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La definizione degli ambiti territoriali ottimali e il programma di riordino territoriale

REGIONE TOSCANA

1. Il contesto di riferimento

1.1 La definizione degli ambiti territoriali ottimali e il programma di riordino territoriale

Anche le Regioni, oltre allo Stato, possono influenzare significativamente i processi di associazione tra Comuni prevedendo al riguardo specifiche normative e contributi di natura economica. Il ruolo delle leggi regionali in materia di organizzazione e modalità di esercizio delle funzioni amministrative locali avrebbe potuto essere più esteso di quanto effettivamente è stato e, comunque, vi sono situazioni molto differenziate sul territorio. La crisi economica, naturalmente, ha accentuato queste criticità, poiché ha originato una tendenza al riaccentramento e una tendenziale sfiducia nelle Regioni. Questa sfiducia nei confronti delle Regioni, nella loro capacità di fungere effettivamente da centro propulsore e di coordinamento delle autonomie locali, non risolve, naturalmente, il problema derivante dalla mancanza o dalla inadeguatezza dell’intervento regionale85. Nonostante ciò non

sono mancati interventi regionali tendenti alla riduzione della

85 C. Tubertini, Il ruolo della Regione nei processi di razionalizzazione del sistema

frammentazione comunale. In particolare, dai provvedimenti statali del convulso periodo 2010-2012 origina una disciplina regionale che segna una vera e propria “regionalizzazione” dell’associazionismo intercomunale86. Negli anni Novanta del secolo scorso, invece, la produzione normativa regionale si presentava di carattere embrionale, variegata e frammentaria.

Come abbiamo visto, il D.Lgs n. 112/1998, aveva proposto di superare l’inadeguatezza dimensionale dei Comuni attraverso la definizione di ambiti territoriali ottimali. Infatti, tale norma demanda alle Regioni l’individuazione degli ambiti ottimali e dispone che <<nell’ambito

della previsione regionale i Comuni esercitano le funzioni in forma associata, individuando autonomamente i soggetti, le forme e le metodologie entro il termine temporale indicato dalla legislazione regionale>>87, così da garantire, da una parte, il “giusto” governo del

territorio, al fine di ridurre l’elevata frammentazione nella gestione delle politiche pubbliche a livello locale e dall’altra, la tutela del territorio con riferimento ai Comuni di piccole e piccolissime dimensioni88. Ed infatti, le Regioni che si sono riconosciute in questo quadro sono proprio quelle con una pluralità di enti di piccolissime dimensioni (Piemonte, Lombardia, Veneto).

86 M. De Donno, Le politiche regionali in materia di Unioni di Comuni, Comunità

montane e fusioni, Anci Toscana, 2015.

87 D.lgs n. 112/1998, Art. 3, co. 2.

88 G. Xilo, Evoluzione delle politiche e normative regionali a supporto dei processi

associativi, in Daniele Formiconi (a cura di), Comuni, insieme, più forti! Anci, 2008,

Con riferimento all’autonomia regionale circa l’individuazione degli ATO, alcuni elementi di differenziazione possono essere riscontrati nell’analisi della normativa che ne mostra i criteri di definizione. In particolare, una prima distinzione può essere fatta tra le leggi che prevedono la determinazione degli ATO in base a parametri di tipo oggettivo (quali la dimensione demografica, le caratteristiche geografiche e morfologiche dei territori dei Comuni interessati, le classi di popolazione, la tipologia delle attività produttive e commerciali presenti nei comuni interessati, le caratteristiche dei servizi da assicurare ai cittadini e la contiguità territoriale fra i Comuni) e leggi che invece si incentrano sull’iniziativa volontaria dei Comuni. In realtà, queste due tipologie normative spesso convivono tra loro all’interno dello stesso livello regionale. Questo significa che nella legislazione regionale fondata su parametri di tipo oggettivo si valorizza ugualmente l’iniziativa dei Comuni, così come la legislazione che valorizza l’elemento volontaristico riconosce alcuni parametri di carattere oggettivo. Quanto alla dimensione demografica, il parametro di riferimento è solitamente quello dei 10.000 abitanti, nel senso che la dimensione demografica complessiva del livello ottimale non deve essere inferiore a tale soglia. A riguardo, vi sono Regioni come il Molise (l.r. n. 6/2011), la Toscana (l.r. n. 68/2011) e l’Emilia Romagna (l.r. n. 21/2012) che fanno fronte agli obblighi di gestione associata, cercando, al tempo stesso, di rispondere all’obiettivo di costruzione di forme associative “adeguate” a ricevere l’esercizio delle funzioni fondamentali

dei Comuni. La soluzione viene perseguita, in queste Regioni, con il tentativo regolamentato di istituzione di una sola Unione di Comuni in ciascun ambito territoriale ottimale. Taluni Comuni, poi, in base alla facoltà concessa dal Legislatore statale, hanno disciplinato diversamente i limiti demografici minimi previsti per le Unioni di Comuni: la Calabria (L.R. n. 43/2011), l’Emilia-Romagna (L.R. n. 21/2012), l’Umbria (L.R. n. 18/2011), il Piemonte (L.R. n. 11/2012) e l’Abruzzo (L.R. n. 1/2013)89.

Un altro importante strumento per l’azione regionale in materia di associazionismo intercomunale è quello contemplato dall’art. 33 del TUEL, che prevede il c.d. programma di riordino territoriale di

competenza regionale. Quest’ultimo, inizialmente concepito come

strumento di accorpamento dei Comuni al fine di superare il problema della inadeguatezza dimensionale, ha ad oggetto l’individuazione degli ambiti per la gestione associata sovra comunale di funzioni e servizi e può prevedere la costituzione di Unioni, la modifica delle circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione. Il programma deve essere concordato con i Comuni nelle apposite sedi concertative e aggiornato ogni tre anni, tenendo anche conto delle Unioni di Comuni regolarmente costituite. Nella disciplina delle forme di incentivazione, le Regioni, devono comunque osservare una serie di principi espressi dall’art. 33 TUEL. A questo proposito, le Regioni dovranno favorire <<il massimo grado di

89 M. De Donno, Le politiche regionali in materia di Unioni di Comuni, Comunità

integrazione tra Comuni, graduando la corresponsione dei benefici in relazione al livello di unificazione, rilevato mediante specifici indicatori con riferimento alla tipologia ed alle caratteristiche delle funzioni e dei servizi associati o trasferiti in modo tale da erogare il massimo dei contributi nelle ipotesi di massima integrazione>>. C’è da aggiungere

che il trattamento è poi differenziato, dato che viene prevista una maggiorazione dei contributi per le ipotesi di funzione e unione, rispetto alle altre forme di gestione sovra-comunali e inoltre sono previsti ulteriori benefici per quei Comuni che volontariamente decidono di aderire ad un progetto di fusione. Per quanto concerne l’adozione di tale piano si registra una disomogeneità territoriale, dal momento che non è ancora stato adottato da tutte le Regioni. La disciplina dei contenuti è uniforme per quelle Regioni che prevedono che sia questo strumento ad effettuare la ricognizione degli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio associato di funzioni comunali e a determinare i criteri e le modalità per la concessione dei contributi alle forme associative. Riguardo al procedimento di approvazione, c’è da evidenziare invece che non tutte le Regioni hanno adottato lo stesso criterio. Vi sono infatti Regioni che attribuiscono al Consiglio la competenza all’approvazione del programma, piuttosto che alla Giunta regionale. Anche in questo ultimo caso però va precisato che il ruolo del Consiglio viene salvaguardato, riservando a tale organo l’individuazione degli indirizzi sulla base dei quali il Programma viene formulato. Inoltre, secondo quanto previsto dal TUEL per la partecipazione degli Enti locali alla definizione del

Programma, c’è da aggiungere che talune Regioni possono prevedere il coinvolgimento di tali enti non solo nella fase di iniziativa ma anche nella fase decisoria90.

Programma di riordino territoriale e definizione degli ambiti ottimali sono strettamente correlati. Per di più, il motivo principale che innesca il processo per arrivare al Programma di riordino territoriale, è legato all’ipotesi di attivare in una logica di sussidiarietà verticale una ridefinizione delle responsabilità e titolarità di gestione dei servizi pubblici spostandoli, sia verso il basso che verso l’alto, al loro livello territoriale e amministrativo ottimale91.

Infine, secondo quanto previsto dalla L. n. 56/2014, art. 1, co. 89, le Regioni sono chiamate, in risposta alla riallocazione delle funzioni provinciali92, oltre che ad individuare gli ambiti ottimali di esercizio

delle stesse, ad allocarle prioritariamente ai Comuni e alle loro forme associative.