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La crisi energetica tra Russia e le Ex Repubbliche Sovietiche

Per comprendere l’intreccio tra lo sfruttamento del gas naturale e le dinamiche politiche che hanno portato alle crisi energetiche tra la Federazione Russa e le Ex Repubbliche sovietiche, è necessario considerare le dinamiche politiche e il ruolo giocato da Gazprom. Ad oggi, l’azienda russa fornisce circa un quinto delle entrate fiscali di Mosca156. Tale dato mette in luce la valenza politica ed economica delle attività svolte da Gazprom. Il controllo dell’azienda da parte del Cremlino, significa, in primo luogo, impedire che attori privati possano usarla per influenzare i decisori politici, come avveniva durante gli anni Novanta al tempo degli oligarchi, in secondo luogo, avere la capacità di influenzare le decisioni interne di Gazprom e l’appoggio delle sue strutture di vertice rappresentano un elemento centrale della lotta per il potere all’interno del sistema politico russo. Il rapporto stretto, che lega Gazprom alle scelte dell’élite politica russa, appare evidente infatti analizzando le diverse fasi della politica russa durante il governo Eltsin157.

Le intenzioni di Putin furono fin da subito chiare158: Gazprom doveva essere utilizzata per riportare la Russia tra le maggiori potenze del mondo. Energia e politica estera in Russia si intrecciano quasi sempre, ed è infatti difficile capire se sia la diplomazia del Cremlino a sfruttare la capacità energetica come strumento di politica estera o se, viceversa, i rapporti con i paesi che compongono l’estero vicino e quelli europei non siano il risultato delle politiche energetiche perseguite dal Cremlino.

Al fine di rendere affidabili i flussi di gas verso i partner europei, Gazprom adottò una strategia basata come sappiamo su due obbiettivi: potenziare e diversificare per consolidare il controllo delle infrastrutture e annullare gli effetti del frazionamento avvenuto sulle infrastrutture di trasporto dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Gli sforzi in tal senso avvennero sin da subito, cercando di ottenere su base commerciale quote significative di Beltransgaz159 e Ukrgazprom160 in cambio del mantenimento di forniture a tariffe inferiori rispetto a quelle pagate dai Paesi europei. Tuttavia i governi di Bielorussia ed Ucraina, che controllavano i monopolisti nazionali, rifiutarono

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M. Verda, Politica estera e sicurezza energetica. L'esperienza europea, il gas naturale e il ruolo della Russia, op. cit., Kindle Locations 1448-1456.

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Ibidem. 158

Ibidem. 159

“Beltransgaz”, creata nel 1960, è l`azienda responsabile per il trasporto e la distribuzione di gas in Bielorussia (creazione nel 1960). Il 18 maggio 2007 Gazprom ha acquistato il 50% di Beltransgaz, diventandone di fatto l'unico proprietario.

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“Ukrgasprom” è la società ucraina che è specializzata nella progettazione, costruzione e gestione di gasdotti, trasmissione e distribuzione, fornitura e trasporto di gas naturale.

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l’accordo, per paura che aumentasse l’ingerenza russa all’interno dei propri governi ancora non del tutto consolidati.

Ben presto però il progressivo indebitamento dei due monopolisti, dovuto anche alla perdurante stagnazione delle rispettive economie, indebolì le posizioni di Minsk e Kiev nei confronti di Mosca. Il peggioramento del quadro economico e l’accentuarsi dell’isolamento internazionale spinse Minsk ad accettare nel corso degli anni duemila il passaggio di Beltransgaz sotto il controllo di Gazprom. Il passaggio fu facilitato anche dal progressivo riavvicinamento politico di Russia e Bielorussia, non solo su base multilaterale (La Comunità degli Stati Indipendenti), ma anche su base bilaterale con l’Unione russo-bielorussa.

Nel Caso dell’Ucraina invece i tentativi russi di ottenere il controllo del monopolista pubblico Neftogaz non sono ancora stati completati con successo. Nella prospettiva di consolidamento perseguita da Gazprom è possibile anche inserire il potenziamento delle infrastrutture esistenti, volto a incrementare le quantità esportate di gas e quindi a rafforzare il legame con gli Stati importatori. In tal senso, il caso più importante è quello dell’aumento di capacità del tratto di gasdotto diretto in Italia, portata da 31 a 37 Gmc con un intervento conclusosi nel 2009 e che ha interessato diversi punti del gasdotto e in particolare alcune stazioni di compressione161.

Alla base del secondo obbiettivo della strategia di Gazprom, la diversificazione delle rotte di esportazioni, vi erano importanti questioni economiche e tecniche. Innanzitutto, avere linee di esportazione separate equivale ad avere una riduzione delle conseguenze di un eventuale incidente o attentato, ipotesi non trascurabile, se si considera l’attivismo ceceno. Inoltre, tracciati diversi consentono di aumentare il numero di clienti serviti, riducendo anche i rischi di una riduzione della domanda in un singolo mercato e, più in generale, il potere di mercato di ciascun imperatore. Infine, adottare la diversificazione permette di ridurre gli oneri di passaggio pagati agli Stati di transito, di deviare i flussi sulla base della convenienza economica, o quantomeno di utilizzare la convenienza in sede negoziale.

Attraverso la fornitura di materie prime e il controllo delle condutture, il Cremlino gioca la sua partita nello scacchiere internazionale, gestendo i rapporti con l’Europa ed i paesi dell’ex blocco sovietico: l’ambizioso obiettivo di fondo è rafforzare il suo peso geopolitico e riconquistare il ruolo di potenza mondiale perso con la dissoluzione dell’URSS.

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S. Nella, A.Picasso, Bielorussia - Sviluppi, Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.), Contributi di Istituti di ricerca specializzati, n. 68, Roma, aprile 2007, p. 19.

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Gli stati ex-sovietici che compongono l’estero vicino, come nel caso dell’Ucraina e della Bielorussia sono importanti per Mosca per varie ragioni in aggiunta alla posizione geografica legata al transito dei gasdotti e alle relazioni economiche. Questi paesi cooperano con Mosca, ma i gradi di tale cooperazione variano a seconda degli interessi delle parti. L’Ucraina, ad esempio, comprese fin da subito la necessità di instaurare forti legami con la Russia, ma anche quello di porsi come mediatore tra Mosca e l’Occidente in modo da ottenere più concessioni possibili. Discorso diverso invece va fatto per la Bielorussia che a causa dell’isolamento politico adottato nei propri confronti dall’Occidente e della forte dipendenza da Mosca, oltre ad essere assieme al Kazakistan membro dell’Unione doganale, decise di instaurare forti legami con la Federazione Russa. Tale posizione fu fondamentale per Mosca, soprattutto alla luce dell’integrazione nell’Unione euroasiatica162

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La Comunità economica eurasiatica rappresentò per il Cremlino la direzione principale per rafforzare il ruolo del Paese sul piano energetico internazionale, un modello sulla scia dell’Unione Europea163. Essa rappresenta infatti uno spazio economico comune costruito sui principi del libero scambio di merci, servizi e capitali, aperto agli ex stati dell’Unione Sovietica164. In questo scenario il prezzo delle forniture di gas e di altre materie prime si rivela uno strumento molto efficace nelle mani del Cremlino per ingerire nelle scelte politiche dei propri vicini.

Il 23 febbraio del 2003 i presidenti di Bielorussia, Russia, Kazakistan ed Ucraina espressero la propria volontà di creare uno Spazio Economico Comune. L’anno successivo al vertice di Astana i quattro paesi concordarono un’azione comune. Nonostante le buone intenzioni scaturite dal vertice di Astana, Kiev prese una posizione particolare, ostacolando in diversi modi il processo. La situazione si complicò ulteriormente con l’arrivo al potere in Ucraina di Viktor Juščenko, presidente ucraino dal 2005 al 2010, il quale non riconobbe gli accordi stipulati dal suo predecessore e annunciò che l’unico scopo strategico di Kiev era quello dell’integrazione europea.

Mosca assistette in questo periodo non solo al deteriorasi dei rapporti con l’Ucraina ma anche con la Bielorussia. È infatti in questo periodo che si configurano quelle che saranno rinominate le “guerre del gas”.

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L'Unione eurasiatica è un'ipotetica unione politica ed economica tra Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan.

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La Comunità economica eurasiatica (Eurasian Economic Community) è un‟organizzazione internazionale regionale che riunisce alcuni stati post-sovietici, oggi appartenenti alla Comunità degli Stati indipendenti, che si trovano nel continente eurasiatico. L‟EAEC fu creata il 10 ottobre 2000 quando Bielorussia, Kazakistan, Kirgizistan, Russia, e Tagikistan firmarono il trattato di istituzione, ma fu realizzata solo quando questo fu finalmente ratificato da tutti e cinque gli stati membri il 31 maggio 2001.

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L. Raso, Old Continent, Russia. La diplomazia del gas, 19 ottobre 2012, l`articolo è disponibile sul https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/it/article/russia-la-diplomaziadel-gas. consultato il 26/09/2018

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La prima “guerra del gas” cominciò nel 2004, quando Gazprom per sei mesi si rifiutò di firmare il contratto annuale di fornitura con il governo bielorusso. Il monopolista russo fece pressioni su Minsk affinché accettasse tariffe maggiori e vendesse quote di Beltransgaz, l’operatore bielorusso dei gasdotti a condizioni favorevoli. Bisogna infatti ricordare che il consorzio russo possedeva già il gasdotto Yamal_Europe, gasdotto di transito, costruito negli anni Novanta, che trasporta il 10% delle esportazioni russe destinate in Germani, Polonia e Paesi Baltici. Già allora Gazprom aspirava al controllo di un altro gasdotto che, trasportando il 20% delle esportazioni, passava all’interno del territorio bielorusso prima di collegarsi alla rete di gasdotti ucraini. Le aspirazioni di Gazprom scatenarono una vera e propria guerra mediatica tra Aleksandr Lukašenko165

e Vladimir Putin. Lukašenko accusò infatti Putin di praticare “terrorismo economico” nei confronti della Bielorussia166.

Nel febbraio del 2004 la società Gazprom decise di procedere alla sospensione completa delle forniture di gas alla Bielorussia. La decisione fu presa per ragioni contrattuali e soprattutto perché Minsk avrebbe sottratto gas di transito destinato all’Europa. Il governo bielorusso decise di richiamare per consultazioni l’ambasciatore a Mosca che, a chiare lettere, definì la decisione di Gazprom come una minaccia. In ogni modo la Germania e la Polonia ricevettero il gas attraverso l’Ucraina evitando così di rimanere al freddo. Alla fine del 2004 la Bielorussia accettò, da un lato, il progressivo aumento delle tariffe dal gas, evitando il prolungarsi della crisi, dall’altro, si rifiutò di vendere Beltransgaz a Gazprom.

Il 31 dicembre 2006, Mosca e Minsk raggiunsero una nuova intesa sul prezzo del gas fornito dalla società Gazprom alla Bielorussia. Essa prevedeva il raddoppio del prezzo del gas (da 46,7 a 100 dollari ogni mille metri di cubi di gas) e la concessione da parte bielorussa del 50% della società che gestisce i gasdotti, la Beltransgaz, per 2,5 miliardi di dollari, che Gazprom avrebbe dovuto pagare entro il 2011. Per spingere Minsk alla firma dell’accordo Mosca adottò una serie di pressioni, che non erano distanti da un ricatto vero e proprio. In un primo momento minacciò di sospendere le forniture di gas, e in seguito bloccò le importazioni di zucchero e aumentò i dazi sulle importazioni di petrolio da parte della Bielorussia.

Di fronte alle mosse di Mosca, il presidente Aleksandr Lukashenko fu costretto a firmare l’accordo, anche nella speranza che il Cremlino annullasse i dazi sul petrolio. In realtà dalla Russia non arrivò nessun segnale positivo e i dazi continuarono ad essere applicati. La risposta di Minsk

165 Aleksandr Lukašenko è dal 1994 il presidente della repubblica di Belorussia. 166

V. Avioutskii, Gazprom contro il resto del mondo, Il clima dell’energia, l`articolo è disponibile sul sito http://limes.espresso.repubblica.it/wp-content/uploads/2007/11/000-000_lim_6-07_avioutskii.pdf. consultato il 26/09/2018

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non si fece attendere e arrivò attraverso l’applicazione di dazi sul petrolio che attraverso l’oleodotto Druzhba rifornisce Germania, Polonia ed Ungheria.

L’8 gennaio 2007, infatti, il governo bielorusso iniziò a prelevare quelle che a loro avviso erano le somme dovute dalla società russa per i gasdotti Transneft. I russi per evitare di perdere una somma ingente di denaro, ridussero della stessa misura l’immissione di greggio, arrivando al blocco totale delle linee d’esortazione. In un primo momento però gli effetti si avvertirono solo verso il nord Europa, in particolare da Germania e Polonia. Successivamente con il passare dei giorni gli effetti si recepirono anche in Ungheria.

L’11 gennaio, il giorno seguente la firma dell’accordo con Minsk che pose fine alla diatriba tra i due paesi, il Ministro del Commercio russo, German Gref, affermò che se la crisi petrolifera con la Bielorussia e la conseguente interruzione delle forniture all’Unione Europea si fosse prolungata a lungo la reputazione di Mosca come Paese fornitore fidato sarebbe stata sicuramente messa a rischio167.

I timori del Ministro del Commercio erano infatti fondati. La crisi tra Bielorussia e Russia, fu accolta con irritazione da Bruxelles, poiché non fu consultata da Mosca in merito all’interruzione delle forniture. L’Unione Europea si mostrò sfiduciata dal comportamento di Mosca e accusò la Russia di essere inaffidabile come partner nella distribuzione di materie prime, gas compreso. Il blocco delle materie prime spinse i leader europei a diversificare i loro fornitori, presentando proposte per la costruzione di gasdotti verso riserve non russe. Mosca, per tutta risposta, cercò di estromettere Bielorussia ed Ucraina dall’equazione energetica con la costruzione di nuove condotte: North Stream che attraverso il Mar Baltico collega direttamente Russia e Germania; ed South Stream, che dal sud ovest russo, raggiunge la Bulgaria e da qui attraverso il Mar Nero si dirige verso Austria, Italia, Grecia, Ungheria e Serbia168.

Nel 2010, quando le trattative per l’Unione Doganale tra Mosca e Astana erano in bilico, Gazprom che gestisce sia i giacimenti di materie prime destinate alla produzione sia le reti di distribuzione, decise di mettere pressione al governo bielorusso chiedendo il saldo immediato degli arretrati per la fornitura dei 17 miliardi di metri cubi di gas che la Bielorussia ha ottenuto ad un prezzo di favore. Per tutta risposta, Minsk chiese il pagamento dei diritti di transito sul gas diretto in Europa, minacciando di chiudere gli oleodotti e i gasdotti di transito sul proprio territorio. Gazprom,

167 Per un maggior approfondimento sulle dichiarazioni del Ministro russo German Gref si rimanda al documento di S. Nella, A.Picasso, Bielorussia - Sviluppi, Centro Studi Internazionali doc. cit., p.19.

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a quel punto, tagliò senza indugio le forniture bielorusse dell’85%, quando si era ormai all'inizio dell'inverno. La disputa si risolse in pochi giorni con il pagamento dei diritti di transito, in cambio però del totale controllo della rete di distribuzione bielorussa da parte di Gazprom, attraverso l’acquisizione della compagnia Beltransgaz. Minsk non era dunque più in grado di far sentire la sua voce a Mosca, attraverso una gestione autonoma dei flussi energetici. L'apertura del gasdotto North Stream che, attraverso il Baltico permette alla Russia di raggiungere direttamente i mercati del Nord Europa, completò il quadro: Mosca aveva dunque la possibilità isolare Minsk senza interrompere le cruciali forniture alla Germania169.

La situazione si modificò però sul finire del 2010 quando il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko, dopo il mancato riconoscimento europeo e statunitense della sua vittoria alle elezioni presidenziali del 19 dicembre 2010, decise di fare una scelta forzata in favore della Russia. Esattamente dieci giorni prima delle elezioni presidenziali in Bielorussia, la Russia, il Kazakistan e la Bielorussia avevano firmato tutti i diciassette documenti più importanti che istituivano lo Spazio Economico Comune (SEC). Per Lukašenko questa svolta fu fondamentale dato che sino a quel momento egli aveva seguito una politica “multi-vettoriale” contestata dal popolo bielorusso, favorevole ad un integrazione con la Russia. Essendo infatti consapevole del ruolo della Bielorussia come snodo energetico principale tra Est e Ovest, essendo questa parte integrante sia dello spazio Europeo che di quello post-sovietico, Lukašenko aveva cercato fino a quel momento di perseguire una politica estera volta ad ottenere il massimo dei risultati dalla operazione tra Russia, Bielorussia, Ucraina, Unione Europea e Stati Uniti, senza però ottenerli.

Le dispute tra la Russia e la Bielorussia dimostrano chiaramente che ogni qual volta è in corso una tensione riguardante il settore dell' energia e del gas, la Russia è capace di ricorrere a tutti gli strumenti di pressione di cui dispone, soprattutto economici e politici, arrivando anche ad utilizzare il ricatto e la minaccia di “chiudere i rubinetti”. Il presidente della Bielorussia nel gennaio 2006 accusò la Russia di esercitare forti pressioni su Minsk affinché essa rinunciasse alla sua indipendenza, replicando con toni decisi che mai la sovranità del proprio Paese sarebbe stata compromessa. Ma purtroppo, quando si tratta di dipendenza energetica, si è costretti a fare concessioni e a prendere decisioni che non sempre sono a proprio favore. Secondo gli osservatori dalla vicenda russo-bielorussa del 2004-2010 Mosca ha imparato in primo luogo che la Bielorussia non è un alleato-amico: ha interessi nazionali e sul fronte delle forniture servono canali diretti tra Russia ed Europa, senza attraversare i territori di passaggio che come abbiamo più volte detto, non

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L. Raso, Old Continent, Russia. La diplomazia del gas, 19 ottobre 2012, l`articolo è disponibile sul sito internet https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/it/article/russia-ladiplomazia-del-gas consultato il 26/09/2018.

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fanno altro che causare problemi alla sicurezza energetica dei Paesi importatori oltre e all’affidabilità dei Paesi esportatori.

Dinamiche simili a quelle osservate tra Bielorussia e Russia caratterizzano le relazioni con l’Ucraina. In questo caso però i risvolti sono ancora più marcati data l’importanza strategica ricoperta da Kiev. L’Ucraina consuma infatti ogni anno circa 38 miliardi di metri cubi di gas russo ed è il maggiore cliente di Gazprom.

Allo stesso tempo, sul proprio territorio transita, mediante le condutture gestite dalla compagnia nazionale Naftogaz, la maggior parte del gas russo destinato ai mercati europei170. La rete di gasdotti ucraini (Figura 4.1) è lunga 22.000 km e ha una capacità di 140 miliardi di metri cubi (bmc) all’anno. Ogni giorno trasporta circa 120 miliardi di metri cubi, ovvero il 75% delle esportazioni del gas russo. A questi dati va aggiunta la capacità di stoccaggio del gas che si aggira sui 31 miliardi di bmc171.

Fonte: National Gas Union of Ukraine172

Russia ed Ucraina hanno affrontato importanti crisi energetiche, già a partire dal 1993 anno in cui Kiev decise di non pagare le forniture di gas. Già nel 1993 l’allora presidente del consiglio di Gazprom minacciò di bloccare le forniture di gas dirette verso l’Ucraina a causa degli ingenti

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S. Nella, A. Picasso, Bielorussia - Sviluppi, doc. cit. p. 21 171

L. Raso, Old Continent, Russia. La diplomazia del gas, 19 ottobre 2012, l`articolo è disponibile sul sito https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/it/article/russia-ladiplomazia-del-gas consultato il 27/09/2018. 172

J. Davis, Ukrainian Government proposes Lifting Ban on Privatization of Pipelines, 28 aprile 2013, l`articolo è disponibile sul sito internet http://www.ukrainebusiness.com.ua/news/9533.html consultato il 27/09/2018

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arretrati che Kiev doveva pagare. Le autorità ucraine, ovviamente, risposero che il blocco del gas avrebbe portato ad un blocco dei gasdotti di transito verso l’Europa occidentale. Il “conflitto” come molti altri degli anni Novanta si risolse in pochi giorni.

Negli anni successivi la questione del gas fu sempre risolta a favore della Russia, la quale ottenne sempre il pagamento degli arretrati. Tale situazione fu favorita anche dal governo ucraino in carica, dichiaratosi sempre vicino a Mosca.

Le cose cambiarono con la vittoria di Viktor Juščenko, personaggio inviso al Cremlino durante le elezioni presidenziali del 26 dicembre 2004. Dopo la “rivoluzione arancione”173

, il baricentro politico dell’Ucraina si spostò più verso l’Unione Europea, sottraendosi così all’influenza di Mosca. L’Ucraina però, era ormai entrata da decenni nell’Orbita di Mosca e dipendeva dalla Russia per quanto riguarda l’energia. La maggior parte del gas ucraino, infatti, proveniva dalla Gazprom russa, che vendeva il gas agli ucraini ad un prezzo di favore (50 dollari ogni mille metri cubi). Pertanto, la Gazprom iniziò a tariffare il gas a prezzi di mercato, dapprima a 160 dollari, poi, dopo il rifiuto ucraino, a 220 dollari ogni mille metri cubi di gas174. Questo aumento fu da molti osservatori giudicato più politico che economico175.

Nel gennaio del 2006, Vladimir Putin non esitò, nonostante l’inverno fosse molto rigido, a interrompere le forniture di metano a Kiev e di conseguenza a tutti quei Paesi europei che da quelle forniture dipendevano per un terzo dei loro consumi. La scelta di Mosca costrinse l’Ucraina ad accettare l’aumento dei “prezzi politici”, applicati già ai tempi dell’ex Unione Sovietica. Il gesto fu dovuto anche a due ragioni di natura strettamente politica. In primo luogo, per riportare il governo