passato: la nuova Unione potrebbe decidere di costituirsi non in una struttura centralizzata, ma in poli, individuati nei singoli Comuni dell’Unione, a cui affidare una specifica funzione o servizio. I Comuni di Capannoli e Palaia, che insieme ai quattro Comuni uscenti costituivano l’Alta Valdera, hanno invece deciso di non aderire all’iniziativa della nuova Unione, dando adito a non poche polemiche: basti pensare che nel 2013 vi era stato un referendum consultivo avente ad oggetto la fusione dei Comuni di Capannoli, Palaia e Peccioli.

A seguito della volontà dei quattro Comuni più piccoli, anche il Comune di Ponsacco, che conta 15.906 abitanti ed è, dopo il Comune di Pontedera, il Comune più popolato dell’Unione Valdera, ha manifestato dubbi sulla propria permanenza all’interno dell’Unione. Se questo si avverasse, vi sarebbero non poche ripercussioni sull’Unione Valdera, in relazione alla quale potrebbe addirittura prospettarsi lo scioglimento dal momento che sarebbe di fatto impossibilitata a sostenerne tutti i costi. È da considerare, quindi, un’idea folle l’uscita dei quattro Comuni dell’Alta Valdera, oppure lo è stata la scelta di costituire un’Unione tra Comuni troppo eterogenei? Sicuramente, la presenza dei piccoli Comuni dell’Alta Valdera è stata, fin dal principio, una sorta di “mina vagante”,

che sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro. Infatti, i Comuni che avevano costituito l’originario Consorzio Alta Valdera erano già di per sé una realtà associata molto solida che ha faticato ad inserirsi in un contesto più ampio e i piccoli Comuni, per le loro caratteristiche demografiche, geografiche ed economiche, hanno maggiormente risentito rispetto agli altri delle scelte organizzative adottate.

Pertanto, si potrebbe affermare che i Comuni dell’Unione Valdera non sono stati capaci di superare la logica “campanilista” che li ha da sempre distinti, facendo resistenza ad un percorso di riforma, prima ancora politico che istituzionale, che per essere implementato deve poter disporre di adeguate dotazioni: basti pensare alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, ovvero all’esigenza di prossimità tipica dei servizi sociali.

Conclusioni

Ciò che occorre affermare, in primis, alla luce del quadro normativo in materia di Unioni di Comuni descritto, è come questo si presenti, ai nostri occhi, di notevole complessità ma non affatto coerente. Se i primi interventi sulle Unioni di Comuni, rappresentati dalla L. n. 142/1990, come detto, erano volti ad una fusione degli enti locali, individuando quindi le stesse Unioni come lo strumento più adatto per il raggiungimento di tale obiettivo, la legislazione successiva ha interpretato le Unioni di Comuni, non tanto alla stregua di un mero strumento per l’esercizio in forma associata delle funzioni amministrative, bensì quali enti locali equiparabili ai Comuni con la differenza che la loro vocazione avrebbe dovuto concretizzarsi in strumenti di razionalizzazione della spesa pubblica da permettere alle pubbliche amministrazioni di attivare con minore sforzo economico e di risorse umane i diversi processi, sfruttando le risorse comuni. In effetti le Unioni di Comuni, proprio perché si propongono come una misura correttiva ai “Comuni polvere”, dovrebbero favorire economie di scala sull’attuazione di politiche volte a garantire efficacia, efficienza, trasparenza, razionalizzazione e semplificazione delle attività amministrative.

Tuttavia la crisi economico–finanziaria degli ultimi anni ha comportato un nuovo “cambio di rotta” del Legislatore statale in materia, volto a sancire, da un lato, l’obbligo di esercitare in forma associata le funzioni fondamentali dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e

dall’altro, seppur non obbligatoria, l’Unione dei Comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, sarebbe diventata per questi ultimi una condizione di sopravvivenza dal punto di vista finanziario (artt. 17-19, L. n. 135/2012). Benché si sia trattato, evidentemente, di interventi volti a “far cassa” piuttosto che rendere più efficienti l’organizzazione e l’azione di questi enti territoriali, si è comunque posto l’accento sui caratteri indefettibili dei Comuni chiamati ad esercitare le funzioni in un contesto finanziario sempre più critico. L’intenzione dell’ultimo intervento normativo, caratterizzato dalla Legge Delrio, è stata quella di riformare in modo concreto il sistema degli enti locali, dando voce a quelle problematiche da sempre sollevate e mai risolte seriamente dal Legislatore. La stessa riforma del Titolo V, infatti, non era bastata a stimolare un vero ripensamento del sistema degli enti territoriali, così come non era stata sufficiente la L. n. 42/2009 sul c.d. “federalismo fiscale”, adottata in attuazione dell’art. 119 Cost., che per anni suscitò speranze in quanti vedevano con lucidità la necessità di adeguare il sistema degli enti locali al nuovo quadro costituzionale.

La L. Delrio ha inteso dare attuazione anche ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza contenuti nell’art. 118 Cost. In questo modo, il legislatore ha fatto sì che si intensificassero i rapporti tra Stato e Regioni, affinché si instaurasse tra loro quella leale collaborazione considerata condizione necessaria per implementare strategie e politiche amministrative. Le Unioni di Comuni, in questo modo, vengono ad

assumere un carattere permanente che non guarda soltanto alle dimensioni, ma anche ad una effettiva volontà di collaborazione tra enti locali.

L’aumento delle Unioni di Comuni in Italia dal 2009 ad oggi, ha rappresentato, da una parte, la risposta affermativa alla concezione delle Unioni come il fenomeno più adatto a richieste di tipo collaborativo, nonostante la complessità degli interventi normativi; d’altra parte, però, la positività del fenomeno delle Unioni di Comuni si scontra con le “imposizioni” statali che, anche se non esplicite, “costringono” a valutare l’associazionismo come unica soluzione alle problematiche che investono gli enti locali. Il fatto che vi siano più Unioni, non significa perciò che queste siano state volute dai Comuni che le hanno costituite, al contrario, spesso si tratta di Unioni tra Comuni che non avrebbero necessariamente valutato l’ipotesi di associazionismo con i Comuni inseriti nel medesimo ambito ottimale dal legislatore regionale. Da tutto ciò deriva la difficoltà nel valutare la “vitalità” di queste Unioni di Comuni. Tra i vari fattori che minano la vitalità di una Unione vi sono il fenomeno del “campanilismo” che, oltre ad accentuare logiche egoistiche tra enti locali, costituisce un fattore dimensionale che rischia di compromettere la “riuscita” dell’Unione di Comuni. Spesso, i criteri utilizzati dalle Regioni per l’individuazione degli ambiti territoriali ottimali, infatti, non tengono conto di caratteristiche territoriali, orografiche, dimensionali, ecc. che, già in partenza, potrebbero costituire una minaccia per il processo di aggregazione. L’Unione dei

Comuni della Valdera è stata un esempio di fallimento del modello dell’Unione dovuto, da un lato, all’eccessiva dimensione territoriale e, dall’altro, a un incessante campanilismo dei Comuni dell’Alta Valdera che, nello specifico, temevano possibili future scelte mirate a realizzare un processo di fusione tra i Comuni. La stessa Legge Delrio disciplina le fusioni di Comuni come processi aggregativi, accompagnati da misure premiali, allo scopo di aiutare i Comuni di minori dimensioni a confluire nuovamente in nuovi Comuni di dimensioni più ampie e maggiormente adeguati alle esigenze delle popolazioni. L’esperienza dell’Unione Valdera rispecchia un sentimento comune: ciò che spaventa è perdere definitivamente la propria autonomia, il proprio nome, la propria natura territoriale, a fronte della creazione di una nuova identità. Nonostante i Comuni siano, da sempre, più propensi alle Unioni piuttosto che alle fusioni, proprio per i motivi sopra descritti, l’adeguamento degli stessi Comuni alle normative sino ad ora attuate si è sempre caratterizzato per un andamento lento e spesso irrispettoso delle tempistiche previste dalle normative. A tal proposito, è stata prevista un’ulteriore proroga dei termini per l’adeguamento alla disposizioni normative contenute nella L. n. 56/2014, al 30 giugno 2016. Fino ad ora, la scarsa volontà di associare funzioni e servizi ha contribuito, a livello strutturale, a far sì che le Unioni di Comuni non rispettassero i parametri previsti, con il risultato di una mancata ottimizzazione della gestione associata delle funzioni amministrative che spesso ha comportato anche una eguale o maggiore spesa rispetto

alla gestione comunale individuale. Per questo motivo, anche la Regione Toscana, ritiene più funzionali ad obiettivi di risparmio le fusioni di Comuni. In risposta a quanto previsto dal quadro politico istituzionale della Regione Toscana in materia di associazionismo è intervenuta la scelta compiuta dai Comuni dell’Alta Valdera di scindersi dall’Unione Valdera per formare una nuova Unione nell’obiettivo di associare lo svolgimento di funzioni e servizi e garantire gestioni efficienti non ottenute dall’Unione Valdera, senza dovere quindi necessariamente tramutarsi, a seguito di una fusione, in un unico Comune.

La Legge Delrio, a tale proposito, ha intrapreso un percorso che mira a rendere definitivamente possibile un modello nuovo ed efficiente di Unione di Comuni, con obiettivi diversi dalle fusioni di Comuni. Così, dovrebbe emergere la vera essenza delle Unioni di Comuni come descritta nell’art. 32 del t.u.e.l.

Tuttavia, affinché si ottengano i risultati sperati, non deve necessariamente crescere il numero delle Unioni di Comuni, ma devono venir meno tutti quei fattori che intralciano il raggiungimento degli obiettivi specifici messi a punto dal legislatore, così da dimostrare se le Unioni di Comuni siano effettivamente lo strumento collaborativo più efficace. Sappiamo, però, che il legislatore è spesso vulnerabile poiché influenzato da volontà politiche che spesse volte non mirano a trovare risposta alle reali esigenze dell’ente locale. Così, non possiamo dire con certezza quale sarà il destino delle Unioni di Comuni.

BIBLIOGRAFIA

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una sfida strategica per l’intera repubblica, Atti della II Conferenza

Nazionale, 2006

Anci, Atlante dei piccoli Comuni, 2015

Anci, Azioni di sostegno delle Regioni per la valorizzazione dei piccoli