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Presentiamo il concetto di atmosfere così come delineato da Hermann

Schmitz per poi sostenerlo con le ulteriori specificazioni concettuali.

Un’atmosfera è l’occupazione illimitata di uno spazio privo di superfici nel campo di ciò della cui presenza si ha un’esperienza vissuta; non è quindi, uno spazio aggiunto mentalmente, magari geografico o cosmico. Parlo di

172 Tonino Griffero, Non dentro, ma fuori: le atmosfere come spazi emozionali,

https://www.academia.edu/12965172/Non_dentro_ma_fuori_le_atmosfere_come_spazi_emoziona li, p. 11.

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occupazione anziché riempimento, perché si ha un’occupazione atmosferica anche di ciò che sentiamo come vuoto.174

Le atmosfere così presentate acquistano una particolare valenza nell’esperienza dell’hic et nunc e sono qualcosa di spazialmente diffuso che ci

permea in una condizione pre-cognitiva sulla scorta della prima impressione.

Riguardo allo statuto ontologico delle atmosfere ci sono alcune precisazioni

che dobbiamo fare. Ci serviremo di alcune di quelle proposte a riguardo da

Griffero nel definirle quasi- cose175:

- Esse scompaiono e spariscono, senza che ci si possa sensatamente

domandare dove e in che modo siano esistite nel frattempo: non si tratta di un’ambiguità ontologica ma di una dimensione che eccede l’ontologia

cosale classica.

- Agiscono non come cause dell’influsso, ma sono l’influsso stesso: non

vogliono dunque esteriorizzare un qualcosa di interno, ma sono estasi.

- Non sono proprietà di un oggetto né qualità che gli oggetti hanno: tuttavia

attraverso di esse queste proprietà o qualità si mostrano nella loro presenza

spazial-corporeo- affettiva.

- Sono un “tra”, reso possibile dalla co- presenza di soggetto e oggetto e dal

loro incontrarsi.

174 Hermann Schmitz, I sentimenti come atmosfere, pp. 32- 33 in Rivista di Estetica, Atmosfere, a

cura di Tonino Griffero e Antonio Somaini, n.33, 2006, anno XLVI.

175 Tonino Griffero, Quasi- cose che spariscono e ritornano, senza che però si possa domandare dove siano state nel frattempo. Appunti per un’estetica- ontologia delle atmosfere, p. 55 e ss. in

Rivista di Estetica, Atmosfere, a cura di Tonino Griffero e Antonio Somaini, n.33, 2006, anno XLVI

95 - Non esistono mai, se non in modo assai improprio come stati potenziali:

sono cioè dei fenomeni, la cui esistenza coincide solo e soltanto con la loro

apparizione.

Non vi è dubbio che così come abbiamo presentato le atmosfere e

precedentemente illustrato un’estetica atmosferologica, tali atmosfere si adattino

anche al nostro rapporto con le immagini invitando all’ abbandono di una logica

retinica e di un approccio ermeneutico che abbia la pretesa di essere

eteronomamente valido.

Esse suggeriscono l’incontro mediato dal corpo nella co- presenza di esso stesso e l’atmosfera irradiata dall’immagine; è così che la nostra attenzione riesce

a spostarsi sugli aspetti atmosferici delle opere, in particolare quelle della

contemporaneità:

Non vi è dubbio che, se appare sempre un po’ sottodimensionata rispetto al vasto e stratificato valore culturale dell’arte tradizionale, la riflessione atmosferologica sembra invece particolarmente adatta all’arte contemporanea. Adeguata a istallazioni e spettacoli spesso provocatori e che spesso esigono anzitutto il nostro coinvolgimento corporeo e affettivo, a “opere”, inoltre che sono arte, quasi esclusivamente se siamo in grado di contestualizzarle entro la giusta atmosfera (museo, critica, sala da concerto, ecc.). […] le opere contemporanee si comprendono infatti sempre meno su base retinica e storico- culturale, affidandosi piuttosto al coinvolgimento psicofisico, talvolta perfino elementare, del fruitore. Contando, in altri termini, appunto su impressioni emozionali che, invitandoci a sentire in questo o quel mondo, fungono da atmosfere spaziali. Ma in ciò, l'opera d'arte

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non è che l'estensione, intensificata e qualitativamente differenziata, degli inviti (affordances) che ci vengono da tutte le cose, nel senso che come un recipiente d'acqua invita chi ha sete a bere, così un'istallazione (ma anche un paesaggio) invita chi la contempla, o meglio, la percorre, la tocca, ne sente intermodalmente l'influenza, a entrare in questo o quello stato d'animo, cioè nell'atmosfera che essa irradia nel proprio spazio circostante e la cui efficacia dipende appunto dal grado di coinvolgimento che esercita sul corpo vivente (non solo fisico) del fruitore.176

Riguardo al mondo precipuo di fare esperienza si tratta dunque di una «[…]

percezione non distanziante- constativa e non solo visivo- oculare, ma diretta e

deambulatoria, sinestetica e intermodale […]».177

Dobbiamo adesso aggiungere due considerazioni importanti: la prima riguarda il ruolo del fruitore di un’immagine e come questo si rapporti alle

atmosfere, la seconda, parte dal presupposto che le atmosfere possano anche

essere messe in scena o comunque valorizzate o artificialmente create, per cui prende in considerazione un’ipotetica rivoluzione museale che renda

testimonianza dell’atmosferico.

176 Sul concetto di Atmosfera, Intervista a Tonino Griffero di Maria Giorgia Vitale,

https://www.academia.edu/12964684/Sul_concetto_di_atmosfera.

177 Tonino Griffero, Quasi- cose che spariscono e ritornano, senza che però si possa domandare dove siano state nel frattempo.Appunti per un’estetica- ontologia delle atmosfere, p.48 e ss. in

Rivista di Estetica, Atmosfere, a cura di Tonino Griffero e Antonio Somaini, n.33,2006, anno XLVI.

97 5. Lo sguardo spettatoriale

C’è una storicità nella visione che non può prescindere dalla determinatezza

culturale degli stili e da un esame da un punto di vista genealogico e interdisciplinare di un’immagine, ma esiste anche un’altra tendenza che

«rivendica un valore fondativo a elementi non immediatamente riducibili alla

storicità degli stili, che in qualche modo precedono la storia e le sue ragioni e che sono evidenziabili per esempio attraverso un’analisi fenomenologica della visione

e dell’immagine che ne faccia emergere le essenzialità esemplari».178Essenzialità

esemplari che potrebbero essere le estasi di cui abbiamo parlato oppure le

atmosfere irradiate dall’immagine oppure gli eccessi di cui parla Boehm,

comunque qualcosa di cui qualsiasi approccio ermeneutico con pretese oggettive

non potrebbe che ridurre. Nella storia della visione c’è sempre stato e ci sarà il

fruitore, che chiameremo spettatore, utilizzando la metafora teatrale.

Il termine spettatore rimanda all’immaginario della scena teatrale in cui lo

sguardo entra a trovarsi in una dimensione protetta perché regolata da una precisa

distanza. Sarebbe una sfera di controllo sostenuta dalla curiosità e dall’interesse e

fortemente permeata da una partecipazione sentimentale:

[…] lo sguardo è collocato a distanza di sicurezza, e così può dispiegarsi l’interesse per lo spettacolo, e dunque la curiosità come motore di interesse e

178 Giovanni Matteucci, Du Bos e lo sguardo spettatoriale, «Jean- Baptiste Du Bos e l’estetica dello spettatore, Aesthetica Preprint Supplementa», Palermo, Atti del convegno 21-22 Ottobre

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la partecipazione sentimentale dipendono dalla messa in sicurezza dello sguardo, da una separatezza essenziale rispetto all’evento.179

Lo sguardo dello spettatore in un’ottica atmosferica in un certo senso si

trova a perdere il senso della distanza di sicurezza e l’auto-controllo patico per

essere pervaso da un sentimento oceanico, condizione del sentirsi in cui «il mio

qui diviene vago e mi perdo nella vastità, diventando per così dire un tutt’uno col

mondo […] l’esperienza dominante di dissolversi nell’atmosfera».180

Adesso ci chiediamo se il fatto di essere pervasi da un sentimento oceanico

richieda o meno una sorta di educazione.

Da un certo punto di vista ci potremmo aspettare che le atmosfere si sentano senza che ne vada dunque giustificata la presenza. In quest’ottica lo spettatore non

potrebbe essere educato a ciò che già si trova di necessità a sentire.

D’altro canto però le atmosfere richiedono un particolare atteggiamento e

una particolare disposizione a un tipo di esperienza che esula dal senso dell’aspettativa e dal giudizio per volgersi all’ingenuità dell’affettività e del come

ci si sente, il sich befinden: «infatti trovarsi significa da un lato sentirsi in un certo

modo, ad esempio depressi o contenti, e dall’altro qualcosa come esser qui, essere

presente».181

In questa seconda accezione sarebbe allora cogente il bisogno di

un'educazione all'estetica delle atmosfere che in un certo senso miri ad

approcciarci alle immagini senza troppe sovrastrutture.

179 Giovanni Matteucci, Du Bos e lo sguardo spettatoriale, «Jean- Baptiste Du Bos e l’estetica dello spettatore, Aesthetica Preprint Supplementa», Palermo, Atti del convegno 21-22 Ottobre

2005, p. 198.

180 Gernot Böhme, Atmosfere, estasi, messe in scena. L’estetica come teoria generale della percezione, Milano, Christian Marinotti S.r.l. 2010, p. 125.

99 Una sorta di educazione estetica dello spettatore che abbia come centro

focale quello di sviluppare le sue potenzialità di avere esperienze proprio-

corporee.

Una estetica delle atmosfere come l’abbiamo delineata ha probabilmente

bisogno di un cambiamento di prospettiva che parta dallo spettatore stesso e che

venga dunque istruito alla ricezione affinché con sentimento oceanico, diffuso vaghi esule nell’esperire l’immagine e senza più bisogno che essa sia già in

qualche modo determinata.