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I teorici della democrazia partecipativa, considerano necessario “responsabilizzare” i cittadini per contrastare il crescente disimpegno e passività che colpiscono i cittadini moderni. Per raggiungere tali obiettivi, essi chiamano a democratizzare il “welfare state”, decentralizzare le istanze di potere creando istituzioni locali e assemblee regionali al fine di rendere più accessibile l’effettiva partecipazione politica. Tuttavia, queste soluzioni, non garantiscono l’effettiva “responsabilizzazione” dei cittadini, cioè la loro partecipazione in modo civico, piuttosto che auto-interessato (Kymlicka & Norman, 1994). Tale approccio, è da rinvenire nel pensiero di Rousseau e di JS Mill, che identificano nella partecipazione politica stessa una valenza educativa, in altri termini, partecipare dovrebbe stimolare nel cittadino il senso di responsabilità e la tolleranza (Oldfield, 1990). Secondo questa prospettiva, la partecipazione politica avrebbe di per sé un valore intrinseco per i partecipanti stessi, “the highest form of human living-

together that most individuals can aspire to” (Oldfield 1990, p. 86).

Ritroviamo qui lo spirito del pensiero di Aristotele secondo il quale

l’uomo è un animale politico, che è capace di andare oltre la sua

condizione strettamente biologica tramite l’attività politica, la sua azione nella pòlis, la sua pratica della praxis e della lexis. La libertà nasce dalla pòlis e si realizza nell’agorà, luogo della libera espressione pubblica dell’opinione (Aristotele, 1986). Secondo questo punto di vista, la vita politica è superiore ai piaceri della vita privata, familiare o professionale, e quindi dovrebbe essere centrale nella vita delle persone (Oldfield, 1990; Pocock, 1992).

103 In riferimento a questo dibattito teorico, e a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, la teoria democratica normativa ha effettuato uno sviluppo particolarmente rilevante (Schiavo, 2009). In particolar modo, un corpo considerevole di ricerche ha esaminato la relazione tra la società civile e la qualità delle democrazie. Questi teorici sottolineano la necessità di incoraggiare lo sviluppo delle civiltà al fine di alimentare un senso forte della democrazia (Glendon, 1991, Kymlicka & Norman, 1994). Secondo questo approccio, la partecipazione politica non è sufficiente per insegnare queste virtù; occorre investire nelle rete associative, nelle organizzazioni di volontariato in quanto gruppi internamente democratici, volontari e funzionali della società civile al fine di stimolare i comportamenti civili dei cittadini (schiavo, 2009; Walzer, 2002). D’altro canto, Carol Pateman ha messo in luce il ruolo della partecipazione nella promozione dello sviluppo umano, nell’accrescimento del sentimento di efficacia politica e di coinvolgimento nei problemi, così come nello sviluppo di individui attivi e ben informati (Pateman, (1988 [1970]).

Dewey nella sua visione “radicale della democrazia” (Bernstein, 2010), considera che al fine di conservare l'integrità e l'utilità dello Stato, i cittadini debbano esercitare costantemente una funzione di controllo e di critica sui pubblici ufficiali (Dewey, 1971 [1927]). Ne consegue che l’attenzione della pedagogia debba concentrarsi sui processi di apprendimento e di educazione all’idea di cittadinanza. Altre prospettive hanno interpretazioni completamente opposte sostenendo che la democrazia partecipativa sia incompatibile con le complesse società industrializzate. Questo punto di vista della democrazia, privilegia il decentramento e l'elezione competitiva delle élite, riducendo al minimo il ruolo della partecipazione dei cittadini al processo politico. Secondo questa ottica, la democrazia partecipativa, è considerata come teoricamente, nonché empiricamente, impraticabile con la crescente complessità della società moderna (Mosca, 1939; Weber, 1987; Schumpeter, 1950;

104 Lipset, 1994).

Gli ultimi mutamenti nelle pratiche di cittadinanza nelle società democratiche europee contraddicono questa tesi. Infatti, si registra uno scarto tra l’attività nella società civile e le forme tradizionali di partecipazione, ovvero, si verifica una certa discontinuità tra partecipazione politica (voto e iscrizione ai partiti) e impegno civico (Schmidt, 2006). Sembrerebbe quindi che la crescente complessità delle società moderne, lungi dall’inibire la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, sta contribuendo all’emergere di nuove forme di partecipazione e di fare politica34. In effetti, si registra in

concomitanza al calo della partecipazione politica un netto incremento nella partecipazione civica (Raniolo, 2007). Si nota, inoltre, una pluralizzazione nelle pratiche di cittadinanza, che prendono la forma di attività associative o di attivismo civico e danno spazio a forme inedite di espressione cittadina che investe la sfera pubblica, con rivendicazioni specifiche e forme di identità e appartenenza innovative. (Bellamy et al., 2004).

Molti sono gli autori che affermano che le sfide della cittadinanza plurale, nel scenario complesso contemporaneo devono essere affrontate tramite l’educazione (Portera et al., 2010; Loiodice, 2009; Fiorucci, 2015).

“Allora: la cittadinanza oggi è “una e trina”, per dire così. Vive in questa dialettica complessa tra gerarchie diverse di spazi e di valori, che essa deve, nel suo ridefinirsi plurale, rendere non-conflittuali anzi integrabili e integrati. Il che è possibile se entra in gioco la formazione: quell’insieme di processi che inculturano e socializzano il soggetto, guardando sempre alla sua costruzione come soggetto- persona, autonomo e responsabile, ma anche capace di stare, dialetticamente e in modo interiorizzato e vissuto, su queste frontiere plurali, culturali e sociali. La democrazia della e per la cittadinanza

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La rinascita di movimenti nazionalisti e il fenomeno dei populismi in Europa, sono esempi delle profonde trasformazioni che agitano le democrazie europee (Campani & Stanghellini, 2014).

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plurale, rimanda direttamente all’opera dell’educazione […]”(Cambi, 2011, p.168)

In questa prospettiva rinnovata, si può delineare un interessante campo investigativo per la ricerca pedagogica, portando uno sguardo attento ai processi formativi che questi nuovi spazi partecipativi mettono in atto nelle società contemporanee.

La cittadinanza e le modalità informali di apprendimento

Secondo Alan Rogers (2015), l’educazione alla cittadinanza è un campo fondamentale dell’apprendimento informale, così come il senso di alienazione è altrettanto interiorizzato e informalmente appreso. Il concetto di “learned helplessness” di fronte alle potenze politico-economiche al potere, e la nozione di “learned deprivation” sono esempi di fenomeni di apprendimento, nei quali l’esclusione può essere anche intesa come la risultante di un processo informale di apprendimento, un concetto inculcato e di seguito trasmesso da una generazione all’altra, mantenendo uno status quo di dominazione. Ma di fronte a dinamiche di oggettivazione e di esclusione si sviluppano pratiche alternative di cittadinanza che scaturiscono da esperienze di vita, e costituiscono atti di cittadinanza (Isin, 2008). Questi saperi e attitudini, frutto di processi informali di apprendimento, sono storicamente e culturalmente situati (Dean, 2004) e danno vita a forme alternative di pratiche partecipative. In questo senso, le forme di lotta ai regimi autoritari e dittatoriali che si sono verificati sulle reti virtuali di Internet sono un esempio di una pratica alternativa della cittadinanza appresa informalmente (Rogers, 2015).

Uscire dall’apatia e accedere a un effettivo esercizio della cittadinanza sarebbe un veicolo per apprendere principi di vita democratica, valori, attitudini e comportamenti democratici (Zoletto & Wildemeersch, 2012; Zoletto, 2010; Schugurensky, 2000). Gli esperimenti di democrazia partecipativa come il bilancio

106 partecipativo di Porto Alegre in Brasile e i consigli di quartiere di Montevideo in Uruguay, che rappresentano modelli alternativi di governo partecipativo, costituiscono anche spazi privilegiati per l'apprendimento civico e per la redistribuzione del capitale politico (Schugurensky, 2000). Sulla base dei dati empirici raccolti presso i partecipanti a questi dispositivi, Schugurensky ha messo in evidenza i contenuti principali trasmessi tramite il processo partecipativo democratico:

- I valori democratici: la solidarietà, la tolleranza, l'apertura, la responsabilità e il rispetto.

- Il capitale politico dei cittadini, ovvero la loro capacità di auto- governo e la loro influenza sulle decisioni politiche.

Secondo l’autore il capitale politico dipende da un insieme di conoscenze sulle leggi, sulle politiche e le procedure istituzionali, ma anche di competenze come il saper parlare in pubblico, argomentare, organizzare processi collettivi. Questi processi cognitivi devono essere supportati da elementi psicologici come la motivazione, la pazienza, e l’auto-stima al fine di rafforzare l’azione dei cittadini e aumentare la loro fiducia nell’impegno civico. Anche se alcune di queste conoscenze e competenze possono essere trasmesse formalmente l’acquisizione è tuttavia essenzialmente il frutto di apprendimenti informali e taciti e perciò tali processi formativi rimangono spesso inesplorati (Schugurensky, 2002).

Prendendo in considerazione questi elementi, ci sembra particolarmente interessante esaminare l’articolazione tra le appartenenze (individuali e collettive) e le pratiche partecipative indagando i luoghi dell’apprendere che si verificano nei contesti transnazionali presi in esame in questo studio.

CAPITOLO TERZO