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Diritto comunitario – disciplina dei rifiuti – legge naziona- naziona-le di interpretazione autentica – contrasto con il diritto

comuni-tario – procedura di infrazione presso l’Unione europea – neces-saria non applicazione della normativa interna

(Omissis) Al tempo dell’ordinanza (2001) era in vigore il decre-to “Ronchi” del 1997; non sembra dunque corretdecre-to applicare il D.M.

del 1990, superato e non richiamato dal medesimo decreto; in linea generale, anche se più favorevole al soggetto sanzionato, la norma-tiva successiva non dovrebbe trovare applicazione perché secondo la Suprema Corte (Sezioni Unite n. 890 del 1994), per le sanzioni amministrative, a differenza di quanto è stabilito per quelle penali dall’art. 2 c.p., vale il principio della irretroattività della legge anche se più favorevole all’autore della violazione e la conseguente appli-cazione, in ogni caso, della legge vigente al momento della violazio-ne; ma, in quanto la legge di interpretazione autentica del 2002 si differenzia dall’abrogazione proprio per la sua intrinseca efficacia retroattiva, il predetto principio non può trovare applicazione nel caso in esame: a causa dell’emanazione della legge interpretativa del 2002, l’art. 6 nella versione originale non è mai esistito nell’univer-so giuridico e quindi non può trovare applicazione, con la conse-guenza che stando alla menzionata disciplina nazionale, la sanzio-ne non avrebbe dovuto essere applicata e l’opposiziosanzio-ne dovrebbe es-sere accolta; il che dovrebbe avvenire anche in sede di cassazione, essendo la Corte è tenuta ad applicare lo ius superveniens ogni qual volta esso riguardi punti messi in discussione con il ricorso per cas-sazione.

La disciplina comunitaria dei rifiuti è contenuta innanzi tutto nella direttiva comunitaria 75/ 442 (e successive modificazioni ed integrazioni), che risulta trasposta nel diritto italiano con il D. Lgs..

n. 22 del 1997, ulteriormente modificato dal D. Lgs.. n. 389 del 1997 e poi dall’interpretazione autentica di cui al menzionato art. 14; indi dal T.U. ambiente 2006 corretto nel 2008; costituisce ormai ius re-ceptum che tutti gli organi dell’amministrazione degli stati aderenti alla U.E. sono tenuti a verificare la compatibilità delle disposizioni di recepimento interno con le direttive comunitarie e a disapplicare le prime qualora l’esito del confronto sia negativo, nel senso che in tal caso va applicata la direttiva e disapplicata (non applicata) la contrastante disciplina statale: tale il principio dettato dalla Corte europea a partire dalla causa n. 103 del 1988 (f.lli Costanzo / Comu-ne di Milano), dalla Suprema Corte (a partire dalla sent. n. 3458 del 1996) e dalla Corte cost. (sent. n. 389 del 1989), mentre nel famoso caso Francovich la Forte europea ha statuito che lo stato membro è tenuto addirittura a risarcire i danni provocati dalla mancata attua-zione di una direttiva.

Nel caso dei rifiuti, già con sentenza Niselli 11.11.2004 (resa nella causa c. 457/02), la Corte di Lussemburgo ha statuito che contrasta con la accennata direttiva del 1975 l’interpretazione autentica offerta

dalla normativa italiana del 2002, nella misura in cui sottrae alla qua-lifica di rifiuto un residuo di produzione o di consumo sol perché esso possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di produzione o di consumo, con la conseguenza che (secondo la Corte di Lussemburgo) i residui ferrosi devono essere considerati rifiuti fino a che non siano effettivamente riciclati in prodotti siderurgici; in altri termini, (ripe-tendo il principio stabilito dalla Corte) la nozione comunitaria di ri-fiuto non deve essere interpretata nel senso che essa escluderebbe l’insieme dei residui di produzione o di consumo che possano essere o sono riutilizzati in un ciclo di produzione o di consumo; tale sen-tenza vale soltanto inter partes, ma i giudici statali possono servirse-ne come precedente, salva la possibilità (o, trattandosi di organo di vertice come la Suprema Corte, l’obbligo) di adire la Corte Europea per prospettare nuovamente la pregiudiziale interpretativa ai sensi dell’art. 177 (ora 234) del Trattato UE; incurante di tutto ciò, subito dopo la predetta sentenza della Corte europea, lo Stato italiano (già soggetto ad un ricorso per inadempimento davanti alla Corte stessa) approvava una legge di delega (la legge n. 308 del 2004) per il riordi-no della disciplina ambientalistica, che (ai commi 25 e 26 dell’art. 1) sostanzialmente conferma la normativa interpretativa condannata dalla Corte; indi, ha mantenuto le distanze dal diritto comunitario prima con il Testo Unico dell’ambiente e poi con il correlativo decre-to correttivo del 2008.

La soluzione del contrasto risiede innanzitutto nella non applica-zione del diritto nazionale: infatti sembrerebbe ovvio che si debba di-sapplicare – melius non applicare – la divergente disciplina nazionale a favore di quella comunitaria; senonché – si afferma – tali regole val-gono soltanto per i rapporti verticali, non per quelli orizzontali; esse cioè possono essere invocate soltanto contro lo stato, nel senso che esso non può trarre beneficio dalla sua inadempienza alla direttiva, mentre nella specie l’inadempimento agli obblighi derivanti dalla di-rettiva ridonda a favore del soggetto sanzionato; ma é una tesi priva di senso perché qui non viene in rilievo il principio di autoresponsabilità, ma le regole che arbitrano il contrasto tra disciplina nazionale e disci-plina comunitaria; contrasto che nella specie è deliberato e voluto, come risulta dalla stessa vicenda: il legislatore nazionale prima si ade-gua alla direttiva, poi emana una disciplina divergente; interviene la Corte di Lussemburgo; ma, come se niente fosse, lo Stato italiano ri-badisce il proprio punto di vista: il contrasto è tanto frontale quanto consapevole!

In subordine, si segnala la necessità di sollevare questione di

legit-timità costituzionale, sulla scia di quanto già deciso dalla Suprema Corte penale con la sentenza n. 1414 del 2006, che non ebbe fortuna sol perché nel frattempo fu emanato il T.U. (Corte Costituzionale sent.

n. 458 del 2006); nella fattispecie invece il T.U. dell’ambiente non è ap-plicabile ratione temporis e quindi deve applicarsi la legge interpreta-tiva del 2002 (non il successivo Testo Unico); legge che contrasta con il diritto comunitario, come riconosciuto anche dalla Corte di cassa-zione penale; in particolare è seriamente sospetta la compatibilità della legge interpretativa con:

- l’art. 11 Cost. nella parte in cui stabilisce che lo stato italiano deve osservare le limitazioni di sovranità derivante dalla sua partecipa-zione alla comunità europea;

- l’art. 111 Cost. nella parte in cui, disponendo per mezzo di una legge interpretativa, e quindi retroattiva, l’applicazione ai giudizi in corso di una disposizione in contrasto con una direttiva comu-nitaria, viola i principi del giusto processo, alterando le condizio-ni di parità delle parti quali determinate dalla disciplina comucondizio-ni- comuni-taria recepita nel 1997 (da una parte lo Stato, quale ente dotato di potere sanzionatorio, e dall’altra il soggetto sanzionato);

- l’art. 117 Cost., nella parte in cui impone allo Stato di esercitare la potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordina-mento comunitario, divenendo le norme comunitarie norme inter-poste attraverso l’autorevole interpretazione autentica fornita in sede propria dalla Corte di Lussemburgo;

- il valore costituzionale (diverso dal principio) dell’ambiente (artt.

2, 9, 32, 41, 42, 43 e 44 Cost.), quale conformato (anche) dalla nor-mativa comunitaria;

Conclusioni: in via principale, applicando non la disciplina stata-le ma quella comunitaria, rigetto del ricorso; in subordine: accertata la rilevanza e la non manifesta fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale, sospendere il giudizio e trasmettere gli atti alla Corte Costituzionale, affinché statuisca se, ponendosi in contrasto con le direttive comunitarie di settore e con le decisioni della Corte di giustizia, l’art. 14 del D.L. 8.7.2002 n. 138, convertito con legge 8.8.2002, n. 178, violi gli artt. 11, 111 e 117 cost. nonché il valore co-stituzionale dell’ambiente (artt. 2, 9, 32, 41, 42, 43 e 44 Cost.), quale conformato anche dalla disciplina comunitaria*.

*(R.G. n. 2521/2005, udienza pubblica 16.6.2009, P.G. Rosario Giovanni Russo. La pronuncia della Corte non affronta i profili dedot-ti dalla Procura generale: Cass. sez. II, 16.6.2009, n. 23473)

17) Giurisdizione domestica (“autodichìa”) – Presidenza della