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i sostegni previsti nel Patto per l’Inclusione sociale.

4) POSSIBILI FORME ORGANIZZATIVE E ISTITUZIONALI DEI SERVIZI SOCIAL

4.2 Costruzione organizzativa dei Servizi socio-assistenzial

Con il concetto di organizzazione dei servizi socio-assistenziali si intendono le attività di programmazione, gestione ed erogazione di tali servizi che prendono forma grazie al contributo di una molteplicità di organizzazioni. Il concetto di organizzazione deve essere considerato come un processo.

Le fasi del processo di organizzazione dei servizi socio-assistenziali dipendono dal livello analitico sul quale ci si colloca: micro, meso e macro.

A livello micro, i principali snodi organizzativi riguardano il rapporto tra individui e organizzazioni, cioè le relazioni che intercorrono tra coloro che lavorano in un’organizzazione.

La dimensione micro si focalizza sulla costruzione e sulla composizione interna delle organizzazioni, considerando sia i processi di definizione dei ruoli assegnati, sia la morfologia complessiva che un ambiente organizzativo può assumere in termini formali. La suddivisione dei ruoli si compie lungo due assi: verticale e orizzontale. L’asse verticale determina la distribuzione dell’autorità gerarchica attribuendo, secondo un ordine decrescente, il potere decisionale dai dirigenti ai subordinati. L’asse orizzontale definisce invece la specializzazione funzionale delle varie componenti; alcuni criteri che orientano tale specializzazione possono essere, ad esempio, la tipologia di prodotto/servizio erogato, l’area geografica di intervento, la tipologia di clientela/utenza. Questi criteri si possono innestare l’uno sull’altro, creando una ripartizione dei ruoli molto articolata. Ciò avviene più facilmente nelle organizzazioni di medie-grandi dimensioni mentre in quelle più piccole la suddivisione è meno formalizzata e, inoltre, è più probabile che i membri siano chiamati a svolgere più incarichi.

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Ogni organizzazione deve assicurarsi che gli sforzi dei singoli seguano una mission comune. A tal fine è necessario introdurre dei meccanismi di integrazione e coordinamento del lavoro, come l’adattamento reciproco (principio di coordinamento che vale nelle organizzazioni nelle quali operano professionisti di pari grado), la supervisione diretta (controllo da parte di un superiore nei confronti dei subordinati) e l’adozione di meccanismi di standardizzazione (vale a dire di allineamento del contributo fornito dai membri).

L’intreccio tra i meccanismi di suddivisione e specializzazione (verticale e orizzontale) e quelli di integrazione dei ruoli (adattamento, supervisione e standardizzazione) genera la struttura sociale di un’organizzazione. La struttura organizzativa può essere intesa come la suddivisione formale dei ruoli oppure l’insieme dei processi che danno forma alle interazioni sociali all’interno di un’organizzazione e che permettono di definire dei modelli ricorrenti.

I modelli di struttura organizzativa più diffusi sono quattro: semplice, funzionale, divisionale e a matrice.

- La struttura semplice è la forma più elementare di strutturazione di un’organizzazione. Essa si può applicare alle piccole organizzazioni, specializzate in un’unica attività e che si rivolgono a un’utenza omogenea. La differenziazione dei ruoli in scala orizzontale è attenuata mentre la suddivisione verticale prevede una forte concentrazione dell’autorità decisionale ai vertici.

- La struttura funzionale è una struttura semplice ma più articolata. E’ adottata dalle organizzazioni di piccole e medie dimensioni che operano in un unico contesto territoriale, erogano una singola tipologia di prodotto o servizio e si rivolgono ad un’utenza omogenea. Ha un elevato accentramento dell’autorità decisionale ai vertici. L’elemento che distingue questo tipo di struttura da quella semplice è l’esigenza di una maggiore e più marcata differenziazione dei ruoli su scala orizzontale.

- La struttura organizzativa di tipo divisionale è più adeguata quando l’organizzazione ha più sedi/contesti di attività, eroga una pluralità di prodotti/servizi e si relaziona con una gamma eterogenea di utenti. Generalmente sono organizzazioni di medio-grandi dimensioni. Si pensi, ad esempio ai Comuni: devono assolvere ad una pluralità di funzioni e si interfacciano con le richieste di un’utenza eterogenea.

L’elemento che contraddistingue le organizzazioni divisionali è l’elevato decentramento dell’autorità: ai vertici competono le decisioni strategiche più rilevanti mentre le decisioni inerenti questioni tecniche e operative sono demandate ai livelli inferiori.

- Il modello a matrice combina la specializzazione funzionale con la struttura divisionale. La definizione del ruolo dipende dall’intreccio di due dimensioni: la competenza funzionale e la sua collocazione in una particolare linea di attività. Il presupposto che contraddistingue una struttura a matrice da una divisionale è la maggiore flessibilità con la quale è possibile spostare un soggetto da una linea di attività all’altra, permettendo così di fronteggiare nuove richieste.

A livello meso, invece, le questioni organizzative si concentrano sulle relazioni tra le organizzazioni che concorrono alla programmazione, gestione e produzione dei servizi. A questo livello le organizzazioni assumono la valenza di attori che interagiscono nella società sia attraverso la realizzazione di specifiche attività, sia tramite le relazioni che intessono tra di loro. Gli snodi organizzativi che si possono cogliere al livello meso

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riguardano le forme e le modalità di interazione tra questi attori collettivi, che seguono logiche diverse dalle persone.

Per ambiente organizzativo si intende l’insieme dei contesti in cui un’organizzazione è situata (territoriale, culturale, economico). Le scelte dell’organizzazione incidono e condizionano a loro volta l’ambiente (reciproca e continua influenza).

I principali soggetti con i quali un’organizzazione sviluppa e mantiene delle relazioni sono gli stakeholders, che influenzano e sono a loro volta influenzati dall’organizzazione. Gli stakeholders possono essere figure diverse, come un soggetto interno all’organizzazione, utenti, fornitori, istituzioni pubbliche, banche, mass media.

A livello macro si ha, infine, una visione d’insieme che riduce la focalizzazione sulle caratteristiche, le scelte e i comportamenti dei singoli attori, per cogliere più complessivamente l’andamento di ambiti d’azione più ampi. Gli ambiti possono essere denominati settori (come quello sanitario o socio-assistenziale).

La costruzione organizzativa si delinea, da questo punto di osservazione, come un processo giocato in chiave istituzionale, attraverso il quale si confrontano differenti logiche di azione.

Secondo la prospettiva macro il concetto di organizzazione sottintende l’esito dell’adozione di una particolare logica d’azione nella regolazione dei rapporti intra e interorganizzativi.

Per lungo tempo i servizi socio-assistenziali sono stati gestiti ed erogati quasi esclusivamente da una serie di pubbliche amministrazioni ed enti pubblici.

L’inquadramento organizzativo dei servizi si può tracciare seguendo alcune direttrici di fondo: il consistente imprinting burocratico, la ridefinizione delle dinamiche operative di alcune unità organizzative e la crisi del paradigma burocratico.

Storicamente le pubbliche amministrazioni si sono configurate secondo l’imprinting burocratico. La burocrazia è una particolare logica di configurazione dell’azione di un’organizzazione che ha contributo ad innovare e a consolidare il funzionamento delle pubbliche amministrazioni (Rossi, 2014).

Il destino delle politiche sociali è affidato ai governi regionali.

Le regioni, nel settore sociale, possono svolgere una funzione regolativa degli interventi oppure assumere un ruolo di mera allocazione delle risorse provenienti dal fondo nazionale (senza alcun intervento regolativo del settore).

Nel primo caso l’organizzazione dei servizi può incontrare le modalità operative impiegate nell’area sanitaria e quindi troveremo dei modelli sociali regionali che rispecchiano le caratteristiche dei rispettivi modelli sanitari. Nel secondo caso, invece, la differenziazione riguarda addirittura i distretti socio-sanitari di una stessa regione.

Le diverse scelte compiute dalle regioni dunque, favoriscono o meno il rafforzamento di modelli di erogazione di servizi che ne rispecchiano i confini. Quando si affermano tali modelli regionali, la tendenza è quella di avvicinarsi al settore sanitario. Questo perché, in generale, vi è la tendenza a subordinare l’offerta socio-sanitaria alle logiche e alle modalità organizzative del sistema sanitario regionale, forte di una rete radicata nel territorio e portatrice di interessi ben lontani da quanto possa invece offrire la rete sociale. Inoltre, prima dell’approvazione della L. 328/00, grazie alla quale i Comuni divennero il soggetto centrale nella gestione dei servizi socio-assistenziali, la presenza di numerosi piccoli comuni nel territorio nazionale non in grado di fornire in autonomia

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prestazioni e servizi, aveva favorito lo sviluppo di un meccanismo di delega che vedeva il comparto sanitario responsabile dell’erogazione di una varietà di servizi afferenti al settore sociale.

Inoltre, anche il frequente ricorso a forme di gestione e pianificazione dei servizi precedentemente sperimentate in ambito sanitario ha incoraggiato la convergenza dei due settori.

Si fa riferimento al sistema di accreditamento che, nella L. 328 prevede, per esempio, che siano i comuni a verificare il rispetto dei requisiti nazionali e regionali e ad autorizzare servizi e strutture (pubbliche e private). Ma in sanità, tale sistema era già stato introdotto all’inizio degli anni ’90 con i D.Lgs. 502/1992 e 517/1993, che avevano lo scopo di sviluppare dinamiche concorrenziali tra pubblico e privato, assicurando la libera scelta del cittadino. L’accreditamento garantiva così il rispetto di standard qualitativi delle prestazioni erogate da una molteplicità di soggetti; stesso obiettivo che intende perseguire oggi il settore sociale.

Nel secondo caso – ovvero quando la differenziazione riguarda addirittura i distretti socio- sanitari di una stessa regione – ci si interroga su che cosa consenta alle regioni di non intervenire nella regolazione del settore. All’interno della normativa costituzionale si ricorda che, in materia sociale, le regioni non sono tenute a rendere conto del proprio operato a livello centrale: il sistema a potestà assoluta, infatti, non le obbliga al rispetto di principi statali. Tuttavia la recente definizione dei livelli essenziali delle prestazioni le richiama al dovere di garantire uno standard minimo di servizi.

Nel settore sanitario, invece, la differenziazione regionale si è mossa di pari passo con la determinazione delle responsabilità politiche e finanziarie dell’intero sistema. All’inizio degli anni ’90, come abbiamo visto nel capitolo 2, si assiste ad un rafforzamento delle regioni sono grazie al processo di aziendalizzazione delle USL, diventate a tutti gli effetti enti regionali.

La regione è così diventata protagonista dell’erogazione di prestazioni e dunque la diretta responsabile nei confronti dei cittadini.

Rispetto alla normativa costituzionale il comparto sanitario si inserisce in una cornice diversa rispetto al comparto sociale: la potestà regionale è infatti di tipo concorrente e quindi le regioni sono tenute ad uniformarsi ai principi nazionali oltre che a garantire in maniera omogenea i livelli essenziali delle prestazioni.

In ambito sociale il ruolo delle regioni appare come secondario rispetto al ruolo dei comuni, protagonisti e responsabili dei principali interventi. Dunque “la differenziazione sub-regionale è il frutto di un «regionalismo debole» che all’attribuzione di nuove competenze e funzioni non fa corrispondere nessuna responsabilità politica e istituzionale. Ne consegue che solo le regioni più virtuose intervengono nella regolazione del settore favorendo l’erogazione di un buon livello di servizi; non è quindi un caso che la spesa sociale ricalchi la tradizionale divaricazione fra il nord e il sud del Paese” (Agostini, 2008). La differenziazione territoriale è quindi ben lontana dall’essere superata: ci si trova in un contesto in cui ogni regione interviene in maniera diversa per regolare il sistema e ciò comporta l’affioramento di modelli che rispecchiano i confini regionali e forme regolative sub-regionali, portando il Paese ad una sempre più accentuata frammentazione (Agostini, 2008).

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