L' INTERVISTA Traducendola in italiano il nome della sonda diventa Falco pellegrino. E per raggiungere quel pezzo di montagna che si trova tra le orbite di Marte e Giove ha impiegato quasi quattro anni. Hayabusa 2, questo il nome della sonda dell' Agenzia giapponese Jaxa (Japan Aerospace Exploration Agency), è infatti partita il 3 dicembre del 2014 dal Tanegashima Space Center a Sud di Kyushu. A calcolare le traiettorie e a guidare la sonda verso il suo obiettivo è stata l' italiana Stefania Soldini.
Dall' Italia al Paese del Sol Levante: ma come è avvenuto questo salto?
«Il Giappone è sempre in prima linea con le nuove tecnologie. In particolare nell' ambito della robotica e delle missioni di esplorazione spaziale. La mia laurea in ingegneria aerospaziale e dottorato di ricerca in astrodinamica sono stati il percorso formativo essenziale per avere l' opportunità di lavorare alla Jaxa nel team di Hayabusa2».
Come è riuscita ad entrare?
«Completati i miei studi di dottorato in Inghilterra nel 2016, vinsi un anno
di borsa da ricercatrice per lavorare in Jaxa sponsorizzata dall' ente Giapponese Jsps (Japan Society for the Promotion of Science). A metà del mio percorso, mi fu chiesto di lavorare a tempo pieno su Hayabusa2 prolungando così la mia esperienza in Giappone fino ad oggi. Dal 2017, appartengo al team di ingegneria e scientifico di Hayabusa2 come project research associate nel gruppo di astrodinamica».
A che punto siamo con la missione?
«Giovedì 27 segnerà l' anniversario di arrivo della sonda su Ryugu.
Ripartirà a dicembre del 2019 dopo 18 mesi di esplorazione. Il team di Hayabusa2 ha completato con successo l' atterraggio dei due rover Minerva-II (settembre 2018); l' atterraggio del lander franco-tedesco Mascot (ottobre 2018);
il campionamento della superficie di Ryugu (febbraio 2019); l' operazione di formazione del cratere artificiale (aprile 2019)».
E adesso cosa accadrà?
«Gli obiettivi primari della missione sono già stati raggiunti. Le ultime operazioni previste ancora da confermare sono la seconda fase di campionamento del cratere artificiale (in questo mese ma da confermare; l' atterraggio dell' ultimo rover a bordo della sonda (agosto) e il rientro dei campioni a terra (dicembre 2020).
Quale è stato il suo compito?
«Faccio parte del team di astrodinamica e mi occupo di diverse attività ingegneristiche e scientifiche.
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Lavoro per una missione unica nel suo genere. Ho l' opportunità di interfacciarmi con esperti come Yoshikawa Makoto (Nature' s 10 nel 2018), Yuichi Tsuda (project manager di Hayabusa2) e l' ingegnere di progetto Takanao Saiki responsabile dell' operazione di cratere artificiale. Soprattutto mi trovo a lavorare immersa in una cultura affascinante aprendomi la strada a diversi modi di lavorare».
Pensa di tornare in Italia un giorno?
«Mi piacerebbe avere l' opportunità di tornare nel mio Paese facendo tesoro di quello che ho imparato all' estero per missioni di esplorazione spaziale dove l' Italia ne sia protagonista».
È vero che nei suoi studi in Inghilterra, a Southampton, si è specializzata su temi che riguardano le traiettorie delle vele solari, ovvero le possibili astronavi del futuro?
«La mia tesi di dottorato era interamente dedicata allo studio delle dinamiche e controllo delle vele solari. Le vele solari sono le sonde green del futuro che utilizzano la radiazione di pressione solare come fonte propulsiva. La Jaxa è la prima agenzia al mondo ad aver testato le vele solari nello spazio con la missione Ikaros nel 2010».
Ma perché avete bombardato quel lontano asteroide?
«Il cratere artificiale è stato programmato per permettere alla sonda di effettuare il campionamento del materiale sotto la superficie dell' asteroide. Il materiale superficiale ha subito delle alterazioni dovute all' ambiente esterno mentre il materiale sotto la superficie si pensa si sia conservato inalterato. Un confronto tra il materiale campionato a febbraio del 2019 e il materiale, che molto probabilmente raccoglieremo nei prossimi mesi, potrebbe aiutare gli scienziati a capire meglio di cosa sono fatti questi piccoli corpi».
Un episodio curioso durante la missione che le è rimasto più impresso?
«È difficile ricordare un solo momento emozionante da quando faccio parte del team di Hayabusa2.
La missione giapponese continua a stupirci con le innumerevoli attività svolte attorno all' asteroide. Tra tutte ricordo il giorno dell' arrivo il 27 giugno dell' anno scorso, quando ancora non sapevamo che forma avesse Ryugu. È stato come esplorare un mondo nuovo, un momento davvero emozionante».
Cosa vede nel suo futuro di scienziata, o meglio: di cosa altro si occuperà?
«Mi piacerebbe poter continuare a lavorare su missioni agli asteroidi che minacciano la Terra nel programma di protezione del nostro pianeta».
Enzo Vitale [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA.
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Agricoltura 4.0la filiera intelligentefa crescere il made in italy
di Francesca Gambarini
Produrre vino e olio «made in Italy» potrebbe non essere così scontato entro la fine del secolo, prevedono gli scienziati, se non saremo in grado di abbassare le emissioni di gas serra e la temperatura del Pianeta si alzerà oltre i 3° rispetto ai livelli pre-industriali. L' Europa, e il bacino del Mediterraneo soprattutto, saranno a grosso rischio, per le temperature elevate, le inondazioni, i periodi di siccità e il massiccio inquinamento. E chissà, forse per coltivare vigne bisognerà salire fino oltre il Mar Baltico.
Un rischio che l' Italia, con i suoi 132 miliardi di euro di fatturato generato dal settore agrifood (tra produzione e trasformazione), oltre tre milioni di occupati e un export che tocca quasi i 42 miliardi, non può correre.
Se quella del climate change è una battaglia complessa e che coinvolge molti attori in settori tra i più diversi, è vero però che l' agricoltura può imparare molto da questo cambio di passo (obbligato): a produrre in maniera meno intensiva, per esempio, a sprecare di meno, a controllare la filiera e a prevenire i rischi. La buona notizia è che, come raccontiamo insieme al Politecnico in questa seconda puntata di «Intelligenze reali», l' agrifood italiano si è aperto, già da qualche tempo, all' innovazione, di processo, di trasformazione, di filiera e distribuzione. Parliamo dell'
utilizzo di sensori e droni sui campi, dei dati (o big data) per lo studio e l' ottimizzazione della coltivazione, della blockchain per la trasparenza della filiera, dell' intelligenza artificiale per prevedere le rese del raccolto, delle piattaforme online per «accorciare» la catena e arrivare in modo più diretto al consumatore finale, con lo scopo di ridurre gli sprechi generati nei locali o nella grande distribuzione.
Prova ne sono startup come Elaisian, che ha sviluppato un sistema di coltivazione di precisione degli olivi, che permette di ottimizzare le risorse, aumentando la produttività e garantendo la qualità dei raccolti. Oppure MyFoody, portale online di vendite scontate di cibo in prossimità di scadenza o con difetti estetici, presso negozi e supermercati. Biorfarm ha invece creato una comunità in rete che mette in contatto diretto piccoli agricoltori biologici e consumatori finali dando la possibilità di adottare a distanza alberi da frutta creando il proprio
«campo digitale». Certo, nel mondo dal 2012 a oggi, per far avanzare l' agrifood in versione 4.0 sono stata raccolti 2,9 miliardi di dollari di investimenti. L' Italia pesa solo l' 1%, con 25,3 milioni di euro, eppure siamo il paese europeo con il maggior numero di startup. Per fortuna, vuole dire che stiamo cavalcando l' onda, sono convinti i ricercatori del Politecnico, che con i loro due osservatori, sullo smart agrifood e sulla sostenibilità alimentare, monitorano i progressi e immagina
no scenari futuri. «C' è molto movimento dettato dalla competizione e se guardiamo i singoli strati della filiera, ogni livello sta facendo bene - spiega Alessandro Perego, professore di logistica e supply chain management all' ateneo milanese -. L' urgenza di oggi, però, è la collaborazione: occorre che l' intera filiera faccia sistema, ad esempio per garantire la tracciabilità al 100% dei prodotti, una delle chiavi, sempre più richieste, per continuare a esportare». Entra
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stiamo sbagliando qualcosa. Si può per esempio avere una gestione più attenta, grazie all' ausilio di una figura strategica come il supply chain manager, che sta emergendo come attore di contatto con il retailer, per prevedere la do
manda del mercato. Questo tipo di controllo, per essere efficace, deve però diventare una processo aziendale uguale a tutti gli altri. Ad esempio, lo scarto di frutta per motivi estetici è spesso il risultato della difficoltà di gestione dei canali da dove arriva la materia prima». Le startup improntate su questo tipo di business sostenibile, tra app e piattaforme, grazie alle tecnologie sempre più immediate, svolgono un ruolo educativo importante - a partire delle grandi città, regine degli sprechi - per sensibilizzare i cittadini, «andando anche a colmare un vuoto di mercato, che le aziende tradizionali non sempre hanno intercettato»
, riflette Perego. In questa direzione si inserisce anche la nuova laurea del Politecnico, che a settembre partirà con un corso di studi magistrale in
Food Engineering. «L' idea di fondo è formare ingegneri che utilizzando le proprie conoscenze chimiche, fisiche, matematiche, di scienze sociali e ingegneristiche, siano in grado di analizzare e gestire l' intera filiera legata alla produzione, distribuzione e gestione della moderna industria di produzione di alimenti e bevande - conclude Perego -.
Sarà un percorso connotato da una forte trasversalità, si lavorerà sulla certificazione e la sicurezza alimentare, grazie a competenze tecniche anche legate alla microbiologia. Fino, naturalmente, alla progettazione di processi sostenibili, includendo lo studio della vita di prodotto e la riduzione dell' energia associata alla produzione
e alla logistica».
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Far East