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Le politiche europee d’integrazione energetica

1 Geopolitica ed energia

2.1 Le politiche europee d’integrazione energetica

L’energia è un tema sempre presente nelle relazioni interne all’Unione e tra questa e i Paesi vicini. Dalla fine del secondo conflitto mondiale, i leader europei hanno coordinato le proprie politiche in modo sempre più stretto, sebbene talvolta con obbiettivi diversi e alternando periodi di accelerazione e di sostanziale rallentamento.

Come è stato osservato, l’energia ha giocato un ruolo centrale nelle politiche europei dagli anni Cinquanta a oggi. Il controllo dei giacimenti di carbone e l’accesso alle rotte internazionali di petrolio hanno permesso al continente di svilupparsi economicamente e militarmente. Dopo il 1945 per le esigenze della ricostruzione si registrò un grande afflusso di energia, ma allo stesso tempo ciò presentava il rischio di un possibile conflitto per il controllo delle rotte di approvvigionamento. Fu proprio per ridurre tale rischio che fu avviato il processo di integrazione, un esperimento politico finalizzato atto in primo luogo a realizzare un coordinamento pacifico delle necessità energetiche47. Va detto che le capacità militari dei Paesi europei, a cominciare dalla Germania, e la loro industria pesante aveva bisogno di un enorme quantitativo di carbone. Fu allora deciso di sottrarre ai singoli governi il controllo della produzione carbonifera, mettendola in comune, permettendo a Bonn di partecipare al processo di ricostruzione e riducendo il rischio di un revanscismo tedesco. Tali

46 Il dato fa riferimento all’insieme dei Paesi parte dell’Unione Europea. Per un approfondimento sui consumi europei si veda Eurostat, 2011, Banca dati del sito http://ec.europa.eu/Eurostat, consultato il 2/07/2018. 47 I decisori politici compresero che l’approvvigionamento energetico era alla base del processo di ricostruzione. Per tale motivo decisero di trasformare l’energia da fattore di competizione a campo di cooperazione. In questo modo si poteva collegare in modo pacifico la sicurezza energetica e la stabilità delle relazioni internazionali. Si veda M. Verda, Una politica a tutto gas, Sicurezza energetica europea e relazioni internazionali, Milano, Università Bocconi, 2011.

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premesse si concretizzarono il 18 aprile 1951, quando i governi di Francia, Italia, Germania Occidentale e Benelux siglarono il Trattato di Parigi, con il quale si istituiva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio48

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Il ruolo del carbone nella ricostruzione europea, esso era però prossimo a declinare, soppiantato dal nuovo ritrovato del progresso scientifico: l’energia nucleare, il cui sviluppo era stato orientato primariamente a finalità belliche, ma che sarebbe divenuta un’importantissima fonte di elettricità. Considerata la minaccia militare collegata alle ricerche atomiche i governi europei decisero di prevedere al riguardo un meccanismo di cooperazione analogo a quello creato per il carbone nel 1951. Tale meccanismo prevedeva la nascita di un’agenzia che mettesse in comune l’approvvigionamento dei materiali fissili, in modo da controllare lo sviluppo dell’energia atomica49. Si arrivò così all’istituzione, con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957, della Comunità europea dell’energia atomica, conosciuta anche come Euratom.

Non tutti i settori però furono interessati e se il coordinamento venne avviato per il carbone e il nucleare, il settore del gas e quello elettrico rimasero di competenza nazionale. Il settore del gas era infatti ancora marginale nell’Europa occidentale, mentre quello elettrico era differenziato ad un Paese all’altro e collegato o a impianti idroelettrici o al carbone.

Negli anni Sessanta e Settanta lo slancio iniziale del processo di integrazione rallentò anche in campo energetico. Vi furono una pluralità di ragioni. Innanzitutto, il ruolo crescente del petrolio nel paniere energetico europeo: esso, a differenza del carbone, era ed è trattato a livello globale da grandi multinazionale escludendo così le condizioni per un’efficace regolamentazione a livello

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La proposta della sua creazione, annunciata da Schuman, allora Ministro degli Esteri francese, fu rapidamente accettata da tutti i paesi che ratificarono il trattato in meno di un anno. Entrò in vigore il 23 luglio 1952. La scelta del settore carbo-siderurgico era giustificata da molti fattori: innanzitutto la posizione dei principali giacimenti delle risorse, situati in una zona di confine piuttosto ampia tra Francia e Germania, (bacino della Ruhr, Alsazia e Lorena) zona tra l'altro oggetto di numerosi e sanguinosi conflitti in passato e di lunga contesa. Inoltre l'oggetto dell'accordo era una risorsa fondamentale per la produzione di armamenti e materiale bellico, che impediva un riarmo segreto quindi a entrambe le nazioni coinvolte. Oltre a Francia e Germania, erano interessati pure gli Stati del Benelux, anch'essi produttori di carbone ed acciaio, oltre che stati confinanti delle due nazioni principali e ovviamente interessati dalla risoluzione di conflitti franco- tedeschi. Il trattato instaurò un mercato comune del carbone e dell'acciaio, abolendo le barriere doganali e le restrizioni quantitative che frenavano la libera circolazione di queste merci; soppresse nello stesso modo furono tutte le misure discriminatorie, aiuti o sovvenzioni che erano accordati dai vari stati alla propria produzione nazionale. Il principio di libera concorrenza permetteva il mantenimento dei prezzi più bassi possibili, pur garantendo agli stati il controllo sugli approvvigionamenti. Il mercato venne aperto il 18 febbraio 1953 per il carbone ed il 1º maggio dello stesso anno per l'acciaio.

49 L’European Supply Agency si occupa di garantire ai Paesi della Comunità, oggi Unione Europea un accesso regolare ed equo alle materie prime fissili necessarie alla produzione di energia termonucleare. Tutti i contratti che vengono conclusi dai Paesi dell’Ue sono conclusi direttamente dall’Agenzia. Per un approfondimento sul tema e sui lavori dell’European Supply Agency si veda il sito http://ec.europa.eu/euratom/ consultato il 09/07/2018.

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comunitario. In secondo luogo, i governi dell’Europa Occidentale si videro costretti ad approfondire la cooperazione con i Paesi alleati extraeuropei per affrontare le crisi petrolifere degli anni Settanta, sì che le forme di coordinamento esistenti furono allargate ben oltre il continente con l’istituzione dell’Agenzia internazionale per l’energia (IEA)50. L’obbiettivo dell’agenzia, cui partecipavano i

membri dell’OSCE era quello di concertare le reazioni agli squilibri nei mercati mondiali dell’energia. La nascita dell’IEA marginalizzò ancora di più il ruolo della Comunità economica europea (istituita con il Trattato di Roma del 1957) nella questione degli approvvigionamenti di petrolio51.

Un terzo fattore che concorse a detto ridimensionamento fu il rinato attivismo nazionale europeo. La tragedia della Seconda Guerra mondiale aveva prodotto un forte slancio europeista, ma legato primariamente alla volontà di evitare nuove guerre sul territorio europeo. Quando però tale attivismo iniziò a ridimensionarsi, i governi decisero di riportare la politica energetica sotto il controllo nazionale. Lo strumento privilegiato a tale fine furono grandi compagni nazionali integrate e a partecipazione pubblica. Tra queste possiamo annoverare: l’Ente nazionale idrocarburi (ENI) e l’Ente nazionale energia elettrica (ENEL) in Italia; l’ Elecrticité de France (EdF) e Gas de France (GdF) in Francia, Viag e Rwe in Germania; British Gas, Central Elec00tricity Generation Board e British Petroleum nel Regno Unito52. Molte di queste aziende sarebbero state poi determinanti per lo sviluppo della rete di gasdotti europea e fin verso i Paesi esportatori.

Le classi dirigenti europee di quegli anni giudicarono insomma necessario un intervento statale diretto, favorendo così una gestione semi-monopolistica dei mercati energetici nazionali. Queste imprese furono anche incaricate di realizzare le necessarie infrastrutture sul territorio nazionale. Il ruolo delle imprese pubbliche non era tuttavia limitato solamente alla gestione e alla produzione di energia e del mercato finale. L’aumento dei consumi interni ai singoli Paesi europei spinse gli operatori nazionali ad adottare nuove strategie di approvvigionamento. L’aumento della dipendenza aumentava e cambiava la natura dei rischi per la sicurezza energetica: i paesi europei non potevano più limitarsi ad avere investimenti adeguati sul territorio nazionale, tali da favorire la

50 L'Agenzia internazionale dell'energia (AIE, in lingua inglese International Energy Agency, IEA) è un'organizzazione internazionale intergovernativa fondata nel 1974 dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in seguito allo shock petrolifero dell'anno precedente. Lo scopo dell'agenzia è quello di facilitare il coordinamento delle politiche energetiche dei paesi membri per assicurare la stabilità degli approvvigionamenti energetici (principalmente petrolio) al fine di sostenere la crescita

economica. Si veda il sito dell’IEA https://www.iea.org consultato il 09/04/2018.

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A livello di Comunità Europea furono adottati provvedimenti per ridurre la vulnerabilità dei Paesi europei, in particolare si concordò un livello minimo di scorte obbligatorie di greggio per tutti i membri. In merito alla questione si veda la Direttiva 1968/414/CEE.

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Per un approfondimento sul tema delle compagnie energetiche nazionali e sul loro impiego si veda il M. Marletta, Energia, Integrazione europea e Cooperazione internazionale, Torino, Giapichelli Editore, 2011, p. 37.

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crescita economica nazionale, ma dovevano anche assicurarsi le materie prime. Per questo le imprese energetiche nazionali furono chiamate ad operare sempre di più sui mercati internazionali.

Le imprese pubbliche nazionali per il loro operato sui mercati energetici internazionali divennero importanti strumenti di politica estera. A ciò va aggiunto anche che il confronto bipolare aveva reso rigidissimi i blocchi politico-militari e ridotto significativamente il margine di manovra degli alleati, facendo così delle imprese pubbliche soggetti politici ancora più utili, perché la loro flessibilità permetteva ai governi di muoversi con maggiore disinvoltura. Vi sono stati persino casi in cui l’importanza di queste imprese era tale che si assisteva ad un rovesciamento dei ruoli ed erano i governi ad essere influenzati dalle compagnie energetiche53

Nonostante la Guerra Fredda, l’esigenza di tutelare la propria sicurezza energetica, spinse alcuni Paesi europei (Italia e Germania) a stipulare accordi con l’Unione Sovietica a partire dagli anni Sessanta per la fornitura di petrolio e gas54. Il dinamismo che si era creato non si interruppe però con la prima crisi petrolifera degli anni Settanta. La questione energetica e le due dinamiche mutarono con l’innalzamento dei prezzi del petrolio e l’inaffidabilità dei fornitori OPEC, spingendo gli operatori europei verso fonti alternative55. La soluzione migliore fu individuata nell’utilizzo del gas naturale. Questo determinò un importate sviluppo del mercato regionale europeo e un approfondimento dei rapporti coi paesi fornitori, in particolare con l’URSS.

2.1.1 Le liberalizzazioni europee

Le crisi degli anni Settanta hanno prodotto un importante cambiamento nel paniere energetico europeo e un’evoluzione delle politiche pubbliche sia a livello comunitario che nazionale. Il diffondersi di un approccio più liberalista portò nuovo slancio al progetto di integrazione nel corso degli anni Ottanta e, in particolare, un punto di svolta fu rappresentato dall’Atto unico europeo, firmato il 17 febbraio del 1986 a Lussemburgo , e che prevedeva l’eliminazione entro il 1992 delle barriere non tariffarie ancora esistenti a livello nazionale.

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Ogni accordo energetico stipulato a livello internazionale vedeva un diretto coinvolgimento dei governi nazionali e delle imprese pubbliche. Le imprese nazionali avevano il ruolo di strumento flessibile. Questo permetteva ai governi di rompere il rigido blocco politico- militare imposto dalla guerra fredda. Tra le imprese attivi in questo ruolo troviamo l’Eni, l’Enel, l’EdF, la Viag e Rwe tedesche e la British gas. Tutte queste imprese erano fortemente impegnate nell’assicurare ai propri paesi la sicurezza energetica.

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Le motivazioni che spinsero Germania ed Italia a stipulare accodi con l’Urss per la fornitura di gas e petrolio sono legate sia ad opportunità politiche che economiche. l’intreccio tra politica ed economia che si veniva a creare era infatti determinante per il dinamismo nei rapporti internazionali sia dei singoli Paesi che dell’Europa.

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Il prezzo medio annuo del greggio Arabian light, usato come riferimento mondiale, passò dai 3 dollari del 1972 ai 12 del 1974, fino ad aumentare ai 37 del 1980. Si veda BP 2011.

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Il processo di liberalizzazione riguardò inevitabilmente anche il settore dell’energia56, che continuava ad essere uno dei più insidiosi ostacoli sulla via del mercato unico. In particolare, la Commissione Europea giocò un ruolo attivo nel formulare proposte nei settori del gas naturale e dell’elettricità. Un altro motivo di rallentamento nella costruzione del mercato unico erano le diverse caratteristiche dei mercati nazionali: in alcuni Paesi come il Regno Unito, il processo di liberalizzazione era stato avviato da molto tempo e la dimensione europea veniva vista come una normale prosecuzione della propria politica57. Altrove, invece, il ruolo delle imprese pubbliche era ancora predominante58.

Negli anni Novanta dopo i provvedimenti sul transito del gas, furono lanciati i cosiddetti “pacchetti energia”, una serie di provvedimenti legislativi, direttive e regolamenti, finalizzati a disciplinare i settori di elettricità e gas in modo omogeneo a livello europeo59. Ogni nuovo pacchetto riprendeva e ampliava le disposizioni del precedente, con il fine di un progressivo avvicinamento ad un ideale mercato unico dell’energia, altamente concorrenziale. In realtà la creazione di questo tipo di mercato è ancora oggi solamente sulla carta e le compagnie nazionali continuanoo a svolgere un ruolo primario nel trasporto e nella fornitura del gas.

Il nodo chiave del processo di liberalizzazione dei mercati del gas e dell’elettricità sono ancora oggi le infrastrutture, tradizionalmente controllate da aziende pubbliche verticalmente integrate. Il controllo delle reti di trasporto da parte di queste operatori permette di evitare che altri concorrenti venissero coinvolti. In questo modo le imprese marginalizzavano qualsiasi tipo di concorrenza, creando un sistema di monopolio che ricadeva sui consumatori. Non è un caso infatti che le prime normative europee abbiano interessato l’apertura dei mercati e delle rete anche ad altri operatori. Il passo successivo fu invece quello di creare autorità indipendenti che vigilassero sull’effettiva apertura dei mercati e quello della limitazione degli aiuti di Stato nel settore energetico.

56 Per una ricostruzione puntuale sul processo di liberalizzazione del settore dell’energia si veda il documento della Commissione europea (88)238.

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La liberalizzazione del mercato adottata dal Regno Unito aveva inevitabilmente aperto alle imprese i mercati. Una liberalizzazione del mercato europeo quindi per il Regno Unito voleva dire aumentare la competitività e poter accedere anche al mercato continentale espandendo i profitti delle imprese nazionali. M. Verda, Una politica a tutto gas, Sicurezza energetica europea e relazioni internazionali, Milano, Università Bocconi, 2011 p 143.

58 Nei paesi continentali il processo di liberalizzazione aveva difficoltà ad essere attuato a causa della condizione di semi-monopolio che le imprese pubbliche avevano messo in atto. L’adozione delle liberalizzazioni economiche in materia energetiche avrebbe portato ad una profonda modifica non solo del sistema semi-monopolistico ma avrebbe permesso alle imprese private e di altre nazioni di entrare nei mercati nazionali di altri paesi, aumentando di conseguenza la concorrenza.

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Si veda in merito la direttiva 1996/92/CE e la direttiva 1998/30/CE sul primo pacchetto energetico, la direttiva 2003/54/CE e 2003/55/CE sul secondo pacchetto europeo e la direttiva 2009/72/CE sul terzo pacchetto energetico.

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L’obbiettivo dalla Comunità Europea era infatti quello di indebolire l’intervento diretto dei governi nazionali.

Il possesso delle reti è infatti importante anche per un’altra ragione: la società e in particolar modo la sua struttura incidono significativamente sugli investimenti che vengono realizzati dagli operatori privati. Un operatore, che possiede e utilizza le reti per trasportare il proprio gas e quello dei suoi concorrenti, può sempre scegliere di investire per sviluppare le infrastrutture in funzione delle proprie strategie di mercato e a danno degli altri operatori. Per evitare che questo si verifichi la Commissione ha emanato una normativa che impone vincoli sempre più stretti in materia di gestione delle reti, imponendo alle grandi imprese che controllano le reti, di separare la gestione delle reti energetiche dalle altre attività, senza tuttavia configurare un obbligo di cessione (unbundling)60.

Uno degli effetti più incisivi del possesso delle reti da parte degli ex-monopolisti è che i principati mercati nazionali restano di fatto scarsamente interconnessi. Se osserviamo il mercato comune europeo dal punto di vista infrastrutturale non esiste: sebbene ci siano collegamenti e limitati scambi, i principali Paesi europei hanno mercati in cui gli operatori nazionali gestiscono la produzione, l’importazione e lo stoccaggio in modo autonomo. Tale situazione è particolarmente favorevole agli ex-monopolisti: fino a quando il livello di interconnessioni sarà così basso e finché la capacità di trasporto sarà regolamentata da contratti a lungo termine e sottoscritti nel passato, la possibilità che nuovi operatori accedano al mercato sarà estremamente limitata.

In quest’ottica la proposta della Commissione è di imporre alle imprese integrate di vendere le reti e favorire una maggior integrazione delle infrastrutture europee. La proposta ha però trovato la resistenza dei governi nazionali, i quali volevano tutelare le proprie imprese, infatti, una delle principali, ragioni che spinsero i governi a non accettarla fu la riduzione della forza degli ex- monopolisti, riducendo la forza contrattuale nei confronti dei fornitori internazionali e rischiando così di compromettere, secondo alcuni, la sicurezza energetica dei Paesi europei. Un’altra importante ragione è che gli ex-monopolisti ancora oggi contano un importante partecipazione azionaria pubblica, questa offre ai governi non solo importanti dividendi, ma anche una certa influenza sulla gestione.

Un altro punto controverso del processo di liberalizzazione è il rischio che l’apertura alla concorrenza consenta ai monopolisti di aprirsi nuovi sbocchi sui mercati finali, andando a rafforzare

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Si veda in merito il Capitolo VI, art. 19, comma 3, direttiva 2003/54/CE e il Capitolo V, art. 17 comma 3, direttiva 2003/55/CE

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ulteriormente la loro posizione nei confronti delle imprese europee. In realtà la normativa emanata dalla Commissione Europea non consentirebbe ad operatori extra-Europei di raggiungere posizioni tali da minacciare il corretto funzionamento del mercato. C’è inoltre da dire che gli ipotetici svantaggi di una concorrenza “sleale” potrebbero essere compensati sia dai benefici dell’investimento di nuovi capitali, sia da un rafforzamento della dipendenza dei Paesi fornitori del Vecchio continente. Inoltre, come testimoniano gli accordi stipulati tra Gazprom e alcune grandi imprese nazionali, l’ingresso sui mercati finali da parte delle società extra-comunitarie è spesso accompagnato da accordi paralleli che prevedono l’ingresso o il rafforzamento delle imprese europee nell’attività di produzione dei paesi non europei.

Analizzando la questione ad un livello più ampio, la contrapposizione non è solamente tra due diverse visioni sull’assetto ottimale del mercato del gas e dell’elettricità, rappresentate da un lato dall’impresa pubblica monopolista e integrata e dall’atro da una serie di imprese private in concorrenza tra loro. Il punto vero è anche e soprattutto se l’ultima parola, debba spettare al livello nazionale o a quello comunitario61.

Come abbiamo visto i governi posso intervenire direttamente nel mercato, grazie alle imprese pubbliche oppure regolare un mercato concorrenziale. Le regolamentazioni europeo vanno però in più direzioni. Infatti se con lo smantellamento dei quasi-monopolio pubblici nazionali la regolazione diventa il principale strumento di azione politica in materia di energia e se questa regolazione dipende in modo sempre più stretto dalla normativa europea, allora il risultato che otteniamo è quello di spostare la decisione dal livello nazionale a quello europeo. Questo passaggio pone però dei gravi problemi sul piano delle relazioni internazionali, oltre che sul piano della legittimità politica. I Paesi europei sono sì alleati, ma mantengono interessi economici che rispondono a logiche puramente nazionali e hanno quindi posizioni divergenti nei confronti degli esportatori. Se consideriamo, ad esempio, il rapporto con la Federazione Russa, notiamo come questo non sia uguale per tutti. Alcuni Paesi come la Germania sono interessati ad approfondire il rapporto con Mosca, mentre membri dell’Europa Orientale mirano a limitare il ruolo della Russia, insistendo per diversificare fornitori e rotte di approvvigionamento.

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In merito alla questione su chi deve prendere le decisioni finali, il Trattato di Lisbona stabilisce chiaramente che gli Stati membri godono di sovranità nazionale. Il Trattato ribadisce anche che le misure adottate a livello europeo non incidono sul diritto di uno stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra le varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico. In merito alla questione si rimanda all’ Art 194, comma 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

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L’eterogeneità delle preferenze nazionali contribuisce ad impedire che a livello europeo si adotti una politica comune efficace nei confronti dei paesi fornitori. Anche se la Commissione si dimostrasse particolarmente attiva, mancano i presupposti per una posizione unitaria.

2.1.2 Il rapporto con i paesi esportatori nella politica dell’Ue