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Nel periodo che va dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, nel 1949, fino all’inizio degli anni sessanta le relazioni diplomatiche cinesi consistevano nell’alleanza con l’Unione Sovietica (URSS) contro gli Stati Uniti (USA). Tuttavia, il paese non sarebbe rimasto a lungo inserito nelle logiche del conflitto bipolare.

Dai primi anni Sessanta, e più precisamente in seguito alla rottura con l'Unione Sovietica, la Cina entrò in una fase di marginalità internazionale. In questo periodo la politica estera cinese rigettava sia l’imperialismo statunitense, sia il revisionismo sovietico e fu rivolta principalmente verso il Terzo Mondo nello sforzo di sostenere ed esportare la rivoluzione e contenere le mire espansionistiche delle due superpotenze rivali. Le ragioni della relativa marginalità del paese nelle relazioni diplomatiche internazionali risiedevano principalmente nel fatto che gli sforzi politici di Pechino erano in larga parte concentrati sulla Rivoluzione Culturale interna alla nazione93.

Negli anni Settanta, il presidente Mao elaborava un nuovo quadro concettuale delle

91 LIBERTHAL, Kenneth, Governing China. From revolution to reform, op. cit. 92 COLLOTTI PISCHEL, Enrica, op. Cit.

relazioni internazionali, il sange shijie – letteralmente “tre mondi”, presentato ufficialmente il 9 aprile 1974 in un discorso di Deng Xiaoping, nella sua prima apparizione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite94. Questa nuova teoria di politica estera

postulava che convivessero nelle relazioni internazionali tre mondi: le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, facevano parte del Primo Mondo, i paesi in via di sviluppo in Asia, America Latina e in altre regioni erano parte del Secondo Mondo mentre il resto dei paesi sviluppati, in cui s’inseriva anche la RPC, faceva parte del Terzo Mondo95. La nuova elaborazione teorica diplomatica permetteva la partecipazione della Cina, seppure spesso selettiva e simbolica, nelle organizzazioni internazionali, in particolare le Nazioni Unite. In seguito ai famosi viaggio in Cina di Henry Kissinger nel 1971 e di Richard Nixon nel 1972, Pechino riaprì il dialogo diplomatico con gli Stati Uniti in chiave difensiva contro la percezione montante della minaccia Sovietica, soprattutto in seguito agli scontri con l'URSS lungo il fiume Ussuri. Se per la RPC questa nuova alleanza era finalizzata ad alleviare le attese di un attacco militare sovietico, per gli Stati Uniti l’apertura alla Cina era funzionale al raggiungimento di due obiettivi geopolitici fondamentali: bilanciare il potenziale dell’influenza sovietica in Asia e ridurre gli onerosi impegni della politica estera statunitense cooptando la Cina in un’azione congiunta di contenimento nell’area. Inoltre, e in linea con la tendenza eurocentrica e bipolare dell’approccio diplomatico kissingeriano, il riavvicinamento con Pechino serviva a rafforzare il bipolarismo in Europa evitando un possibile primato sovietico in Eurasia96. Il riavvicinamento diplomatico tra Cina e Stati Uniti ebbe l'effetto di riconfigurare l'equilibrio bipolare che era l'essenza della Guerra Fredda, cambiando profondamente l'equilibrio di potere tra le due superpotenze in conflitto – USA e URSS. Nondimeno, la cooperazione di Pechino con Washington e l'opposizione con Mosca erano il primo passo verso l'integrazione cinese nel sistema globale dominato dai paesi capitalisti. Stando a Chen (2010), la decisione di Mao di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti durante i primi anni Settanta ha reso possibile che

94 Per l’intera trascrizione del discorso si veda il supplemento al Peking Review, vol. 17, n. 15, 12 aprile 1974.

Online: http://www.massline.org/PekingReview/PR1974/PR1974-15Supplement.pdf

95 YEE, H. S., The Three World Theory and Post-Mao China’s Global Strategy, International Affairs, vol. 59, n.

2, 1983, pp. 239-249.

96 DEL PERO, Mario, Henry Kissinger e l’Ascesa dei Neoconservatori. Alle origini della politica estera

i suoi successori intraprendessero il percorso di apertura verso il mondo esterno97 che ha

portato allo sviluppo economico cinese che conosciamo.

Dopo il 1979, finita la breve guerra con il Vietnam e costatato che nemmeno in quell'occasione ci sarebbe stato un attacco da parte dell'Unione Sovietica - dove intanto al potere si era insediato il riformista Gorbacev - i timori di un'imminente minaccia svanirono. Ma l'aspetto più rilevante dell'apertura diplomatica cinese è stato il riavvicinamento con l'Asia orientale negli anni Ottanta. Secondo molti autori in quell'epoca l'apertura economica cinese ai mercati internazionali era guidata e mediata, in via generale, dalla diaspora cinese d'oltremare e in particolare, per quanto riguarda i legami con l’Asia sudorientale, dalle comunità di emigranti cinesi in quest’ultima area98. Pertanto, nell'ottica generale d’integrazione con il sistema economico globale, dove l'Asia orientale giocava un ruolo fondamentale, era d’importanza strategica per la RPC stabilire un rapporto con le comunità che avevano contribuito allo sviluppo economico nel Nan Yang99. Infatti, la strategia diplomatica di Pechino in Asia orientale si fondava sulla convergenza dell'identità culturale e poteva prospettarsi, citando Enrica Collotti Pischel:

“come l'inclusione dell'isola [di Taiwan], della terraferma, ma anche di Hong Kong e del vasto mondo dei cinesi <<d'oltremare>> nel quadro di una <<Cina più grande>> [...] collegata all'ideale della tradizione politica ed economica cinese, di quell'articolato impero che sapeva assicurare prosperità e che influenzava e coinvolgeva molti più uomini di quanti abitassero entro i suoi confini statali”100.

Il riallacciamento delle relazioni con l’Asia sudorientale diede alla Cina un’ulteriore spinta

97 CHEN, J., China and the Cold War after Mao, in LEFFLER, M. P., WESTAD O. A., The Cambridge History of

the Cold War, vol. 3, 2010, pp. 181-200.

98 Si vedano in proposito i già citati Arrighi (1999), Collotti Pischel (2002), Westad (2012).

99 Letteralmente "Oceano Meridionale", il termine Nan Yang comprende un significato più ampio nel fare

riferimento alle popolazioni di etnia cinese emigrate della regione asiatica sudorientale, più precisamente a Singapore, nelle Filippine, in Malesia, in Tailandia, in Indonesia e in Vietnam.

verso la creazione e l’espansione di una propria rete diplomatica a livello globale. Negli anni Novanta gli studiosi e i politici cinesi dediti alle relazioni internazionali s’impegnarono nell’elaborazione di un nuovo concetto di politica estera che fosse in linea con i principi dello sviluppo pacifico - heping fazhan – e che promuovesse il multilateralismo nella gestione delle questioni internazionali. Nell’accezione cinese, il principio includeva elementi dell’elaborazione occidentale quali l’uguaglianza, la fiducia, la sicurezza reciproca e la risoluzione pacifica dei conflitti. Tuttavia, al fine di rafforzare la questione della sovranità nazionale e affermare la natura indipendente della politica estera di Pechino, si dotava di alcune caratteristiche peculiari, includendo principi quali la sovranità, il rispetto delle diversità politiche, economiche e militari tra i diversi paesi e l’importanza delle consultazioni informali e della formazione del consenso101.

In seguito alla crisi che colpì l’Asia orientale nel 1997-98, le relazioni diplomatiche della regione cambiarono in parte natura. Stando a Wang (2006), il consolidamento delle relazioni nell'area, successivo alla crisi, aveva lo scopo di resistere alle pressioni del capitalismo globale102. Il panico finanziario del 1997, da subito definito come crisi ‘asiatica’, aveva avuto effetti negativi più o meno gravi su tutte le economie dell'Asia orientale. In quel periodo si prese coscienza delle contraddizioni insite nel sistema capitalistico e fu riesaminato il ruolo dei precetti neoliberali.