• Non ci sono risultati.

Introduzione alla lettura

1. Criteri generali

1. Criteri generali

Art. 9 c.p.p. (Regole suppletive) – Contrasto negativo di com-petenza – criterio sussidiario della residenza, del domicilio o della dimora – prevalenza del domicilio

In relazione al criterio sussidiario del luogo di residenza, domicilio o dimora dell’indagato, occorre adeguarsi al principio affermato dalla Corte di cassazione, sia pure non recentemente, secondo cui “il domi-cilio, quale centro concreto degli interessi del soggetto (secondo la no-zione di ordine generale ricavabile dall’art. 43 comma primo cod. civ.), prevale, in caso di diversità, sulla semplice residenza, specie quando quest’ultima sia rilevabile unicamente sulla base del dato formale costi-tuito dalle mere risultanze dei registri anagrafici” (Cass. Sez. I,

Senten-za n. 1775 del 24/04/1992 Cc., dep. 22/06/1992, Rv. 190677; Confl.

comp. Trib. Sorv. Ancona e Trib. Sorv. Napoli in proc. Russo).

A tal proposito si è precisato che occorre aver riguardo alla dimo-ra effettiva, sicché, in caso di difformità fdimo-ra la residenza anagdimo-rafica e quella di fatto, la violazione si realizza nel luogo di stabile dimora o re-sidenza di fatto.

Decreto n. 135/09

Art. 10 c.p.p. (Competenza per reati commessi all’estero) -Contrasto negativo di competenza – reato più grave commesso al-l’estero – connessione - reato più grave commesso in Italia

Ove sussista connessione tra reati commessi nel territorio dello Stato e reati commessi all’estero, in osservanza del principio costituzio-nale del giudice naturale precostituito per legge, la competenza va de-terminata in relazione al luogo del commesso reato, avendo riferimen-to, ex art. 16 c.p.p. al più grave dei reati commessi, che sia stato realiz-zato nel territorio dello Stato” (Cass. Sez. VI, 6 novembre 2000, n. 4089).

Decreto n. 238/08

Art. 10 c.p.p. (Competenza per reati commessi all’estero) -Contrasto negativo di competenza – reato più grave commesso al-l’estero – connessione - criterio sussidiario del reato meno grave commesso in Italia

Per contro, nel caso in cui il reato più grave risulta commesso al-l’estero, non può aversi riguardo al criterio previsto dall’art. 8 comma l, c.p.p., né ai criteri sussidiari di cui all’art. 9 c.p.p., non applicabili ai reati commessi all’estero; neppure è applicabile la disposizione di cui all’art. l0 c.p.p. la quale si riferisce, per giurisprudenza costante, a pro-cedimenti con reato singolo; sicché, in caso di pluralità di reati si deve far ritorno, secondo la giurisprudenza di legittimità, al luogo di con-sumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave fra quelli residui connessi, che sia stato realizzato nel territorio dello Stato italiano (per l’applicazione generale del principio si veda Cass. Sez. I, 24.9.1993, n. Rv. 195429; Cass. 17.3.1993, Giorni; Rv.

194047; per l’applicazione, nello specifico, dello stesso principio in caso di connessione con reati commessi all’estero, si veda Cass. Sez.

VI, 6.11.2000-29.11.2000; D. 4089, Rv. 217908); la giurisprudenza è pervenuta alla determinazione di tale principio secondo una interpre-tazione orientata al rispetto del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge.

Decreto n. 172/08

Art. 11 c.p.p. (Competenza per procedimenti riguardanti i magistrati) – Contrasto negativo di competenza - Esposto anoni-mo – assenza di elementi precisi – competenza del P.M. nel cui circondario sarebbero stati commessi i reati

Nel caso in cui, alla stregua del contenuto del solo esposto anoni-mo, non siano stati acquisiti elementi di accusa sufficientemente pre-cisi a carico di ben individuati magistrati, che autorizzino una delinea-ta e ben connodelinea-tadelinea-ta impudelinea-tazione, ancorché iniziale, la quale possa ren-dere operativa la disciplina, in tema di competenza territoriale, previ-sta dall’art. 11 c.p.p. si è ritenuto di applicare il principio giurispru-denziale ormai consolidato secondo cui, in tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, l’operatività dell’art. 11 c.p.p. è subordinata alla condizione che il magistrato assuma la qualità di per-sona sottoposta ad indagini, di imputato, ovvero di perper-sona offesa o danneggiata dal reato e che tale qualità “deve essere una qualità forma-le assunta nella sede procedimentaforma-le, attraverso forma-le iniziative formali pre-viste dall’ordinamento giuridico, spettanti all’organo del pubblico mini-stero” (Cass. Sez. VI, ud. 9.5.2005, n. 40984, dep. 1l.11.2005, Mazzoc-coli ed altri, in C.E.D., Rv. 233471).

Decreto n. 136/08

Nel ribadire di recente il medesimo principio, si è ulteriormen-te precisato che, derogandolo l’art. 11 c.p.p. al principio costituzio-nale del giudice naturale, la norma dallo stesso posta è di stretta in-terpretazione non suscettibile di interpretazioni estensive; e, per-tanto, affinché operi l’art. 11 c.p.p., con conseguente modifica del criterio ordinario di attribuzione della competenza territoriale, oc-corre che un magistrato del distretto, nominativamente individuato, rivesta la qualità di indagato o di parte offesa o danneggiata; la sem-plice prospettazione ed il sospetto non sono idonei a far operare il criterio di competenza di cui all’art. 11, occorrendo, invece, che l’e-ventuale magistrato, ritenuto autore del reato, sia individuato e rag-giunto da concreti indizi; di conseguenza, quando il P.M. che ha sol-levato il contrasto, prospetta solo la astratta possibilità che le inda-gini possano rivelare che il fatto debba essere addebitato ad un ma-gistrato del luogo, deve svolgere ogni accertamento al fine di indivi-duare il p.u. che ha agito (nella specie, il p.u. che ha diffuso la noti-zia, che doveva rimanere segreta), e solo qualora tale persona sia un magistrato, trasmetterà il procedimento al P.M. competente ex art.

11 C.p.p.

Decreto n. 233/08.

Con riguardo alla posizione dei vice procuratori onorari, l’indiriz-zo giurisprudenziale tradizionalmente accolto, secondo cui “la deroga agli ordinari criteri di attribuzione della competenza per territorio, stabilita dall’art. 1l c.p.p. per i procedimenti riguardanti i magistrati, non si applica ai vice - procuratori onorari, facendo difetto, per essi, il pieno e stabile esercizio delle funzioni giudiziarie” (Cass. Sez. I, Cc.

30.6.1999, dep. 22.7.1999, n. 4532, Daccò, Rv. 214028; in senso confor-me, v.: Cass. Sez. I, sent. n. 4307 del 10.6.1999, Li Bassi; da ult. Cass.

Sez. I, Cc. 21.2.2000, dep. 4.4.2000, n. 1267, Siracusano, Rv. 215709, anche in Cass. pen., 2001, p. 1260, con ampia nota), risulta rivisitato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che hanno stabilito il di-verso principio secondo cui occorre preventivamente accertare se il magistrato onorario abbia un incarico dal carattere stabile e continua-tivo, riconosciuto per un arco temporale significativo. La Suprema Corte ha infatti avuto modo di spiegare che “La deroga alle regole gene-rali della competenza per territorio nei procedimenti in cui un magistra-to assume la qualità di indagamagistra-to, di imputamagistra-to ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, si applica anche al magistrato onorario il cui in-carico sia connotato dalla stabilità, e cioè dalla continuatività ricono-sciuta formalmente per un arco temporale significativo, in quanto que-sta, essendo sufficiente a radicarlo istituzionalmente nel plesso territo-riale di riferimento, potrebbe ingenerare il sospetto, stante il rapporto di colleganza e di normale frequentazione tra magistrati della medesima circoscrizione, di un non imparziale esercizio della giurisdizione nei suoi confronti”. (Fattispecie relativa a processo nel quale un vice pretore onorario aveva assunto la qualità di persona offesa dal reato e per il quale, in applicazione del principio sopra enunciato, la Corte ha rite-nuto l’applicabilità della regola derogatoria, annullando entrambe le sentenze di merito) (Cass. Sez. U, Sentenza n. 292 del 15/12/2004 Ud.

(dep. 13/01/2005) Rv. 229632; si veda sul punto Corte cost. n. 390 del 1991).

Decreto n. 124/09

Quanto poi ai giudici di pace, si è rilevato che nessuna distinzio-ne può esser prospettata tra la posiziodistinzio-ne del Giudice di pace e quella del magistrato “togato”, per ciò che concerne l’applicazione dell’art. 1l c.p.p. Tale conclusione si basa anche sulla decisione a Sezioni Unite (n. 292/05) che ha affrontato in maniera sistematica la questione e che - dopo aver individuato la “ratio”che presiede alla speciale disciplina nella esigenza, particolarmente marcata nel processo penale ... di evitare che il rapporto di colleganza e normale frequentazione

nascen-te dal comune espletamento delle funzioni nello snascen-tesso plesso nascen- territo-riale possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’imparzialità del giudizio - ha sottolineato la non casualità dell’assenza, nelle previsio-ni normative sulla competenza speciale contenute sia nel nuovo che nel vecchio codice di rito, di qualunque distinzione fra magistrati “to-gati” e magistrati “onorari”; assenza che deve al contrario ricondursi alla volontà di sottoporre ad un’unica disciplina i magistrati che eser-citino stabilmente la funzione giudiziaria, siano essi togati o meno.

La Corte ha anche desunto dall’ambito di estensione (su base di-strettuale) della competenza in esame e dal suo carattere non mera-mente territoriale (con conseguente rilevabilità, anche officiosa del re-lativo difetto in ogni stato e grado del procedimento) la irrilevanza del grado più o meno intenso del rapporto di colleganza, visto l’intendi-mento legislativo di rafforzare in modo particolare la tutela della ter-zietà del giudice e dell’imparzialità del pubblico ministero.

Decreto n. 31/09

Si badi, tuttavia, che i principii su indicati non operano – e quin-di la competenza funzionale prevista da detta norma non scatta - se si tratti di un reato commesso in danno di un magistrato in un distretto diverso da quello in cui il magistrato presta servizio; quando il magi-strato assuma la qualità di persona offesa in un reato commesso in altro distretto trovano applicazione le ordinarie norme sulla compe-tenza territoriale di cui all’art. 8 c.p.p.

Decreto n. 32/09

Artt. 12, 16, 9 c.p.p. (Casi di connessione) - Contrasto negati-vo di competenza – reato singolo – pluralità di reati – connessio-ne - norme applicabili.

Con riguardo alle modalità di determinazione della competenza territoriale, il principale discrimine risiede nella configurabilità di un reato singolo ovvero di più reati, fra loro avvinti da ragioni di connessione.

Nel primo caso devono essere applicate le regole sancite in via principale dall’art. 8 ed in via sussidiaria dall’art. 9 c.p.p.

Nel secondo caso l’applicazione corretta dell’art. 16 c.p.p. impone di seguire un diverso percorso logico-giuridico. In particolare, in pre-senza di reati connessi, ove non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave, non può farsi immediato riferimen-to ai criteri sussidiarii di cui all’art. 9 c.p.p., in quanriferimen-to detta disposi-zione si riferisce, per giurisprudenza costante, a procedimenti con

reato singolo; sicché, in caso di pluralità di reati si deve avere riguar-do al luogo di consumazione del reato più grave e, in caso di pari gra-vità, al criterio temporale di cui all’art. 16 c.p.p.; ma se anche così ri-sulta impossibile individuare una primazia, occorre individuare il reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave fra quelli residui (Cass. Sez. I, 24.9.1993, Rv. 195429; Cass. 17.3.1993, Giorni, Rv. 194047). Solo se non risulta possibile applicare neppure tale crite-rio, e, dunque, resta incerto anche il luogo di consumazione dei reati individuati in ordine decrescente, la competenza deve essere determi-nata – conformemente all’insegnamento della Corte di legittimità- fa-cendo applicazione delle regole suppletive dell’art. 9 c.p.p., in relazio-ne al primo dei reati da prendere in consideraziorelazio-ne.

Decreti n. 6, 19, 65/08, fra gli altri

Artt. 12, 16 c.p.p. (Casi di connessione) - Contrasto negativo di competenza – pluralità di reati – connessione – archiviazione per uno dei reati connessi - principio della perpetuatio jurisdictio-nis – operatività – esclusione

Nel caso in cui uno dei reati, pur essendo individuato in un deter-minato circondario, risulti archiviato, si è stabilito che nella fase pro-cedimentale delle indagini preliminari non opera, per giurisprudenza consolidata, il principio della perpetuatio jurisdictionis (cfr. fra le altre, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 45418 del 29/09/2004 Ud. (dep. 24/11/2004) Rv. 230413; Lussi ed altro), secondo cui “Pur essendo la connessione, nel vigente sistema processuale, criterio autonomo ed originario di attri-buzione della competenza, essa non comporta, nelle fasi antecedenti al giudizio, l’operatività del principio della perpetuatio jurisdictionis)”. Per-tanto, qualora, prima della chiusura delle indagini preliminari, so-pravvenga pronuncia di archiviazione relativamente ad alcuno dei fatti tra loro connessi, non può invocarsi il suddetto principio per so-stenere, anche con riguardo agli altri fatti, il permanere della compe-tenza del giudice inizialmente individuato sulla base della connessio-ne (Massime precedenti Conformi: n. 6442 del 1997 Rv. 208946, n. 736 del 1999 Rv. 212879, n. 19050 del 2004 Rv. 228162).

Decreto n. 127/08

In applicazione di tali superiori principii, si è ulteriormente preci-sato che l’art. 17 c.p.p. costituisce regola applicabile ai processi, non ai procedimenti e che il P.M. ben può esperire indagini contestuali e congiunte relativamente a distinti procedimenti, senza che ciò possa produrre gli effetti tipici della riunione dei processi, come quello dello

spostamento della competenza (Cass. Sez. VI, n. 3011, del 4/8/1992, dep. 28/8/1992, Rv. 191953);

Decreto n. 126/09

Artt. 12, 16 c.p.p. (Casi di connessione) - Contrasto negativo di competenza – pluralità di reati – reato continuato - connessio-ne – principio della perpetuatio jurisdictionis – operatività – esclusione

Analogamente, se la ragione di contrasto risiede nel fatto che il P.M. remittente ritiene che i reati siano avvinti da continuazione con altro e precedente reato dello stesso tipo commesso in altro circonda-rio, si è rilevato che l’esercizio congiunto o disgiunto dell’azione pena-le ovvero la riunione o la separazione dei procedimenti non modifica-no la determinazione della competenza per connessione, in quanto il vincolo tra reati individuato dalla legge costituisce criterio originario ed autonomo di attribuzione di competenza; deve essere tuttavia rite-nuto - in sintonia con la costante giurisprudenza in materia - che “in tema di connessione e di relativi effetti sulla competenza, l’indicato cri-terio autonomo e originario di attribuzione della competenza non impli-ca che detta attribuzione assuma impli-carattere definitivo ed irreversibile anche nelle fasi procedimentali diverse e antecedenti rispetto a quella del giudizio” (cfr. fra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3308 del 12/05/1997 Cc. (dep. 06/06/1997) Rv. 207757; Conf. comp. in proc. Olivieri ed altri;

Cass. Sez. 5, Sentenza n. 45418 del 29/09/2004 Ud. (dep. 24/11/2004) Rv. 230413).

Decreto n. 166/08

Artt. 12, 16 c.p.p. (Casi di connessione) - Contrasto negativo di competenza – pluralità di reati – reato continuato - connessio-ne – individuazioconnessio-ne del reato più grave – maggiore gravità del danno esclusione – gravità in astratto – medesimo nomen iuris -applicabilità

Circa l’individuazione del reato più grave, si è precisato che la for-mulazione dell’art. 16, comma 1, c.p.p., per individuare la competen-za territoriale, nel caso di reato continuato, riproduce esattamente la disciplina del codice di rito del 1930, stabilita dall’art. 39, comma 3, c.p.p., che, nel caso, appunto, di reato continuato, fissava la competen-za territoriale del giudice del luogo in cui era stato “commesso il reato più grave o, in caso di pari gravità, il primo reato” . Inoltre, la formu-lazione dell’art. 16, comma 1, c.p.p., in tema di effetti della connessio-ne sulla competenza per territorio, riproduce il criterio principale,

adottato anche dal codice di rito del 1930, all’art. 47 c.p.p., del “reato più grave”, ai fini dell’individuazione della competenza per i procedi-menti connessi. In relazione a tali criteri, rimasti sostanzialmente im-mutati, dettati dall’ordinamento in tema di reato continuato ed agli ef-fetti della individuazione della competenza per territorio per i proce-dimenti connessi, sotto la previgente disciplina degli artt. 39 e 47 c.p.p., si era formato un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui l’espressione “reato più grave”, di cui all’art.

39 c.p.p./1930 - diversa dalla locuzione “violazione più grave” ex art.

81, comma 1, c.p. – doveva essere riferita al reato che, per titolo, grado e circostanze, risultasse in astratto di maggiore gravità e non già in concreto (in tal senso, v. Cass. Sez. I, C.c. 3.10.1980, dep. 24.10.1980, n. 2384, Squicciarini, Rv. 146337; Cass. Sez. V, ud. 24.11.1981, dep.

16.12.1981, n. 11025, Gardin, Rv. 151282; Cass. Sez. I, C.c. 15.11.1990, dep. 22.12.1990, n. 4012, Mirabile, Rv. 186977; Cass. Sez. II, ud.

8.4.1993, dep. 9.6.1993, n. 5777, Di Barba, Rv. 194050), tanto è vero che, nel caso del reato continuato di emissione di assegni a vuoto, ri-sultante dalla unificazione di più reati aventi il medesimo nomen juris e di pari gravità in astratto, la competenza per territorio si radicava nel luogo di commissione del primo reato, con la precisazione che del-l’importo dei singoli assegni si doveva tener conto esclusivamente per stabilire quale fosse la “violazione più grave”per la determinazione della pena base, sulla quale apportare l’aumento ex art. 81 c.p.

Tale interpretazione non può non essere ribadita – come precisa la Corte Suprema in una alquanto recente decisione (“Ai fini della indivi-duazione della competenza per territorio, in caso di procedimenti connes-si, la comparazione dei reati sotto il profilo della gravità, secondo il dispo-sto del comma 3 dell’art. 16 c.p.p., va effettuata con riguardo esclusivo alle sanzioni edittali, restando priva di rilevanza, nel caso che queste si equi-valgano, la maggiore o minore entità del danno in concreto provocato dalle singole condotte criminose”: Cass. Sez. II, c.c. 19.11.2003, n. 48784, dep.

19.12.2003, Mazzaferro, in Cass. pen., 2005, p. 1284, m. 477 o Rv.

228335) - anche nella vigenza dell’attuale normativa, di cui agli artt. 4, 12, lett. b) e 16 c.p.p., sia per l’identità del dato letterale, che è rimasto immutato, sia per come è strutturata l’attuale disciplina, fondata esclu-sivamente – come la precedente – sulla fissazione di criteri legali ed astratti. Difatti, sia la norma generale, di cui all’art. 4 c.p.p. – che contie-ne le regole per determinare la gravità del reato, agli effetti della compe-tenza – sia la norma più specifica, di cui all’art. 16 c.p.p., in tema di com-petenza territoriale, nei casi di comcom-petenza per connessione, fanno en-trambe riferimento al criterio della “gravità del reato”, in rapporto al

ti-tolo, al grado, alle circostanze, nonché alla qualità, specie ed entità della pena edittale prevista dalla legge, e, quindi, alla gravità del reato, consi-derata in astratto (art. 16, comma 3, c.p.p.); pertanto, trattandosi di reato continuato, risultante dall’unificazione di più reati aventi il mede-simo nomen juris e di pari gravità in astratto, la competenza territoria-le, ai sensi dell’art. 16, comma 1. c.p.p., appartiene al Giudice del luogo in cui è stato commesso il primo reato.

Artt. 12, 16 c.p.p. (Casi di connessione) – Determinazione di competenza territoriale su richiesta di parte –esaurimento della fase procedimentale delle indagini preliminari – art. 415 bis c.p.p. e conclusione delle indagini - esclusione

L’art. 54 quater c.p.p. - introdotto dall’art. 12 Legge n. 479/1999 prevede che l’indagato “che abbia avuto conoscenza del procedimento ai sensi dell’art. 335 o dell’art. 369 stesso codice possa chiedere lo trasmis-sione degli atti ad altro ufficio del P.M. qualora ritenga una diversa competenza territoriale. Scopo della norma è quello quindi di trasferi-re al P.M. effettivamente competente lo svolgimento delle indagini ptrasferi-re- pre-liminari: e ciò non tanto al fine di creare un parallelismo col principio del “giudice naturale” (essendo le valutazioni in punto di competenza del P.M. necessariamente soggette alla verifica da parte del giudice), quanto piuttosto per far sì che non si verifichino indebiti spostamenti delle indagini preliminari dal luogo in cui, secondo la disciplina della competenza di cui agli artt. 8 e ss. c.p.p., appaia sussistente la (futura) competenza del giudice. Finalità, peraltro, cui è sotteso l’intero siste-ma della risoluzione dei contrasti - negativi o positivi - tra pubblici mi-nisteri di cui agli artt. 54 e ss. c.p.p.

Ora, così come nei casi regolati dagli articoli precedenti, anche la trasmissione degli atti prevista dal citato art. 54 quater ha una logica possibilità di applicazione (oltre che un senso pratico) fintantoché le indagini preliminari siano in corso di svolgimento, non invece quando le stesse siano state concluse. Non è senza significato, infatti, che detta norma preveda la possibilità di formulare tale richiesta dal momento in cui l’indagato abbia conoscenza del procedimento nei suoi confron-ti (comunicazione dell’iscrizione nel registro noconfron-tizie di reato o invio dell’informazione di garanzia); ed a tale ipotesi è certamente equipa-rabile l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare. La specificazio-ne operata dalla norma, dunque, consente di confermare che è la fase delle indagini preliminari - ed essa soltanto - ad essere presa in consi-derazione ai fini della trasmissione del procedimento, non invece quella successiva alla sua conclusione.

Ad ulteriore conferma della superiore impostazione, milita la con-siderazione che tra le norme citate quali fonti di conoscenza del pro-cedimento penale non viene indicato l’art. 415 bis c.p.p. che peraltro, in quanto introdotto con la medesima Legge n. 479/1999 (art. 17), ben avrebbe potuto e dovuto - ove questa fosse stata l’intenzione del legi-slatore essere parimenti richiamato. Ciò invece non è avvenuto, per la logica considerazione che, una volta chiuse le indagini preliminari, non ha alcun senso chiederne lo spostamento ad altro ufficio del P.M., dovendo tutte le questioni - anche in punto di competenza - ormai tra-sferirsi nella fase processuale dell’udienza preliminare o del giudizio.

Del resto, che le disposizioni dell’art. 415 bis si riferiscano alla fase successiva alla conclusione delle indagini deriva non soltanto

Del resto, che le disposizioni dell’art. 415 bis si riferiscano alla fase successiva alla conclusione delle indagini deriva non soltanto