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i sostegni previsti nel Patto per l’Inclusione sociale.

4) POSSIBILI FORME ORGANIZZATIVE E ISTITUZIONALI DEI SERVIZI SOCIAL

4.1 Governance e programmazione locale dei Servizi social

I cambiamenti di natura nazionale ed internazionale degli ultimi 20 anni hanno incrementato in modo esponenziale le sfide poste ai diversi livelli di governo. Tali cambiamenti hanno portato alla nascita di un nuovo sistema di progettazione e programmazione delle politiche pubbliche finalizzato alla realizzazione di un adeguato sviluppo economico locale. A questo nuovo sistema sono state attribuite diverse connotazioni, riconducibili soprattutto al concetto di governance.

Con il concetto di governance si intende una nuova modalità di governo e programmazione delle politiche pubbliche. Questa interpretazione della nozione di governance è emersa in contrapposizione al concetto di government. Quest’ultimo termine indica le forme tradizionali di programmazione e gestione delle politiche pubbliche, fortemente concentrate sull’autorità degli organi di governo istituzionali (lo Stato e le amministrazioni regionali e locali).

Il concetto di governance delinea invece un cambiamento nelle relazioni tra istituzioni pubbliche e gli attori che a diverso titolo possono concorrere alla realizzazione di una politica pubblica (beneficiari, produttori ecc). Questo implica un mutamento del ruolo delle istituzioni pubbliche che, anziché centro ispiratore delle policy devono predisporsi per favorire lo sviluppo di relazioni tra attori di diverso genere.

La definizione di Renate Mayntz può rappresentare un’occasione per riflettere sulle dinamiche politico-sociali causa ed effetto del passaggio da government a governance: “Attualmente si ricorre a governance soprattutto per indicare un nuovo stile di governo, distinto dal modello del controllo gerarchico e caratterizzato da un maggior grado di cooperazione e dall’interazione tra lo stato e attori non statuali all’interno di reti decisionali miste pubblico/private. (...) La “scoperta” di forme di coordinamento diverse non solo dalla gerarchia, ma anche dal mercato strettamente inteso, ha indotto l’uso generalizzato del termine governance per indicare qualsiasi forma di coordinamento sociale”.

In sintesi, la governance riguarda tre fenomeni fra loro intrecciati e incentrati sul declino dello stato tradizionalmente inteso, sulla propensione al coinvolgimento di attori non convenzionali e sulla varietà di forme e contenuti con cui gli strumenti di governance si manifestano (Mayntz, 1999).

Le forme che un processo di governance può assumere sono molteplici e prevedono la costruzione di agenzie specializzate, consorzi intermunicipali o la stipula di convenzioni o accordi al fine di erogate servizi specifici.

I processi di governance, quindi, vanno nella direzione di una degerarchizzazione dei poteri ed il profilo organizzativo che tali esperienze assumono è quello di network, dove l’incidenza del controllo gerarchico tra gli attori è attenuata perché emerge il carattere di interdipendenza e complementarietà che lega quanti sono impegnati in una determinata attività. Ciò favorisce lo sviluppo di dinamiche relazionali più orizzontali. L’assunto di base è la consapevolezza che nessuna organizzazione possiede tutte le risorse (finanziarie, conoscitive, tecniche etc.) necessarie per la realizzazione di un determinato servizio (Rossi, 2014).

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Negli ultimi decenni il sistema italiano dei servizi sociali è stato interessato da diverse riforme e cambiamenti organizzativi e strategici riconducibili al paradigma della governance. Il filo conduttore che accompagna tali processi pone al centro del discorso l’apertura dei processi decisionali e il decentramento amministrativo (si veda capitolo 2, paragrafo 2.1), ovvero due fondamenti dei modelli di governance locale.

La legge 328/2000, oltre ad introdurre importanti novità (passaggio dalla concezione di utente con bisogni a quella di persona nella sua totalità; l’attenzione posta all’assistenza non solo come luogo di realizzazione di interventi meramente riparativi, ma come risorsa per la protezione sociale attiva; la prevenzione e la promozione dell’inserimento della persona nella società attraverso la valorizzazione delle sue capacità), ha stimolato una riorganizzazione strategica dei servizi, puntando molto su alcuni principi mutuati dalla teoria della governance, fra i quali il passaggio da un’azione esclusiva dell’ente pubblico a un’azione svolta da una pluralità di attori, in particolare il Terzo settore.

La 328, oltre alla sussidiarietà verticale, pone l’accento sulla rilevanza della sussidiarietà orizzontale, di stretta attinenza con il paradigma della governance, poiché si realizza quando attività proprie del settore pubblico vengono svolte da attori privati (cittadini, associazioni, imprese sociali, ecc.), con l’intento di lasciare più spazio possibile all’autonomia privata. Crea dunque un modello di erogazione dei servizi fortemente incentrato sulla relazione tra cittadini, enti locale e Terzo settore, chiamato a partecipare alla co-progettazione dei servizi e alla realizzazione concertata degli stessi.

Lo strumento che ha maggiormente dato concretezza alla Legge 328 e ha agevolato il passaggio da regimi di government a regimi di governance è il Piano di Zona (PDZ). Il PDZ rappresenta infatti, un importante tassello nell’implementazione di logiche di governance multilivello nel settore delle politiche sociali in Italia.

Il PDZ chiama a raccolta gli enti locali di un determinato territorio al fine di individuare collegialmente gli assetti, le risorse e gli obiettivi dell’offerta locale. Ciò ha fatto sì che in molti casi siano state individuate nei Comuni nuove unità organizzative come l’Ufficio di piano e nuove figure professionali come il Responsabile di Piano, necessarie per presidiare adeguatamente l’intero percorso di programmazione. Il PDZ può essere inteso anche come il prodotto di tale processo, formalizzato in un documento nel quale sono specificati i contenuti strategici e operativi che orientano l’offerta dei sevizi.

Attraverso accordi di programma e convenzioni tra Comuni, Aziende per i Servizi Sanitari, cooperative, imprese sociali, associazioni o altri soggetti istituzionali e non, i PDZ hanno rappresentato un importante momento di sperimentazione e di consolidamento di pratiche tese all’individuazione di obiettivi strategici condivisi, strumenti da impiegare e risorse da attivare per l’implementazione degli interventi.

Martelli sintetizza le principali caratteristiche della governance nei servizi sociali in cinque punti, ovvero:

a) il decentramento amministrativo, un prerequisito fondamentale per assicurare l’apertura dei processi decisionali ad attori non convenzionali e per riequilibrare la distribuzione dei poteri all’interno dei diversi livelli di governo, dando quindi agli enti locali la possibilità di pianificare e programmare le proprie politiche;

b) la propensione a enfatizzare l’integrazione delle diverse politiche invece che favorire la frammentazione di scelte e responsabilità;

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c) la trasparenza e il maggiore controllo collettivo delle decisioni assunte, a fronte di procedure negoziali che favoriscono la partecipazione di più attori e la rappresentatività;

d) la sussidiarietà sia orizzontale che verticale, ovvero la predisposizione ad aumentare il grado di prossimità al bisogno stimolando l’attivazione dei livelli di governo più adeguati e vicini ai cittadini e alle loro esigenze;

e) l’orientamento al coinvolgimento e all’empowerment di soggetti sociali tradizionalmente esclusi dai processi decisionali (Martelli, 2007).

Le caratteristiche elencate mettono in rilievo le potenzialità dei modelli di governance ma, nella realtà, la governance locale presenta alcuni limiti e contraddizioni.

Una delle più frequenti critiche ai modelli di governance locale interessa l’aspetto della selezione degli attori realmente coinvolti. L’utilizzo di strumenti come le partnership dovrebbe garantire il coinvolgimento all’interno del processo decisionale di gruppi sociali tradizionalmente esclusi dalle pratiche di governo, ma in verità non tutti sono invitati a partecipare. “Gli interessi forti entrano senz’altro, e per primi, in scena; viceversa le istanze sociali più deboli e deprivate, spesso quelle più direttamente interessate dall’impatto delle politiche, restano disperse e incapaci di organizzarsi e contare, e tendono ad essere escluse dai negoziati” (Bifulco, De Leonardis, 2002).