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Rivolgersi all’immagine cogliendone il suo carattere di atmosfera e

pensare che queste atmosfere possano anche essere prodotte, ci fa presupporre la possibilità di un cambiamento rivoluzionario all’interno di quei luoghi che da

sempre contengono immagini.

E, forse, proprio usare il verbo contenere rimanda ad una visione del

museo- contenitore, probabilmente inadeguata.

Per quanto esista una ricchissima letteratura che tenga conto di come sia

necessaria una revisione del concetto museale sottoponendo al vaglio molti aspetti

di questo e muovendo forti critiche, non esiste una altrettanto ricca letteratura che

prenda ad esempio in esame il museo come contenitore di atmosfere e generatore

egli stesso di queste.

100 Umberto Eco, in un intervento alla Conferenza del Museo Guggenheim di

Bilbao il 25 Giugno 2001 cita a tal proposito Paul Valery:

Non amo troppo i musei. Ve ne sono di ammirevoli, ma nessuno è delizioso. Le idee di classificazione, di conservazione e utilità pubblica, che sono giuste e chiare hanno pochi rapporti con le delizie (…) Mi trovo in un tumulto di creature congelate, ciascuna delle quali esige, senza ottenerla, l’inesistenza di tutte le altre (…) Davanti a me si sviluppa nel silenzio uno strano disordine organizzato. Sono preso da un orrore sacro. Il mio passo si fa religioso. La mia voce cambia, diventa poco più alta che se fossi in chiesa, ma meno forte di quanto non mi accada nella vita. Presto non so più che cosa sia venuto a fare in queste solitudini create, che ricordano il tempio e il salone, il cimitero e la scuola. (…) Quale fatica mi dico, quale barbarie! Tutto è così disumano. Non è puro. Questo avvicinamento di meraviglie indipendenti e nemiche, e tanto più nemiche quanto più si assomigliano, è paradossale (…) L’orecchio non sopporterebbe dieci orchestre insieme. Lo spirito non può seguire molte operazioni distinte, non ci sono ragionamenti simultanei. Ma ecco che qui l’occhio (…) nell’istante in cui percepisce, si trova obbligato ad ammettere, un ritratto e una marina, una cucina e un

trionfo, dei personaggi negli stati e posizioni più diversi, e non solo, ma deve

accogliere nello stesso sguardo armonie e modi di dipingere incomparabili fra loro (…) delle produzioni che si divorano tra loro (…) Ma la nostra eredità ci schiaccia. L’uomo moderno estenuato dall’enormità dei suoi mezzi

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tecnici e impoverito dallo stesso eccesso delle sue ricchezze (…) Un capitale eccessivo e dunque inutilizzabile.182

Chimera di tempio, cimitero, salone e scuola. Questo parlare a voce bassa e

il parallelismo del museo come luogo mortifero non è una novità nel rivolgersi al

museo.

Merleau-Ponty dirà che generalmente ci accostiamo alle stanze del museo:

[…] con una soggezione che non è del tutto confacente. Il Museo ci dà una coscienza di ladri. Di tanto in tanto ci viene l’idea che queste opere non siano però state fatte per finire entro questi muri tristi, per il piacere dei visitatori della domenica o degli intellettuali del lunedì. Sentiamo bene che si perde qualcosa e che questo raccoglimento della necropoli non è il vero ambiente dell’arte, che tante gioie e sofferenze, tanta collera, tanto lavoro non era destinati a riflettere un giorno la triste luce del Museo.183

Per quanto si colgano in queste parole aspetti del museo che ad oggi non sono più attuali come il fatto che l’ambiente sia silenzioso e oscuro e che non dia

l’impressione di essere amichevole, quello che è rimasto nei musei attuali è

l’abbondanza di opere spesso accostate tra di loro con un criterio storicista e che

non prenda atto delle interazioni atmosferiche che possono essere colte ad

esempio tra opere diverse accostate tra loro. È rimasta forse anche la coscienza di

ladri.

182 Umberto Eco, Il museo del terzo millennio, in un intervento alla Conferenza del Museo

Guggenheim di Bilbao il 25 Giugno 2001, p. 1

http://www.umbertoeco.it/CV/Il%20museo%20nel%20terzo%20millennio.pdf.

183 Maurice Merleau-Ponty, Segni, A cura di Andrea Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1967, Saggio: Il linguaggio indiretto e le voci del silenzio, p. 90.

102 Per questo nel museo a parere di Eco la fruizione diventa disattenzione in

quanto: «per quanto sia ben organizzato e suddiviso per epoche, generi e stili, il

museo moderno diventa un luogo dove, chi volesse vedere tutto quello che c’è,

non vedrebbe nulla, e se pure guardasse non potrebbe memorizzare».184

La fruizione oltre ad essere disattenta è rapsodica e gli osservatori sono

descritti come orde di turisti in nulla interessati al godimento estetico:

Torme di turisti che non potrebbero tornare a casa senza avere visto ( o dire di aver visto il Louvre, la National Gallery o gli Uffizi, percorrono a passo di maratoneta una lunga sequenza di sale, si arrestano brevemente e senza discriminazione davanti a quadri irrilevanti, trascurano capolavori, affollano le code davanti alle sole opere di cui hanno sentito parlare ( la Gioconda, la Vergine delle rocce, la Primavera) riuscendo a malapena a vedere l’opera- feticcio, ed escono avendo realizzato scarsa informazione e un godimento estetico del tutto superficiale. In compenso, con i loro fiati mortiferi, contribuiscono alla rovina dei grandi capolavori che sono andati a venerare.185

Eco per scongiurare questo propone un museo del terzo millennio che si

rivoluzioni nella struttura e che conduca ad esempio per mano, ma con le dovute

digressioni, alla Venere del Botticelli, passando da tutto quel background

sociologico, culturale, antropologico, stilistico, che sta come contorno ad esso.

Gombrich, d’altro canto, in uno sguardo trasversale del museo del passato, del

presente e di un probabile futuro, parte dalla premessa che sbagliamo a ritenere

184 Umberto Eco, Il museo del terzo millennio, in un intervento alla Conferenza del Museo

Guggenheim di Bilbao il 25 Giugno 2001, p. 7.

http://www.umbertoeco.it/CV/Il%20museo%20nel%20terzo%20millennio.pdf.

103 che l’esperienza museale debba essere didattica: «We don’t have to learn

anything. Nobody will ever cross-examinate us about the individual items; we are here to relish the experience of being dazzled and overawed.»186

L’esperienza di essere accecato e quasi dominato. Questa sensazione può

essere ottenuta grazie ad una completa immersione dello sguardo; quello che

capita invece all’atto pratico nell’esperienza museale è quello che succederebbe in

un ristorante dove ci si aspetta di dover mangiare tutto dell’intero menù, in cui per

indirizzare il cliente nelle descrizioni delle pietanze sono state poste delle

etichette; così nel museo- ristorante all you can eat è più il tempo impiegato e

perso nella lettura delle etichette che quello impiegato nello sguardo.187

Il problema che emerge riguardo alla fisionomia di un nuovo potenziale

spettatore è che egli non trova comunque dinanzi a sé, quantomeno nei luoghi

deputati ad ospitare le immagini, un ambiente museale che si dica adatto ad

assurgere alla nuova estetica atmosferologica, che abbiamo delineato.

Bjerregaard in questo senso vede musei e mostre come luoghi che non

debbano prefiggersi lo scopo di far esercitare un giudizio o di essere un supporto

didattico. Devono essere piuttosto luoghi di incontro emozionale.

Acquista una rilevanza assoluta l’atmosfera spaziale dove a sua volta sono

inserite le immagini-atmosfera.

186 E.H. Gombrich, The Museum: Past, Present and Future, Critical Inquiry, Vol. 3, n. 3, Spring,

1977, p. 452.

187 Ivi, p. 459 Cit.:[…] who can blame the hapless man if he feels like the visitor to a restaurant

who thinks he must eat through the whole menu. To help him to make up his mind the signposting and labelling is improved, but it takes time to read an explanatory label, time wich would perhaps be more profitably used in looking.

104 L’incontro non si dovrà più basare direttamente sull’opera d’arte, sul

giudicare se questa effettivamente lo sia, ma suggerire un incontro di pura

esperienza.

L’errore probabilmente è stato quello di aver sempre considerato l’opera

come «un recinto, un’entità finita che deve essere interpretata come un lavoro

finito».188

Bjerregaard riporta la differenza che sussiste nella lingua tedesca tra

Wirklichkeit e Realität. Mentre la seconda è in stretta relazione con la realtà fisico-materiale dell’oggetto, la Wirklichkeit è l’actual fact, l’esperienza dell’oggetto in un particolare setting e facente riferimento ad una particolare

relazione con il soggetto. La Realität riguarderebbe ciò che può essere descritto in

termini di colore, stile, anni,corrente pittorica, ma l’esperienza estetica

propriamente detta deve basarsi in primo luogo sulla Wirklichkeit.

In riconsiderazioni museali in chiave atmosferologica, sarebbe necessario partire dall’assunto che le interpretazioni di un’opera e quello che di essa

possiamo sapere e conoscere, seguono e non precedono il suo venir fuori come

presenza e come atmosfera.

L’esperienza della Wirklichkeit di un’opera avverrebbe allora nel senso della

presenza, in qualcosa che non deve essere decifrato, ma semplicemente

riconosciuto come presenza poiché essa: «[…] denotes a relation to things that go

before their interpretation».189

188 Peter Bjerregard, Dissolving object: Museum,atmosphere and the creation of presence,

Emotion, Space and Society xxx ( 2014)1-8, Cit.: In terms of the status of the object this means that while we conventionally have focused on the object as an enclosure, a finished entity to be interpreted as a complete work, p. 3.

105 Sarebbe interessante capire come assunte queste premesse sia possibile

ipotizzare progetti di museo atmosferici che valorizzino in primo luogo un’esperienza emotiva- proprio corporea e che nell’affermare il primato

dell’atmosfera della Wirklichkeit piuttosto che la materialità della Realität,

propongano spazi in cui questo possa accadere. Musei rivoluzionari che

decostruiscano i luoghi attualmente deputati ad essere contenitori di opere e che

forse nel caso più estremo non potremmo già più chiamarli musei.