Il pensiero della « Città » come spazio pubblico si è costruito nella storia attorno a tre necessità : un sufficiente legame di prossimità, un quadro adattato all’azione politica in relazione allo spazio economico e infine il riferimento a una identità comune, al bisogno, consolidata in opposizione ad altre identità rivali (Chemillier- Gendreau, 2005). A priori nessuno di questi elementi permetterebbe un’estensione universale di questo concetto. Eppure, l’umanità tramite varie lotte e lungo un cammino teorico e filosofico ha compiuto la costruzione politica della cittadinanza come istituzione, permettendo l’accesso alla libertà a partire di una messa in atto del principio egualitario (Rancière, 1998). La cittadinanza democratica nella sua accettazione moderna non può essere distinta dalla dimensione universale a meno di perdere la sua essenza. Portatrice di una carica illimitata di libertà e di uguaglianza, essa non può essere rinchiusa in un gruppo distinto. Incompleta nell’antichità greca, ignorata nel vecchio regime, essa rimane comunque ambigua per i redattori della “Dichiarazione dei diritto dell’uomo e del cittadino” del 1789 (Chemillier-Gendreau, 2005). Come lo ricorda Monique Chemillier-Gendreau, il concetto di cittadinanza come espressione universale di libertà e di uguale diritto per tutti di entrare nell’agire comune, raggiunge una certa realtà soltanto nella terza costituzione della rivoluzione francese 179310 ma rimane comunque virtuale
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Costituzione dell'anno I, promulgata il 24 giugno1793. Art. 4 – Ogni uomo nato e domiciliato in Francia, in età di ventun anni compiuti, che, domiciliato in Francia da un anno, – vi vive del suo lavoro; – o acquista una proprietà; – o sposa una francese; – o adotta un fanciullo; – o mantiene un vecchio; – ogni straniero infine, che
51 perché questa costituzione non è mai stata applicata. In particolar modo, l’articolo 4 di questo testo rappresenta la dichiarazione, più di qualsiasi altra nella storia delle democrazie, si è avvicinata all’essenza dell’essere cittadino, in completa indipendenza della nazionalità. Eliminando ogni riferimento alla filiazione, sono cittadini francesi tutti coloro chi sono domiciliati in Francia da un anno, che ci vivono e ci lavorano, che hanno acquisito una proprietà o contratto matrimonio con un cittadino francese, che hanno adottato un bambino o nutrito un anziano o che sono stati giudicati meritevoli di umanità.
Delimitare chi ha diritto alla cittadinanza è una problematica che ha accompagnato le società occidentali già nelle città greche, passando da quelle romane e anima ancora le controversie negli Stati moderni. Ogni società ha dovuto fare i conti con l’interrogativo circa la definizione del contenuto della cittadinanza e dei suoi membri. L’inquadramento istituzionale della questione, doveva per principio regolare e garantire l’uguaglianza, ma questo processo finisce con essere pervertito dalle modalità stesse del suo raggiungimento, vale a dire del rapporto di potere che determina le modalità di applicazione della cittadinanza (Chemillier-Gendreau, 2005).
A partire dalla fine del settecento, la tendenza universalizzante si è espansa per culminare nel XX° secolo inglobando i diritti umani inalienabili. Questo movimento è andato di pari passo con lo sviluppo di un altro concetto altrettanto centrale: Lo Stato-nazione. Arendt, affermava che solo lo Stato - che dispone del potere e delle istituzioni- potrebbe garantire il diritto di avere diritti (Arendt, 1996 [1979]). Infatti, la cittadinanza democratica che dovrebbe aprire a diritti universali, rimane concretamente molto legata a uno Stato che concede, garantisce e tutela tali diritti. Lo “Stato” si collega nella terminologia politica all’idea di nazione, e garantisce il principio di
il Corpo legislativo giudicherà di aver ben meritato dell’umanità; è ammesso all’esercizio dei diritti di cittadino francese.
52 uguaglianza tra i membri appartenente alla medesima nazione. La nazione invece corrisponde all’entità geografica, culturale, politica e sociale di appartenenza. Attualmente, l’esempio della “cittadinanza” dei rifugiati e richiedenti asilo non tutelati da uno Stato di appartenenza, dimostra quanto questa considerazione sia pertinente (Somers, 2006). Infatti possiamo considerare che la Rivoluzione francese, oltre a segnare un traguardo fondamentale nella storia della cittadinanza, gettò le basi dell’idea di nazione a cui, da allora, è sempre stato associato anche il concetto moderno di cittadinanza.
La cittadinanza stipola una separazione tra l’appartenenza cittadina e l’appartenenza a gruppi sociali – più naturali- per i quali l’adesione appare più immediata (Leca, 1991). Nella sua concezione moderna la cittadinanza quindi richiede il superamento dei legami comunitari che erano prima prevalenti. Il legame cittadino soppianta e sostituisce quindi i gruppi comunitari tradizionali e instaura nuovi rapporti di lealtà (Badie, 1986).
La tensione principale in questo contesto si articola tra l’astrazione dell’universalità dei diritti dell’Uomo e del cittadino e l’ancoragio territoriale ed etnico-culturale della struttura politico-giuridica che ne legittima il conseguimento, vale a dire, lo stato-nazione moderno. Storicamente la democrazia si è sviluppata appoggiandosi sull’idea di identità territoriale. Si può facilmente rinvenire nella rivoluzione clisteniana il fondamento stesso del principio di legittimazione territoriale, secondo il quale l’interesse territoriale prevale sugli interessi individuali. La modalità di voto maggioritario permette di assicurare il rispetto della legittimità e l’eletto non è soltanto il rappresentante dei suoi partigiani ma dell’insieme del gruppo, quindi anche di coloro che non lo hanno votato. Tale contratto territoriale pressupone il riconoscersi in una identità territoriale.
Tornando all’era romana e considerando l’importante estensione territoriale dell’Impero romano, la cittadinanza incarnò i confini politici, legali e morali entro cui una pratica politica era possibile, definendo i confini territoriali entro i quali fu possibile esercitare i diritti
53 di cittadinanza (Isin, 1997). La cittadinanza estesa a tutti gli abitanti liberi dell’Impero permise la diffusione territoriale della cittadinanza oltre i confini della città di Roma, rispondendo al bisogno di riunire individui dispersi su un impero, portò a una ri‐modellazione del concetto di cittadinanza. Nacque quindi il concetto giuridico della cittadinanza in quanto status legale che pone il cittadino come soggetto di un’autorità governante (Dynneson, 2001) e la cittadinanza divenne una “Istituzione territoriale” nel senso Bourdieusiano (Bourdieu, 1984). Questa trasformazione ha dato luogo a un nuovo equilibrio tra inclusione e esclusione. Andando oltre i limiti territoriali della concezione greca della cittadinanza, i Romani furono in grado di mantenere una regola territoriale più ampia, mentre le città dell’impero hanno mantenuto le loro differenze e distinzioni, e quindi autonomia.