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Michael Baxandall: Linguaggio e spiegazione, quadro e descrizione

Per quanto Boehm si sforzi di delineare le proprietà di una descrizione che

renda onore al contrasto iconico, non ci dà esaustive motivazioni riguardo alle

differenze che sussistano tra il medium linguistico e quello iconico, facendo solo

un riferimento al fatto che le parole procedano per successione, mentre l’immagine venga colta in simultaneità [Cap. II, par.2]

Cerchiamo di indagarle più nel dettaglio.

La descrizione di un quadro ha a che fare con parole e concetti che sono in relazione con il quadro e questa relazione lungi dall’essere semplice è qualcosa di

complesso e problematico.

Michael Baxandall si interroga sulla descrizione e comincia con il trattare

una descrizione tratta da un testo dedicato dal greco Libanio del IV secolo ad un

quadro presente nella Casa del consiglio di Antiochia. Lo presenta come se fosse reale e secondo il modo di procedere dell’ekphrasis, di rendere un’immagine

65 Non vogliamo qui riportare la descrizione di Libanio. Ci interessa capire che

cosa «descrive la descrizione».116

La descrizione non ci permette di riprodurre il quadro poiché a mancare

sono le «sequenze cromatiche, le relazioni spaziali, le proporzioni, spesso le stesse

indicazioni di destra e sinistra».117

Quello che succede leggendo la descrizione senza vedere il quadro è la

sensazione di veder qualcosa che risponde a questa precisa descrizione.

Tuttavia se potessimo procedere ad un esperimento e «se ognuno di noi

disegnasse la propria visualizzazione (se è una visualizzazione quello di cui si

tratta) di quello che ha descritto Libanio, otterremmo differenti visualizzazioni a

seconda delle nostre specifiche esperienze, del pittore che ci è venuto in mente e

delle nostre individuali facoltà compositive».118

Il linguaggio dunque non sembra essere uno strumento adeguato a rendere

giustizia alla particolarità di un quadro rimanendo troppo sul versante della

generalità.

Un altro motivo che segnala l’inappropriatezza del linguaggio è da

riscontrarsi nel fatto che «non si sposa, nella sua temporalità lineare con

l’esperienza di uno spazio che si offre alla percezione simultanea».119

La descrizione menziona secondo un ordine una cosa prima di un’altra e

questo invalida l’imparzialità di un’eventuale ricostruzione di un quadro.

116 Baxandall Michael, Forme dell’intenzione. Sulla spiegazione storica delle opere d’arte, Torino,

Einaudi editore S.p.A, 2000, p. 12.

117 Ibidem. 118 Ivi, p. 13. 119 Ibidem.

66 Quello che nota Baxandall è che ci sia «un’ovvia discrepanza tra la forma

del percorso di esplorazione visiva del quadro e quella di un sistema di parole e

concetti».120

Questo perché l’atto del guardare presuppone precisi movimenti e si colloca

in un vissuto temporale, che come vedremo è in anticipo rispetto alla scansione

delle parole.

Cosa succede nell’atto del guardare?

A questo proposito potrebbe tornarci utile approfondire meglio la problematica dell’andatura del nostro atto visivo. Quando ci troviamo di fronte ad un quadro percepiamo dapprima molto rapidamente un’idea generale del tutto, che però non è ben definita; e dato che la visione è più acuta e precisa sull’asse della fovea, muoviamo gli occhi sulla superficie del quadro, esplorandolo in una successione di rapide memorizzazioni. In effetti, il movimento dell’occhio cambia andatura con il procedere dell’esplorazione di un oggetto. All’inizio, mentre ci stiamo procurando i nostri punti di riferimento, lo sguardo si sposta non solo più velocemente, ma anche più ampiamente; poi lentamente si riduce a una media di quattro o cinque movimenti al secondo e a passaggi tra i tre e i cinque gradi; in tal modo gli elementi osservati effettivamente si sovrappongono consentendo una coerenza di registrazione.121

120 Baxandall Michael, Forme dell’intenzione. Sulla spiegazione storica delle opere d’arte, Torino,

Einaudi editore S.p.A, 2000, p. 13.

121 Jean- Jacques Wunenburger, Filosofia delle immagini, Torino, Giulio Einaudi editore, S.p.A.,

67 La visione colloca il soggetto dello sguardo in una posizione di veduta

panoramica e sinottica a differenza della linearità del discorso, e consente una più

alta ricchezza di sensazioni ed emozioni e

[…] coinvolge quindi il soggetto molto più intensamente della verbalizzazione, che necessita di un apprendistato, di una scoperta progressiva, e implica una inibizione del pathos.122

1.1 Regis Debray: scusarsi di parlare di immagini?

Dalla trattazione precedente era emerso come la scansione delle parole

risultasse in ritardo rispetto alla simultaneità insita nell’atto del guardare.

È quanto afferma Debray con una prosa molto suggestiva riferendosi al fatto

che non esiste ad esempio nessun equivalente verbale che possa farsi carico della

sensazione di un colore:

[...] Perché non c’è equivalente verbale di una sensazione colorata. Noi sentiamo in un modo, nominiamo in un altro […] Il colore è in anticipo sulla parola- senza dubbio qualche centinaio di migliaia di anni. Quanto pesa un grido scritto di contro a un grido urlato, angoscia o felicità bruta, immediata e piena? Rispetto all’operaio delle parole, l’artigiano delle allucinazioni vere lavora direttamente la carne del mondo. Egli gode di questo privilegio unico: fabbricare qualcosa di naturale. Qualunque cosa faccia, presentando

122 Jean- Jacques Wunenburger, Filosofia delle immagini, Torino, Giulio Einaudi editore, S.p.A.,

68

frammenti di cose, resterà dal lato buono del mondo, dal lato del suo ineffabile mattutino.123

È per questo che arriva ad affermare che fin quado continueremo a sforzarci

e perseverare nel tentativo di trovare significati e spiegazioni, falliremo sempre

nell’impresa e questo perché «un quadro non esprime, è »124

Tuttavia questo non toglie all’immagine il suo potere comunicativo, ma solo

prendendo atto della diversità dei due media, potremmo l’immagine e con essa

tutta la sua potenza di dire e di trasmettere:

Paradossalmente è mantenendo la specificità del visibile in rapporto al leggibile, dell’immagine in rapporto al segno, che si salverà nel modo migliore la sua funzione di trasmissione.125

Per quanto detto, risuona e acquista un senso il titolo interrogativo del

presente paragrafo: dobbiamo scusarci di parlare di immagini?

A parere di Boehm la risposta a questa domanda è no, se riusciamo ad usare

descrizioni adeguate.

Dopo una disamina delle diversità dei due media, presentiamo un tentativo

di decodificare e dunque cercare di tradurre in parole il visivo. Valuteremo dunque se sia possibile mettere in parole un’immagine cercando di tradurla.

Proveremo a illustrare vari modelli di traduzione partendo dal presupposto

che, a parere di Boehm ,le descrizioni di immagini non devono perseguire l’ideale

123 Régis Debray, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, Milano,

Editrice il Castoro S.r.L, 1999, p. 42.

124 Ivi, p. 43.

125 Régis Debray, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, Milano,

69 di una riproduzione verbale perfetta e dunque se di traduzione di un’immagine si

deve parlare, è necessario delineare una particolare modalità di traduzione, che rispetto all’originale ricrea, non solo perché aggiunge o toglie qualcosa, ma anche

perché riesce a generare del nuovo.