dei dipendenti – Fondamento – Compatibilità con il sistema delle garanzie di terzietà e imparzialità stabilite dalla Costituzione, ana-logamente ad altri organi costituzionali (Parlamento, Corte costitu-zionale) – Legittimità anche alla luce della giurisprudenza della CEDU – Difetto di giurisdizione del giudice ordinario
(…) rilevato che il regolamento preventivo di giurisdizione è stato proposto con riferimento ad una controversia promossa, con atto del 2 luglio 2007, davanti al TAR del Lazio da S.V., dipendente del Segre-tariato generale della Presidenza della Repubblica, per impugnare il decreto presidenziale n. 47/A del 1° dicembre 2005, con il quale era stato nominato coordinatore al primo livello, e la successiva decisione del Collegio d’appello n. 2/07 del 10 maggio 2007 che aveva respinto il ricorso avverso la decisione del Collegio giudicante che non gli aveva riconosciuto il diritto a una qualifica superiore;
rilevato, in particolare, che, nel chiedere il regolamento preventi-vo, il V. assume che il Collegio giudicante e quello d’appello, istituiti per decidere sui ricorsi in materia di rapporto di impiego con decreto del Presidente della Repubblica n. 81/N del 24 luglio 1996 (che aveva abrogato la precedente disciplina di cui ai decreti presidenziali n. 31 del 1980 e n. 91 del 1982), non svolgerebbero funzioni giurisdizionali e invoca, a sostegno del proprio assunto, la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione n. 12614 del 1998, che, richiamando proprie precedenti decisioni (v. n. 2979 del 1975 e n. 3422 del 1988), ha esclu-so che alla Presidenza della Repubblica possa essere riconosciuta l’au-todichia (e cioè, come recita la sentenza, “la capacità di una istituzio-ne – ed in particolar modo degli organi costituzionali – di decidere diret-tamente e con proprio giudizio ogni controversia attinente all’esercizio delle proprie funzioni”);
rilevato che tale decisione si fonda, in sintesi, sull’affermazione che:
a) la autodichia non può essere desunta implicitamente dal principio della divisione dei poteri che nel vigente ordinamento costituzio-nale non è assoluto;
b) l’art. 24 della Costituzione assicura a “tutti” la tutela giurisdizio-nale dei propri diritti ed interessi legittimi “sicché le limitazioni a tale regola devono essere espressamente previste”;
c) eccezioni esplicite a favore di organi costituzionali si rinvengono nel diritto positivo, ma in ogni caso tali eccezioni devono avere
“un fondamento costituzionale anche se solo indiretto”, come nel
caso della autodichia nelle controversie di impiego dei rispettivi dipendenti della quale la Camera e il Senato si sono dotati nell’e-sercizio del potere regolamentare loro attribuito dall’art. 64, e in quello della giurisdizione domestica istituita presso la Corte costi-tuzionale (“in virtù del concatenato operare dell’art. 1 della legge co-stituzionale 11.3.1953, n. 1, e dell’art. 14, comma 3, della legge 11.3.1953, n. 87, come modificato dall’art. 4 della legge 18.3.1958, n.
265, e che viene esercitata in base al regolamento 8.4.1960 della stes-sa Corte”);
d) analoga situazione non sarebbe per converso ravvisabile per la Presidenza della Repubblica;
rilevato, in particolare, che a tale conclusione le Sezioni unite sono pervenute osservando che:
- la legge ordinaria (n. 1977 del 1948) istitutiva del Segretariato ge-nerale della Presidenza della Repubblica non prevedeva l’autodi-chia nei confronti del personale, ma si limitava a disporre che “ lo stato giuridico ed economico e gli organici del personale addetto alla Presidenza sono stabiliti con decreto del Presidente della Repubbli-ca”, e che, anche ad ammettere “in via di ipotesi” che una forma di giurisdizione domestica potesse essere prevista in tale sede, il decreto n. 31 del 1980 (applicabile al caso all’esame delle Sezioni unite) non prevedeva l’autodichia, ma al contrario disponeva espressamente che il ricorso interno è dichiarato improcedibile
“se nei confronti dello stesso atto o provvedimento amministrativo sia stato da chiunque presentato ricorso al giudice amministrativo”
in tal modo riconoscendo la giustiziabilità degli atti davanti al giu-dice comune”;
- in questo quadro non era pertinente il richiamo ai principi enun-ciati dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 129 del 1981) che aveva accomunato la Presidenza della Repubblica al Senato e alla Camera dei deputati ai fini di escludere la soggezione dei ri-spettivi agenti contabili alla giurisdizione della Corte dei conti, in quanto in tale materia il potere regolamentare della Presidenza della Repubblica “si era concretamente ed effettivamente espresso in modo sostanzialmente conforme a quanto disposto dalla Camera e dal Senato” e che, inoltre, l’esenzione dalla giurisdizione contabile
“era anche sorretta da una lunga tradizione … così determinando l’insorgere di una vera e propria consuetudine costituzionale” non rinvenibile nel caso delle controversie concernenti il personale, anche perché con il citato decreto n. 31 del 1980 l’organo costitu-zionale, come si è richiamato da ultimo, si era autolimitato;
ritenuto che proprio tale ultima considerazione (che nella motiva-zione della decisione in esame appare sotto alcuni aspetti decisiva, cfr.
la parte finale della sentenza delle Sezioni unite n. 317 del 1999) indu-ce a una attenta “rivisitazione” dell’orientamento giurisprudenziale in esame se si considera che, con il successivo decreto presidenziale del 24 luglio 1996 (applicabile alla fattispecie in esame), è stata soppressa la previsione della improcedibilità del ricorso in caso di impugnazio-ne davanti al giudice amministrativo dell’atto o del provvedimento, e ciò a conferma dalla volontà di introdurre una forma di giurisdizione domestica;
ritenuto, pertanto, che al fine di valutare la legittimità di questa scelta, premesso che l’autodichia non deve essere necessariamente prevista espressamente (come nel caso dell’art. 66 della Costituzione) da norma di rango costituzionale (perché, altrimenti, in materia di contenzioso del lavoro non sarebbe ravvisabile, allo stato, ipotizzabile alcuna ipotesi di autodichia), il problema, che si pone, oggi concreta-mente e non come mera ipotesi (come all’epoca della sentenza delle Sezioni unite in esame), è quello di esaminare se sia comunque neces-sario un fondamento costituzionale anche se “indiretto” e come debba essere individuato;
rilevato, in questa prospettiva, che tale fondamento è stato indivi-duato:
a) per quanto riguarda la Camera dei deputati, nell’art. 12 del Rego-lamento deliberato, ai sensi e secondo le modalità dell’’art. 64 della Costituzione, il 18 febbraio 1971 e che ha previsto, tra l’altro, l’a-dozione da parte dell’Ufficio di presidenza del regolamento con-cernente i ricorsi in materia di stato giuridico ed economico dei dipendenti (v., Cass. S.U. n. 317 del 1999);
b) analogamente, per quanto riguarda il Senato, nell’art. 12 del Re-golamento deliberato, ai sensi e secondo le modalità dell’’art. 64 della Costituzione, il 17 febbraio 1971, che ha rimesso al Consiglio di presidenza l’adozione dei “regolamenti interni dell’Amministra-zione del Senato” e dei “provvedimenti relativi al personale (v. art.
12, comma 4, del Regolamento di cui al D.P.S. n. 9185 del 7 feb-braio 2001, nonché. Cass. S.U. n. 16267 del 2002);
c) per quanto riguarda la Corte costituzionale, nel secondo comma dell’art. 137 della Costituzione che si limita a precisare che con
“legge ordinaria” sono stabilite le “altre norme” necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte, mentre la previsione che “la Corte è competente in via esclusiva a giudicare dei ricorsi dei suoi dipendenti” è contenuta nel terzo comma dell’art. 14 della
legge (ordinaria) n. 87 del 1953, cui hanno fatto seguito il Regola-mento per i ricorsi in materia di impiego dell’8 aprile 1960 sosti-tuito da quello approvato il 16 dicembre 1999;
rilevato, in definitiva, che nei casi di autodichia ora esaminati:
il fondamento costituzionale è estremamente labile in quanto si ri-solve per il Senato e per la Camera nella espressa previsione di un po-tere regolamentare ( che peraltro appare volta, più che ad attribuire un potere non altrimenti spettante, a determinare la particolare mag-gioranza con la quale il regolamento deve essere approvato) e per la Corte costituzionale nell’affidamento alla legge ordinaria della deter-minazione delle “altre norme necessarie … per il suo funzionamento”
(che non è altro che la determinazione di un limite alla riserva di legge costituzionale di cui al primo comma dell’art. 137); mentre l’autodi-chia trova nei regolamenti la sua concreta disciplina e, per le Camere, anche la sua stessa previsione;
ritenuto, pertanto, che l’inidoneità a introdurre e disciplinare l’au-todichia (per le controversie dei dipendenti) del decreto del Presiden-te della Repubblica n. 81/N del 1996 non si può desumere dalla circo-stanza che la Carta costituzionale non ha previsto espressamente la ti-tolarità di un potere regolamentare, come invece è avvenuto per le Ca-mere (ma, per le considerazioni prima esposte, esclusivamente per de-terminarne la maggioranza richiesta per il suo esercizio), mentre per la Corte costituzionale l’autodichia è prevista dalla legge ordinaria cui l’art. 137 ha affidato l’adozione delle “norme necessarie per il funzio-namento”;
ritenuto, in definitiva, che l’attribuzione nella Costituzione al Pre-sidente della Repubblica di un potere regolamentare, in assenza di particolari esigenze (come, invece, per le Camere), sarebbe stata del tutto superflua, mentre la legge n. 1077 del 1948 deve interpretarsi come riconoscimento di un potere che costituisce una qualità essen-ziale ad un organo costituzionale e che, attese la incontestabile natu-ra di organo costituzionale del Presidente della Repubblica e la analo-ga esigenza di assicurare la piena indipendenza e autonomia di eser-cizio delle funzioni, l’autodichia in esame trova giustificazione nell’as-setto complessivo degli organi di rilevanza costituzionale;
ritenuto, sotto altro aspetto, che argomenti in favore della soluzio-ne prospettata possono trarsi anche dalla recente decisiosoluzio-ne della se-conda sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo del 28 aprile 2009 (ricorso Savino e altri) che, chiamata a decidere del possibile contrasto dell’autodichia della Camera dei deputati con l’art. 6/1 della Convenzione:
a) ha espressamente affermato che - “né l’art. 6/1 né nessun’altra di-sposizione della Convenzione obbliga gli Stati e le loro istituzioni a conformarsi ad un determinato ordinamento giudiziario” e che non era “in discussione il potere della Camera dei deputati italiana e di altri organi costituzionali di disporre di un ordinamento giudiziario interno e di regolamentare in modo autonomo la tutela giurisdizio-nale dei loro dipendenti”;
b) ha ravvisato una violazione della Convenzione, sotto il profilo della carenza della “imparzialità oggettiva” dell’organo giurisdizio-nale d’appello, perché composto interamente da membri dell’Uffi-cio di presidenza e dell’Uffi-cioè dell’organo competente a adottare i prin-cipali provvedimenti oggetto del giudizio, mentre la imparzialità e la terzietà non possono essere negate ai collegi di primo e secon-do grasecon-do previsti dal decreto presidenziale del 24 luglio 1996 che sono composti da magistrati della magistratura ordinaria, ammi-nistrativa e contabile designati dai presidenti dei rispettivi organi giurisdizionali;
ritenuto, in conclusione, che anche da tale decisione in ordine alla composizione degli organi deve desumersi la volontà in sede regola-mentare di modificare la precedente disciplina (in relazione alla quale si è formato l’orientamento giurisprudenziale prima richiamato) e la legittimità della istituzione di organi di giurisdizione domestica nell’e-sercizio di un potere regolamentare che, per le ragioni prima esposte, non può contestarsi al Presidente della Repubblica quale organo costi-tuzionale;
ne consegue la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudi-ce adito (cfr. Cass. n. 14085 del 2004);
P.Q.M.
chiede che le Sezioni unite della Corte di cassazione, in camera di consiglio, dichiarino il difetto di giurisdizione dell’adito giudice am-ministrativo, con le conseguenze di legge*.
*(R.G. n. 25596/2008, P.G. Antonio Martone. La Corte di cassazio-ne non si è ancora pronunciata)