PAGINE A CURA DI DANIELE CIRIOLI
La conciliazione non sconta i contributi.
Infatti, nei casi di accertamenti retributivi a favore dei lavoratori mediante diffida degli ispettori, i conseguenti contributi vanno versati nella misura determinata sull' accertato, anche se nel frattempo sia intervenuta una conciliazione tra datore di lavoro e lavoratore e l' ammanco retributivo sia stato oggetto di transazione. A precisarlo, tra l' altro, è l' ispettorato nazionale del lavoro nella nota prot. 5066/2019, chiarendo inoltre i limiti operativi della diffida accertativa e della conciliazione monocratica, soprattutto nei casi di loro sovrapposizione.
Diffida e conciliazione.
La nota (si veda ItaliaOggi del 31 maggio scorso) fornisce chiarimenti che mirano a risolvere le problematiche sulle possibili interferenze tra il procedimento di emanazione e convalida della diffida accertativa per crediti patrimoniali (ex art. 12 del dlgs n.
124/2004) e le procedure di conciliazione presso le sedi territoriali dell' ispettorato (ex art. 410 codice di procedura civile), in sede sindacale (ex art. 411 dello stesso c.p.c.
) o nelle forme della risoluzione arbitrale (ex art. 412 sempre c.p.c). In particolare, riguarda i casi in cui, dopo l' emanazione di una diffida accertativa, venga sottoscritto tra datore di lavoro e lavoratore un verbale di conciliazione tra quelli citati prima della validazione della diffida accertativa o anche dopo la sua validazione. In questi casi, la circolare illustra la sorte che ha l' accertamento retributivo.
I chiarimenti sono l' occasione per analizzare i due istituti: la diffida (in questa pagina) e la conciliazione (si veda pagina seguente).
Il rispetto dei minimi retributivi. La diffida accertativa per crediti patrimoniali (art. 12 del dlgs n. 124/2004) ha il preciso fine di realizzare una «semplificazione delle procedure per la soddisfazione dei crediti di lavoro». In base al dettato normativo «il personale ispettivo delle direzioni territoriali del lavoro, qualora nel corso dell' attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui derivino crediti di natura patrimoniale in favore dei prestatori di lavoro, diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti svolti». In via di principio, la diffida si applica ai rapporti di lavoro dipendente, ma la sua adozione è possibile anche nell' ambito dei rapporti di lavoro non subordinato (co.
co.co.), almeno in tutte quelle ipotesi in cui l' erogazione dei compensi sia legata a presupposti oggettivi e predeterminati, che non richiedano complessi approfondimenti sulla verifica dell' effettivo raggiungimento o meno dei risultati dell' attività. Il provvedimento (la diffida accertativa) può ricevere «valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo».
Il ministero del lavoro, nel tempo (con circolari e chiarimenti), ha operato una classificazione dei «crediti diffidabili»
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osservanza dell' art. 36 della Costituzione ovvero derivanti dall' accertamento di lavoro sommerso.
Il tentativo di conciliazione. Ricevuta notifica della diffida, il datore di lavoro può promuovere, nel termine perentorio di 30 giorni, un tentativo di conciliazione presso l' ispettorato territoriale del lavoro, con le modalità procedurali previste per la conciliazione monocratica (si veda altro articolo in altra pagina).
In caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia.
Diversamente da quanto previsto per la conciliazione monocratica, tale procedura non incide sullo svolgimento del procedimento ispettivo.
Decorso inutilmente il termine (30 giorni) per esperire la conciliazione o qualora l' accordo fra le parti non venga raggiunto, la diffida accertativa acquista valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo, mediante emissione di apposito provvedimento di validazione da parte del Direttore dell' ispettorato territoriale del lavoro.
Ciò comporta che il lavoratore può agire mediante atto di precetto per soddisfare i crediti retributivi. In ogni caso, la diffida accertativa non può essere validata, per difetto del requisito dell' esigibilità del credito, in caso di: società fallita nell' ambito di una procedura fallimentare (nota ministero del lavoro prot. n. 4684/2015, si veda ItaliaOggi del 27 marzo 2018); presentazione di un accordo di ristrutturazione del debito nell' ambito di una procedura da sovra-indebitamento, dalla data di pubblicazione del decreto di omologa e fino alla data indicata nell' accordo omologato (interpello del ministero del lavoro n. 2/2018, si veda ItaliaOggi del 21 febbraio 2018); impresa sottoposta ad amministrazione giudiziaria a seguito di sequestro (Ispettorato nazionale del lavoro, nota prot.
n. 4623/2018, si veda ItaliaOggi del 31 maggio 2018).
A riguardo, l' ispettorato nazionale del lavoro (nota prot.
n. 5066/2019) ricorda che, l' art. 12, comma 2, del dlgs n. 124/2004 espressamente stabilisce che il tentativo di conciliazione vada promosso dal datore di lavoro presso le sedi territoriali dell' ispettorato. Scelta coerente, per l' Inl, con la peculiare natura dell' istituto che è fondato su un accertamento ispettivo in ordine all' an e al quantum debeatur in favore del lavoratore secondo i principi di certezza, liquidità ed esigibilità del credito. Pertanto, l' Inl ritiene che non sia possibile dare rilievo ad accordi conciliativi intervenuti in forme diverse da quelle prescritte dall' art.
12, cioè diverse dalla conciliazione monocratica presso le sedi territoriali dell' ispettorato. E questo sia nel caso in cui intervengano prima sia nel caso in cui intervengano in una fase successiva alla validazione della diffida accertativa.
Ne consegue pertanto, precisa infine l' Inl, che, una volta adottata e validata la diffida accertativa, eventuali motivi di doglianza da parte del datore di lavoro su conciliazioni intervenute presso altre sedi possono essere fatte valere giudizialmente esclusivamente nella fase d' opposizione all' esecuzione.
L' impugnazione della diffida. Il datore di lavoro può impugnare la diffida accertativa (validata dal direttore dell' Ispettorato territoriale del lavoro), entro 30 giorni dalla notifica, dinanzi al Comitato per i rapporti di lavoro, il quale decide il ricorso entro i successivi 90 giorni dalla presentazione. Il datore di lavoro può, inoltre, proporre ricorso in opposizione al giudice ordinario.
Nell' ipotesi in cui la diffida accertativa venga notificata, oltre che al datore di lavoro, anche agli obbligati in solido, essa ha comunque efficacia di titolo esecutivo solo nei confronti del primo. Il regime di responsabilità solidale, in altre parole, non può essere fatto vale in questa sede, ma solamente con atti successivi.
Di conseguenza, solo il datore di lavoro è legittimato a impugnare l' atto di diffida.
Il versamento dei contributi. Sotto il profilo contributivo (Inps) e assicurativo (Inail), i versamenti non possono essere inferiori al minimale di retribuzione imponibile, con il pagamento delle eventuali sanzioni civili e degli interessi legali.
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