Punti di partenza e nuove prospettive di arrivo. Abbiamo presentato le
argomentazioni di Boehm sul problema di come sia possibile descrivere un’immagine. È indubbio che immagini e parole siano due media differenti; ad
animare la sua trattazione c’è il desiderio di scongiurare la pan-linguisticità ed
attribuire alle immagini una propria autonomia come veicoli di senso autarchici.
Sarebbe contro-fattuale non riconoscere che avviene una continua ri-
mediazione sui manuali di Storia dell’Arte, durante le visite ai musei, ascoltando
le parole delle audioguide e in tutti i momenti in cui ci si ponga in generale il problema di descrizione di un’immagine.
Vengono quindi in luce le problematiche legate al rapporto iconico-
linguistico e nello specifico l’interrogativo centrale è se l’iconico abbia bisogno di
essere perfezionato dal linguistico.
Tra i meriti da riconoscere a Boehm c'è senza dubbio quello di «aver
sottratto l'ermeneutica dell'immagine alla tradizionale ma fallimentare gabbia
della linguisticità»149 e di aver sottolineato come «alla sfera ante-predicativa del
senso iconico- visuale non manca proprio nulla, che essa cioè non ha bisogno né
di perfezionamenti né di giustificazioni ex post».150
Per scongiurare i fraintendimenti, Boehm non sostiene che la sfera
linguistica non possa concorrere a dare nuovi modi di vedere, né che immagine e
149 Gottfried Boehm, La Svolta iconica, Roma, Meltemi Editore, 2009, p. 279. 150 Ibidem.
85 linguaggio non possano condividere una segreta corrispondenza. Come fa notare
Griffero:
[…] non si tratta certo di escludere che dal linguistico possano talvolta provenire dei nuovi modi di vedere né di mettere a tacere quella segreta comparabilità di immagine e linguaggio, quella più originaria Bildlichkeit, richiamandosi alla quale soltanto si scongiurerebbe il rischio di un mutismo tanto del logos iconico quanto di chi se ne occupa.151
Lo scopo che anima Boehm nella sua riflessione è quello di «opporsi
energicamente alla degradazione del senso iconico a surrogato del senso
linguistico. Detto altrimenti si tratterebbe di attribuire al linguaggio delle
immagini una sua autonomia»152.
Tale modo di intendere l'iconico fa sì che Boehm riesca nel tentativo di
fondare una logica dell'immagine (dove con logica intendiamo che le immagini
riescano a produrre senso tramite propri mezzi specifici) su una differenza
iconica, assolutamente visiva, «riassumibile da un lato in quel suo mutismo che è
perfezione e potenzialità anziché deficit, dall' altro nel suo non riprodurre, ma
rendere visibile qualcosa di altrimenti impossibile, qualcosa che l' eventuale
riproduzione verbale dovrebbe invece accontentarsi di far emergere annullando se
stessa come segno.»153
Boehm sottolinea ancora le smisurate potenzialità dell'indeterminatezza
delle immagini rispetto alle gabbie concettuali:
151 Gottfried Boehm, La Svolta iconica, Roma, Meltemi Editore, 2009, p. 279. 152 Ibidem.
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Sulle eccezionali potenzialità dell'indeterminatezza che sarebbe immanente all'immagine, sul fatto che ciò che linguisticamente risulta massimamente vuoto è, viceversa l'elemento intuitivamente più denso.154
Il problema del delimitare due ambiti, quello linguistico e quello iconico, è che
una volta che si ponga una irreversibile scissione dobbiamo di necessità chiedere quale dei due sia più efficace e superiore all’altro cadendo così in un errore di
valutazione:
[…] posta la scissione è scontato infatti che ci si senta indotti a parlare di superiorità e/o ulteriorità. Ma superiorità e ulteriorità rispetto a che cosa? Poniamo infatti che il termine di paragone sia la capacità di resa della ricchezza dell'esperienza. Ebbene qui è inutile affaccendarsi sulla superiorità dell'uno o dell'altro medium, giacché quello che il linguaggio perde in concretezza l'immagine perde in termini di astrattezza.155
Il rischio è che l’autonomia del potere delle immagini rispetto alla sfera
linguistica venga fraintesa con una forma di “specismo iconico” che pensa se
stesso come qualcosa di radicalmente extralinguistico.
Un' altra problematica non di poco conto è quella che riguarda l'eccedenza
di senso che Boehm riferisce propriamente alle immagini. Questa infatti non è
caratteristica che inerisce solamente ad esse ma riguarda anche la sfera linguistica
che in un certo senso è permeata di senso eccedente:
154 Gottfried Boehm, La Svolta iconica, Roma, Meltemi Editore, 2009, p. 282. 155 Ivi, p. 283.
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Se di eccedenza bisogna parlare, ebbene questa è quanto meno bilaterale, giacché laddove l'esperienza delle immagini potendo forse solo essere vissuta eccede senza dubbio il giudizio è più generalmente la sfera linguistica (prevalentemente arbitraria) non potendo essere neppure nominata in assenza di un vocabolario che tenga conto -cosa assurda- di ogni singola istanziazione, è pur vero, per altro verso, che il linguaggio porta all'essere delle invarianti nella variazione soggetto- dipendente che risultano assolutamente inaccessibili all'intuizione sensibile iconica.156
Dobbiamo concedere una attenzione particolare anche al riferimento alla
perfomatività delle immagini, poiché Boehm sembra non prendere in dovuta
considerazione il fatto che esse prima di eccedere di senso e rimandare a qualcosa
di altro da sé, generino nel fruitore delle reazioni- emozioni; detto in altre parole:
[…] (le immagini) prima di svolgere quella che Gombrich ha definito, insufficientemente come la loro Appelfunktion, suscitano delle reazioni psicofisiche anteriori a qualsiasi scelta di pragmatica iconica.157
156 Gottfried Boehm, La Svolta iconica, Roma, Meltemi Editore, 2009, p. 283. 157 Ivi, p. 285.
88 2. Le immagini agiscono e suscitano
Vista in questa ottica dunque l’immagine acquisterebbe uno statuto
particolare allorché non pretenda di mostrare un qualcosa ma di agire e suscitare e
acquista così rilevanza ed efficacia nel configurarsi in termini imago- motori o in
qualità di inviti (le affordances di Gibson158).
È tra i pregiudizi più noti infatti che ci si aspetti dall’immagine quell’Appelfunktion di cui abbiamo parlato sopra e che cioè l’immagine sia
sempre immagine di qualcosa d’altro e non una «cosa con cui fare altro».159
Detto in altre parole:
Ancora insufficientemente studiata la pragmatica iconica, la tentazione è sempre quella di ravvisare nell’immagine, realistica o meno, un ruolo anzitutto denotativo, se non documentale. Eppure l’immagine notoriamente ci irretisce […] E ci irretisce anche quando non rappresenta (in senso proprio) nulla. In virtù di un punctum che non contraddice il loro valore testimoniale.160
Al di là di quello che significa o rappresenta, l’immagine dunque suscita in
noi quella che Barthes definisce una ferita, un punctum, come se «l’immagine
proiettasse il desiderio al di là di ciò che essa dà a vedere».161
158 Il termine viene introdotto dallo psicologo statunitense James Gibson nel 1979 nell’opera Un approccio ecologico alla percezione visiva
159Tonino Griffero, A bassa definizione. L’atmosfera intercorporea e memoriale dell’immagine, in Une absence présente. Figures de l’image memorielle, Paris, Mimesis France, 2013, p. 82.
160 Ibidem.
161 Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, tr.it. a cura di R. Guidieri, Torino,
89 L’esperienza estetica si configurerebbe allora come il cogliere l’atmosfera
diffusa che l’immagine irradia e percepire non significherebbe riduttivamente «la
ricezione organica e la rielaborazione neurale di informazioni, ma un sentire
olistico, pericorporeo e anteriore alla dicotomia soggetto/ oggetto, delle
Stimmungen centripete o atmosfere effuse nello spazio vissuto».162 Sarebbe un’estetica del vivere un’impressione attraverso un «esser- presso affettivo e non
oculare-distanziante.»163
A corollario di quanto detto, potremmo spingerci fino a sostenere, riguardo
alla trattazione di Boehm, che la sua riflessione trova una valorizzazione se la
prospettiva di una Bildwissenschaft viene estesa e condotta in un orizzonte problematico dove sia doveroso riconsiderare e abbracciare una particolare
filosofia della percezione.
Si tratterebbe di concepire la percezione come situazione affettiva nel senso
che prima di qualsiasi atteggiamento riflessivo e predicativo «si è effettivamente
coinvolti dalle impressioni emanate da spazi e cose, il cui senso tra l’altro
coincide in tutto e per tutto con questa loro presenza ed efficacia proprio-
corporea»164
Trova valorizzazione allorquando all'ottica dell'immagine- documento viene
a sostituirsi quella dell'immagine-monumento, dove il «monumento non è in
questo caso ciò che commemora un passato, è un blocco di sensazioni presenti che
162 Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, tr.it. a cura di R. Guidieri, Torino,
Einaudi, 2003, p. 83.
163 Tonino Griffero, Quasi-cose che spariscono e ritornano, senza che però si possa domandare dove siano state nel frattempo. Appunti per un’estetica ontologia delle atmosfere, p.49 in Rivista
di Estetica, Atmosfere, a cura di Tonino Griffero e Antonio Somaini, n.33, 2006, anno XLVI.
164 Gernot Böhme, Atmosfere, estasi, messe in scena. L’estetica come teoria generale della percezione, Milano, Christian Marinotti S.r.l. 2010, p. 12.
90 devono solo a se stesse la loro propria conservazione e danno all’evento il
composto che lo celebra».165
Infine una suddetta Bildwissenschaft vede il coronamento dell’immagine
quando ad essa è riconosciuto tutto il suo potere di farsi atmosfera ed essere
percepita atmosfericamente.