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In accordo con Stiglitz (2001), un aspetto del miracolo asiatico cui è stata data poca importanza è la constatazione che nelle ultime tre decadi, se da una parte il capitalismo è sempre stato tormentato da fluttuazioni e panico finanziario, dall’altra i paesi dell’Asia orientale hanno sperimentato un numero di crisi estremamente basso in comparazione con i paesi sviluppati e si sono altresì ripresi in fretta dalla crisi del 1997-98126. Questo

123 STIGLITZ, Joseph E., YUSUF, Shahid, Rethinking the East Asia Miracle, 2001, New York, Oxford University

Press, 2001.

124 BERGER, M. T., op. cit. 125 BERGER, M. T., art. cit.

fatto dovrebbe portare a chiedersi quali siano stati, nello sviluppo asiatico, i fattori che hanno portato a questo lungo periodo di stabilità. In questa tesi si utilizza il termine ‘crisi asiatica’ con riferimento solamente all’area geografica in cui la crisi si è manifestata e dove ha avuto gli effetti più gravi, soprattutto in termini di trasformazione del patto di sviluppo. Si ritiene infatti che anche questa crisi faccia parte di una lunga serie di crisi strutturali, caratteristiche del sistema capitalistico dominante promosso dagli Stati Uniti, che nel trasformarsi per garantire la propria sopravvivenza ha creato in ultima analisi un sistema finanziario internazionale instabile. Pertanto, se da una parte sono stati i paesi dell’Asia orientale a pagare il prezzo più alto in questa crisi, dall’altra questo evento ha rivelato quanto gravi possano essere gli effetti del contagio finanziario e quanto i movimenti speculativi possano danneggiare un’intera nazione. Dal canto loro i paesi asiatici hanno mantenuto per lungo tempo un certo grado di sovranità nazionale che ha permesso loro di portare avanti politiche di lungo periodo che hanno portato a una crescita economica stabile. La crisi è arrivata, con tutta la sua intensità, proprio nel momento in cui questi paesi sono stati costretti ad abbandonare parte della propria sovranità nazionale e delegare la gestione del proprio sviluppo a istituzioni occidentali. In altre parole, i mercati finanziari internazionali sono intrinsecamente instabili e la crisi asiatica sembra essere stata molto di più una crisi del capitalismo occidentale di quanto non fosse una crisi del capitalismo asiatico.

La crisi del 1997-98 che ha colpito Indonesia, Repubblica di Corea, Malesia, Filippine e Tailandia, ha avuto caratteristiche simili ad altre crisi originatesi nei paesi emergenti, in Messico nel 1994-95 ed in Argentina nel 1995. Ognuno di questi episodi mostra elementi di crisi che si sono autoalimentate, partendo da un escalation di ritiri di capitali da parte dei creditori che ha portato al panico finanziario ed a una conseguente e non necessaria contrazione economica. Radelet e Sachs (1998) hanno esaminato la crisi in Asia orientale partendo da questo punto di vista e spiegando come, se da un lato il ritiro dei capitali da parte degli individui potrebbe in un certo senso essere giustificato, dall’altro lato le fondamenta del sistema sono state inefficienti nel generare risultati meno sfavorevoli. L’Asia orientale è stata colpita da shock macroeconomici internazionali nel periodo 1994- 96. Tra questi un’impennata nella competizione da parte di altre economie emergenti – in particolare Messico e Cina – nell’attrarre IDE e trovare sbocchi per le proprie esportazioni,

e una brusca inversione della tendenza di apprezzamento dello yen rispetto al dollaro. Questi fattori, apparentemente insignificanti hanno interagito con la crescente debolezza dei sistemi finanziari asiatici nel provocare la crisi. La crescita di debiti di breve termine con i finanziatori esteri, la rapida espansione del credito bancario e l’inadeguata supervisione da parte delle istituzioni finanziarie hanno reso le economie asiatiche vulnerabili alla volatilità dei flussi di capitali di breve termine127. Inoltre, senza tenere in considerazione i problemi alla radice dell'instabilità del sistema finanziario internazionale, la risposta del FMI è stata quella di applicare misure di austerità e iniziative di liberalizzazione condizionali alla concessione di credito, imponendo costi eccessivi alle economie asiatiche128, sia in termini di aggiustamento, sia in termini di autonomia nelle scelte politiche. Secondo il premio Nobel per l’economia James Tobin (1997), la ragione per cui il FMI ha scelto di utilizzare fondi per salvare le banche asiatiche in cambio di riforme istituzionali e strutturali di liberalizzazione, invece di permettere la rinegoziazione del debito, risiede nel fatto che i paesi colpiti dalla crisi erano vittime di un sistema internazionale di tassi fallace che, sotto la leadership statunitense, dà la priorità assoluta alla mobilità di capitali sopra ogni altra considerazione129. La crescita economica in Asia orientale era stata garantita da un’inflazione stabile, deficit controllati dai governi e, in molti casi, senza la convertibilità del conto in capitale. Nel periodo immediatamente successivo alla crisi, le azioni del FMI, sostenute da governi e corporazioni dei paesi ricchi, sono state l’espressione di una grande spinta verso l’istituzione di un regime di mobilità di capitali a livello globale, che avrebbe garantito alle grandi compagnie di Wall Street un accesso più facile e rapido ai mercati dell’Asia orientale130. La crescita sostenuta delle

economie asiatiche negli anni Novanta aveva attratto i creditori internazionali e nuovi canali per l’influsso di capitale straniero erano stati aperti con la parziale liberalizzazione dei mercati finanziari. Questi fattori hanno apprezzato i tassi di cambio reali portando

127 RADELET, S., SACHS, J. D., The East Asian Financial Crisis: Diagnosis, Remedies and Prospects, Harvard

Institute for International Development, april 20, 1998, online:

http://www.brookings.edu/~/media/Projects/BPEA/1998%201/1998a_bpea_radelet_sachs_cooper_boswor th.PDF

128 BERGER, M. T., The Battle for Asia, op. cit.

129 TOBIN, J., Why We Need Sand in the Market’s Gears’, Washington Post, 21 December 1997.

130 WADE, Robert, VENEROSO Frank, The Asian Crisis: High Debt Model Versus the Wall Street-Treasury-IMF

Complex, The Russel Sage Fundation, March 2, 1998, online:

anche all’espansione del credito bancario. Tuttavia, quando gli influssi di capitali hanno cominciato a declinare, le azioni da parte dei governi asiatici, del FMI e della comunità internazionale hanno portato al panico finanziario. Joseph Stiglitz (2007) fa notare quanto la liberalizzazione del mercato di capitali, attuata senza una struttura di controllo e regolamentazione di supporto, sia pericolosa e come le istituzioni internazionali designate a garantire la stabilità globale e promuovere la crescita economica nei paesi in via di sviluppo siano diventate poco credibili, soprattutto in quanto prevalentemente dominate da Stati Uniti ed Europa131.

Pertanto, le ragioni della crisi non sono ricercabili nel modello asiatico di relazioni industriali né tantomeno nel meccanismo di finanziamento degli investimenti, quanto invece nell’eccessiva fiducia dei governi dei paesi colpiti dalla crisi nei confronti della liberalizzazione e dell’indiscriminata apertura dei mercati132. Non a caso i paesi che hanno evitato i più gravi effetti delle crisi finanziarie in generale – Cina e India – sono proprio quei paesi che hanno mantenuto una cauta e controllata apertura economica e finanziaria. Come abbiamo visto il finanziamento allo sviluppo per mezzo del credito bancario sembra essere una caratteristica del modello asiatico. Tuttavia, la minore esposizione della Cina sembra invece essere dovuta alla scelta di sostenere questo tipo di investimenti sollecitando il risparmio interno di imprese e individui, incentivata dalle restrizioni finanziarie e fondata sulla limitazione e l’indirizzamento strategico dei flussi valutari e finanziari esterni. Al contrario, negli anni Novanta, gli altri paesi asiatici hanno alimentato buona parte dei propri risparmi con flussi di capitale straniero a breve termine in un contesto di fragilità macroeconomica133 in generale.