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Concludiamo questo capitolo con la tesi diametralmente opposta a quella che presuppone che la ricezione di un’immagine sia sempre un atto di lettura.

Riportiamo una domanda che Mitchell pone in un suo articolo: cosa

vogliono realmente le immagini (da noi)?143

La domanda, sostiene il filosofo può apparirci bizzarra, poiché potrebbe presupporre un’attribuzione di personificazione e animismo rispetto ad un oggetto

141 Klaus Sachs, Hombach. Das Bild als Kommunikatives Medium, Köln, Herbert von Halem

Verlag, 2013, pp. 103-104. “Eine Bildsyntax im formalische Sinne untersucht die fuer Bildsysteme notwendigen Eigenschaften, die Bilder unabhaengig von ihrer Bedeutung und Verwendung besitzen. Eine Bildsyntax im morphologischen Sinne untersucht die Beziehungen innerhalb komplexer Bilder und zwischen den Zeichen eines Zeichensystems. Eine Bildsyntax im kombinatorischen Sinne untersucht das Regelsystem, nach dem elementare Einheiten eines Bildalphabets zu komplexen Bildern kombiniert werden koennen”.

142 Theodor W. Adorno, Teoria estetica, Torino, Giulio Einaudi editore S.p.A, 2009, p. 260.

Adorno nella sezione dedicata a interpretazione, commento, critica delle opere d’arte vede come questi siano rinvii a forme di cristallizzazione a discapito della loro processualità nel divenire.

80 inanimato. Tuttavia viene posta come un esperimento mentale, ove si assume che

le immagini siano cose che mostrano allo stesso tempo il loro aspetto materiale,

fisico ma anche quello virtuale; non presentano solo una superficie, ma da essa

emerge quel qualcosa che ci fronteggia.

Formulare la domanda inziale, che dà titolo al saggio e porre la questione in

questi termini, significa spostare l’attenzione dalla presunta azione delle

immagini, per chiedere cosa piuttosto desiderino e in effetti passare dal loro

potere al loro desiderio. Considerando le immagini dal punto di vista del loro potere, Mitchell cita quello che potrebbe essere chiamato l’effetto- Medusa:

[…] a painting had first to attract the beholder, then to arrest, and finally to enthrall the beholder, that is a painting had to call to someone, bring him to a halt in front of itself and hold him there as if spellbound and unable to move.144

Cosa succede invece con il cambiamento di paradigma dal potere al

desiderio, soprattutto considerando le opere d’arte della contemporaneità?

Dal punto di vista del desiderio delle immagini Mitchell riporta le opinioni

di Michael Fried145 riguardo a quelle immagini pittoriche della contemporaneità,

la cui seduzione può basarsi anche sul fatto che esse siano indifferenti a chi

guarda e concentrate più sul proprio dramma interno; per questo nella misura in

cui hanno già tutto quello di cui hanno bisogno, sembrano non volere nulla:

144 W.J.T. Mitchell, What Do Pictures Really Want?, October,Vol.77 ( Summer, 1996), p. 76. 145 Michael Fried (New York, 1939) è un critico d'arte e storico dell'arte statunitense. La sua opera

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[…] the process of pictorial seduction Fried admires is successful precisely in proportion to its indirectness, its seeming indifference to the beholder, its antitheatrical absorption in its own internal drama.[…] they want by seeming not to want anything, by pretending that they have everything they need.146

Il fatto che sembri che non vogliano niente non è assimilabile al fatto che le opere delle contemporaneità e soprattutto l’arte astratta non vogliano comunicarci

niente. Non voler niente, è ancora una forma di desiderio e forse quello che si

aspettano dal fruitore è che egli si comporti come un voyeur al buco della

serratura.

Le immagini non intendono necessariamente comunicare qualcosa di detto

una volta per tutte o qualcosa di eternamente definitivo e talvolta come le persone,

possono non sapere esse stesse cosa significhino e cosa vogliano dire. Potrebbero

per giunta veicolare messaggi impliciti e contraddicentesi senza che però sia

esattamente la loro intenzione.

Cosa possiamo fare allora per rendere giustizia a questo aspetto? Possiamo

cambiare forse il nostro criterio di visione e in parte adattarlo ad una visione che guarda ed è riguardata e in cui l’immagine sia vista come un individuo complesso

che racchiuda in sé numerosi io e identità:

Pictures want equal rights with language, not to be turned into language. They want neither to be leveled into a history of images, nor elevated into

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history of art but to be seen as complex individuals occupying multiple subject position and identities.147

Il nostro primo incontro con l’immagine deve allora essere visto come un

incontro con […] un conoscente che mi saluti per strada togliendosi il cappello.148

È così, conclude Mitchell che la domanda del cosa vogliono deve partire

dalla consapevolezza che esse non esigono niente e che forse fino ad ora abbiamo

davvero frainteso il nostro incontro con esse.

Le immagini godrebbero degli stessi diritti del linguaggio e non vorrebbero

né essere collocate in una storia delle immagini, né elevate a elementi di critica dell’immagine. Quanto meno non solo. Se vogliamo come esperimento mentale,

provare a pensare al loro desiderio, questo sarà quello di essere riconosciuti come

individui complessi, soggetti da identità multiple.

Le descrizioni proposte da Boehm sicuramente non vogliono servire né da

lettura del testo, né da fissa griglia di lettura unilaterale, poiché l’immagine non ha

bisogno di essere spiegata.

Le descrizioni devono essere adeguate ed efficaci rispetto alla forza delle

immagini e alle loro infinite potenzialità.

È evidente però che l’immagine non possa solo essere considerata come

entità a sé stante autonoma perché il rischio potrebbe essere il suo ripiegamento in

una sfera di autoreferenzialità. Potremmo allora provare a pensare quale

particolare teoria della percezione possa integrare il punto di vista di Boehm e passare cioè a chiederci come debba essere vissuta un’immagine, per poi pensare

a come debba essere descritta.

147 W.J.T. Mitchell, What Do Pictures Really Want?, October,Vol.77 ( Summer, 1996), p. 82. 148 Ivi, p. 82 […] an acquaintance who greets me on the streets by removing his hat.

83 Proveremo adesso nel prossimo capitolo a problematizzare la svolta iconica in una prospettiva di un’estetica delle atmosfere e vedere se descrizioni

84 CAPITOLO IV. VERSO UN’ESTETICA DELLE ATMOSFERE