Visti gli ultimi mutamenti nelle pratiche di cittadinanza nelle società democratiche europee e le nuove dinamiche che si verificano tra le comunità immigrate, sembrerebbe che la crescente complessità delle società moderne sia lontana dall’inibire la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica ma sta contribuendo all’emergere di nuove forme di partecipazione e di fare politica (Schmidt, 2006). In effetti, si registra in concomitanza al calo della partecipazione politica un netto incremento nella partecipazione civica (Raniolo, 2007). Si nota, inoltre, una pluralizzazione nelle pratiche di cittadinanza, che prendono la forma di attività associative o di attivismo civico dando spazio a forme inedite di espressione cittadina che investono la sfera pubblica, con rivendicazioni specifiche e
157 forme di identità e appartenenza innovative (Mantovan, 2007: Schiavo, 2009).
L’esperienza dei tunisini all’estero nella costruzione della cittadinanza transnazionale sembra un prototipo a piccola scala della problematica più generale della questione della cittadinanza nel nostro mondo attuale, globalizzato, plurale e multiculturale. Per essenza, la cittadinanza transnazionale non si confina a uno spazio comune geograficamente, omogeneo nelle sue componenti ma si iscrive chiaramente in uno spazio altro. E’ in questo quadro che il momento storico della transizione democratica tunisina può fungere da prisma attraverso il quale esplorare il processo di costruzione della cittadinanza nella diaspora, oltre l’ancoraggio territoriale dello Stato- nazionale. Ed è proprio tramite la partecipazione civica che si potrebbe immaginare un possible cammino verso la costruzione di un senso comune della cittadinanza. Ricordiamo che Ceri (Ceri, 1996) identificò due processi alla base dell’agire partecipativo: l’aggregazione e l’uguagliamento. Il primo fa riferimento alla riduzione della distanza tra gli individui e tra i gruppi; il secondo alla riduzione del grado di subordinazione tramite la distribuzione del potere (cfr.Introduzione). In questo senso, il prendere parte insieme ad altri a una attività, collocata nello spazio pubblico dell’agire comune, segnerebbe un mutamento sostanziale nel quale si verifica una rinnovata modalità di negozziazione delle appartenenze, delle identità individuali e collettive, nonché del rapporto che gli espatriati istaurano con gli Stati di origine e di accoglienza al fine di integrare pienamente la sfera di una cittadinanza pure de-territorializzata. La società civile è un concetto importante nelle democrazie perché essa contribuisce in vari modi alla qualità della democrazia. Innanzitutto, la società civile ha un ruolo di controllo e di vigilanza per prevenire eventuali abusi di potere da parte dello Stato. In secondo luogo, la società civile ha il ruolo centrale di stimolare la riflessione critica sul bene comune. In terzo luogo, la società civile ripristina la fiducia tra gli individui dal momento in cui favorisce e promuove la
158 cooperazione e il rispetto delle norme democratiche (Hoskins et al., 2012). Infine la società civile è importante non solo perché struttura la partecipazione e l’impegno degli individui, ma anche per il modo in cui i diversi interessi sono articolati e strutturati nel suo ambito. Inoltre, la società civile dei migranti, ha la particolarità di dover affrontare la doppia sfida di superare l’esclusione da parte delle società di accoglienza e delle società di origine per raggiungere un riconoscimento e un’inclusione qui e là.
Analizzando il ruolo dei tunisini all’estero nella fase di transizione, la dimensione partecipativa appare centrale nel rapporto che i cittadini tunisini hanno instaurato col paese di origine. Già nel mese di gennaio 2011, diverse mobilitazioni di sostegno per il sollevamento popolare in atto hanno avuto luogo in Europa, in America del Nord e in America del Sud, nelle piazze adiacenti alle rappresentanze diplomatiche e consolari tunisine. La partecipazione in massa dei tunisini all’estero nei confronti degli affari interni del paese d’origine non si è fermata alla fase iniziale, ma è perdurata nelle mutazioni politiche e sociali che vive la Tunisia dopo gli eventi del Gennaio 2011. In primo luogo, l’appello dei governanti della transizione ai tecnocrati tunisini espatriati e all’élite intellettuale è stato fondamentale nella gestione dei momenti critici del vuoto istituzionale successivo alla dissoluzione del governo Ben Ali. In secondo luogo, il potere monopolizzato dall’antico partito
Rassemblement Constitutionnel Démocratique (RCD) e la repressione
di tutte le forme di opposizione e di qualsiasi movimento politico alternativo avevano spinto all’esilio la quasi totalità dell’attuale classe politica della Tunisia. Il ritorno degli oppositori in Tunisia, essenzialmente da Francia e Inghilterra, e il loro accesso al potere ha proiettato sulla scena politica e sociale un numero cospicuo di ex- immigrati.Inoltre, integrando un sistema di rappresentanza dei tunisini all’estero sin dalle elezioni per l’Assemblea Costituente del 23 ottobre 2011, l’Alta Istanza per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione ha definitivamente istituzionalizzato il coinvolgimento dei suoi espatriati nel processo di democratizzazione. Infatti, la Tunisia figura
159 tra i rari paesi che integrano nelle istanze rappresentative (Assemblea costituente, Parlamento) dei deputati rappresentanti dei cittadini espatriati; il numero di questi deputati garantisce un livello di rappresentanza uguale in Tunisia e all’estero (1 seggio per 40000 elettori). Un terzo spazio, quello dei diritti, come definito da Balibar (2010), potrebbe essere identificato nella attuale fase di “costituzionalizzazione” dell’essere tunisino all’estero attraverso la creazione dell’Alto Consiglio dei Tunisini all’Estero (HTCE).
Questo progetto nato qualche decennio prima ma mai portato a termine dalle amministrazioni tunisine, è stato riproposto nell’ambito delle discussioni, incontri e scontri che la società civile tunisina all’estero ha avuto con i rappresentanti dei vari governi del dopo 14 gennaio 2011. L’esigenza di formalizzare un ente rappresentativo della società civile tunisina all’estero, in tutta la sua eterogeneità, espressa sia da esponenti delle associazioni sia da responsabili politici del primo governo nominato dall’ANC, ha portato alla messa in campo di un processo di consultazione tra i diversi attori interessati. Questo processo alquanto travagliato è iniziato ufficialmente nella primavera del 2013 ed è tuttora in atto.
In seguito alla rivolta popolare in Tunisia nel 2011 e la liberazione della società civile dal controllo delle autorità dittatoriali, si è verificata una vera trasformazione nel tessuto associativo, sia in Tunisia sia in relazione con le variegate realtà della cosiddetta diaspora tunisina attorno a un ideale comune : percorrere la strada della democratizzazione della Tunisia.
Nel caso specifico dell’Italia, diverse azioni di protesta sono state intraprese dai cittadini tunisini in sostegno agli eventi verificatasi in Tunisia nei giorni e nelle settimane successive al 14 gennaio 2011 giorno della caduta di Ben Ali. Ne è risultato un cambio sistematico di tutti i consoli e ambasciatori nelle settimane successive alla caduta del regime. Una nuova società civile tunisina si sviluppa quindi in Italia uscendo dall’anonimato e segnando la sua presenza nei mass media italiani per discutere di temi quali la dittatura e la rivolta
160 tunisina, ma anche delle onde migratorie che hanno coinvolto l’Italia nei mesi successivi. D’altronde nuove forme di collaborazione e di azioni coinvolgono individualità, associazioni tunisine e associazioni italiane per affrontare tematiche di interesse comune nell’area mediterranea. Un insieme di azioni cittadine dirette verso le autorità tunisine e italiane (ambasciata, consolati, ministeri, parlamento, assemblea nazionale costituente tunisina, ecc.), il tessuto sociale in tutte le sue componenti associative e cittadine, nonché i media tradizionali e i nuovi media.
Per le diaspore, uno dei momenti chiave della loro vita politica rimane senz’altro il momento del voto. Disciplinando il voto all’estero dei propri cittadini espatriati, alcuni Stati hanno avuto un’occasione per ridefinirsi nel contesto globale, ma lo hanno fatto rispondendo a ragioni ideali e a interessi nazionali anche differenti fra loro. Nazioni europee diasporiche come l’Italia l’hanno fatto operando nel contesto della Unione Europea, e procurando così un accesso alla vita politica europea anche alle loro diaspore sparse nel pianeta; altri paesi diasporici, come la Tunisia, potevano puntare ad ottenere da questo passo un incremento dell’accesso ai diritti di cittadinanza e, anche, il virtuale potenziamento sia di una rete di investimenti verso la madrepatria sia anche di benefici a lungo termine provenienti dalle rimesse delle diaspore (Medici, 2015).