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Il regime delle attenuanti

LE REQUISITORIE PENALI

A) Diritto penale

1. Il regime delle attenuanti

A) Diritto penale

1. Il regime delle attenuanti

L’esame delle questioni poste dal regime delle attenuanti si è posto in due rilevanti occasioni.

Nella prima di queste è stato trattato il tema della rilevanza del-l’attenuante del risarcimento del danno (art. 62 n. 6 c.p.) in caso di reato continuato in quanto era stata proposta alle Sezioni Unite la questione se, con riferimento alla circostanza del risarcimento del danno ex art. 62 n. 6, si dovesse avere riguardo al danno provocato da ciascuno dei distinti reati riuniti in continuazione od invece al danno provocato complessivamente da tutti i reati. In proposito la Procura generale70 ha sostenuto che le considerazioni che in proposito si pos-sono fare, peraltro, hanno una valenza generale, con riferimento alle

70Proc. N. 1548/2008, ric, Chiodi, P.G. G. Palombarini.

diverse circostanze previste in relazione all’entità del danno patrimo-niale o al risarcimento del danno stesso. Le conclusioni debbono esse-re unitarie tenuto conto del fatto che il giudice ha tutti gli strumenti per valutare la condotta dell’imputato ai fini della determinazione sia della pena base, sia degli aumenti per i reati in continuazione. Del fatto che i danni prodotti dai singoli reati in continuazione siano stati o meno risarciti, o del fatto che sommandoli si raggiungerebbe un danno di particolare gravità, il giudice può tenere conto negli aumen-ti di pena disposaumen-ti per i singoli reaaumen-ti. Se si aumen-tiene presente questo, non si comprende perché il risarcimento del danno debba essere integrale laddove l’unificazione ex art. 81 c.p. è soltanto una finzione giuridica quoad poenam con la quale viene cioè stabilito un limite legale al cu-mulo materiale. L’ordinanza della Seconda Sezione accenna alle scar-ne argomentazioni che accompagnano spesso anche questa tesi, che sembrano ugualmente argomentazioni decisive. Dall’esame della giu-risprudenza delle S.U., in particolare Ronga del 1999, che sintetizza ed ulteriormente sviluppa i principi già posti da precedenti sentenze, emerge che il reato continuato non ha natura giuridica unitaria ma pluralistica. La tesi della unitarietà non ha sostegno normativo;

l’applicazione dell’istituto della continuazione è preordinata a garanti-re un trattamento favogaranti-revole al garanti-reo – e il principio del favor garanti-rei è ri-chiamato anche dalla Corte Costituzionale nelle pronunce che riguar-dano il reato continuato - con la conseguenza che eventuali conse-guenze sfavorevoli sono contra legem. Queste affermazioni condizio-nano la disciplina giuridica dei reati in continuazione anche per quel che concerne il regime delle circostanze.

Certo, come ricorda l’ordinanza di rimessione, a conclusioni di-verse sono giunte alcune sentenze. Peraltro, queste conclusioni sono in contrasto con i principi posti dalle Sezioni Unite citate, le quali, sva-lutata la rilevanza del problema della natura della continuazione, riba-discono a più riprese che “l’unificazione legislativa dei reati deve affer-marsi là dove vi sia una disposizione apposita in tal senso o dove la so-luzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non doven-do e non potendoven-do dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il reo è alla base della ratio, della logica, appunto, del reato conti-nuato”. Appaiono dunque convincenti quelle sentenze, le quali affer-mano che “il reato continuato... è considerato unitariamente dal legi-slatore per la presenza del vincolo dell’unica ideazione criminosa, che avvince tra loro le distinte ipotesi. Tale legame, però, non elimina l’au-tonoma configurazione dei singoli illeciti, che, pur confluendo in un medesimo contesto, presentano pur sempre l’individualità necessaria

per l’accertamento degli elementi costitutivi e delle circostanze speci-ficamente contestate e ritenute in sentenza con riferimento ad ogni de-litto. La presenza o l’esclusione della circostanza (aggravante o atte-nuante) incide sulla determinazione della pena. Innanzi tutto, le circo-stanze possono comportare l’indicazione di un reato in luogo di altro come più grave e, quindi, come reato base per il computo della pena complessiva. Operata quest’individuazione, soltanto le circostanze considerate applicabili in relazione al reato più grave devono essere valutate ai fini del calcolo concreto della pena. Le circostanze relative ai reati minori, detti satelliti, hanno rilievo unicamente per graduare la gravità dell’illecito e la quantità d’aumento, da apportare alla pena base. Ne deriva che, per applicare una circostanza attenuante, non è necessario che questa sia presente in ciascun delitto”. Dunque, per queste considerazioni e con riferimento a questo specifico motivo di ricorso, la sentenza impugnata dev’essere annullata con rinvio (men-tre nel resto veniva richiesta la dichiarazione di inammissibilità).71

b) In una seconda occasione le Sezioni Unite sono state chiamate, a seguito dell’ordinanza n. 43446 del 16 ottobre 2008 della seconda se-zione, a valutare il quesito “se in tema di applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6) c.p., (che, come è noto, attribuisce na-tura di diminuente al comportamento consistente “nell’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni”), l’avvenuto risarci-mento integrale del danno da parte di uno dei coimputati, determinando la conseguente estinzione dell’obbligazione risarcitoria, giovasse o meno anche agli altri coimputati”. Si trattava di una questione che investiva quella ulteriore circa la natura oggettiva ovvero soggettiva dell’atte-nuante in questione. Sul punto la Procura generale ha svolto le se-guenti considerazioni72: sul tema dell’individuazione della natura e della ratio dell’attenuante, si registra un contrasto nella giurispruden-za della Suprema Corte, valorizgiurispruden-zandosi in chiave “oggettivistica”, so-prattutto nelle pronunce più recenti, la esegesi della disposizione nor-mativa offerta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 133 del 1998 che riconosce apertamente la necessità di attribuire

all’attenuan-71Le SS. UU. hanno sul punto affermato il principio di diritto per il quale “nel caso di reato continuato, ai fini della applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 e delle attenuanti di cui all’art. 62 n. 4 e 6 c.p., il danno, per la determinazione della pena per il reato ritenuto più grave e dell’aumento di pena per i reati posti in continua-zione, deve essere valutato in relazione ad ogni singolo reato”.

72R.G. N. 4016/04, Andrea Pagani + 1, udienza 22 gennaio 2009, P.G. G. Palombarini.

te de qua natura “oggettiva” onde consentire una interpretazione conforme a Costituzione ed attualizzata alla luce del mutato quadro normativo – sociale conseguente all’incremento delle responsabilità da attività rischiose. Con la sentenza citata la Corte costituzionale ha evi-denziato come la giurisprudenza di legittimità avesse nel tempo muta-to orientamenmuta-to affermando l’esigenza di svincolare l’attenuante del risarcimento del danno dalla sua tradizionale collocazione nel novero delle attenuanti soggettive e di ritenerla tale solo quanto agli effetti, ai sensi dell’art. 70 cod. pen., ma non anche ai fini del suo contenuto, l’a-nalisi del quale dovrebbe invece indurre a qualificarla come essenzial-mente oggettiva. Secondo la Corte costituzionale, “a favore della qua-lificazione dell’attenuante in senso oggettivo, sotto l’aspetto contenuti-stico, depongono concordi argomenti testuali, logici e sistematici”. In effetti è vero che: a) dal punto di vista testuale, nessun elemento, nella formulazione legislativa, conduce a ritenere che il legislatore abbia as-sunto come fine dell’attenuante il ravvedimento del reo; b) dal punto di vista logico, il fatto che il risarcimento debba essere integrale e che non sia quindi ammessa una riparazione parziale è indice non solo della irrilevanza degli stati psicologici o dell’atteggiamento interiore del reo, ma del preminente risalto che si intende dare alla figura della persona offesa. E tuttavia a me pare che nel caso di specie non si possa intanto trascurare il fatto che già la Relazione ministeriale al Codice Rocco del 1930 definiva soggettiva la circostanza, fatto indicativo non solo di un’astratta intenzione di corretta qualificazione, ma anche di una precisa volontà del legislatore, essendo chiaro che le conseguenze ben possono divaricarsi a seconda della qualificazione adottata. Peral-tro, osservo sotto un altro profilo, se la circostanza in questione viene considerata di natura oggettiva e soggettiva soltanto quanto agli effet-ti, già per questo non può essere valutata a favore dell’agente (in que-sto caso il Pagani), per effetto della previsione di cui all’art. 59, n. 1, c.p., in quanto rientrerebbe nella definizione dell’art. 70, n. 2, che con-sidera circostanze soggettive, fra le altre, i rapporti fra il colpevole e l’offeso. Tali rapporti comprendono anche il risarcimento del danno prodotto dal primo al secondo? In realtà, a ben guardare, non pare che la sentenza 138/98 della Corte Costituzionale, che in definitiva defini-sce la circostanza di cui all’art. 62, n. 6, c.p. come attenuante essenzial-mente oggettiva e soggettiva solo relativaessenzial-mente agli effetti, possa mo-dificare nella sostanza il contenuto della decisione adottata in propo-sito dalla Corte d’appello di Roma. Quella sentenza, infatti, ha riguar-dato un caso nel quale il problema era costituito dalla rilevanza che ai fini dell’attenuante poteva o no avere il risarcimento del danno

opera-to dall’istituopera-to assicuraopera-tore. Orbene è evidente che un’intenzione posi-tiva del responsabile era comunque individuabile nel comportamento finalizzato, attraverso l’assunzione dell’onere del pagamento dei premi, ad assicurarsi il risultato del risarcimento dei danni eventual-mente prodotti in futuro con un comportamento colposo. Il soggetto, stipulando il contrattato di assicurazione, si è positivamente premuni-to in virtù dell’intenzione di mettersi in condizione di risarcire, ove l’e-sigenza dovesse manifestarsi. Del tutto diverso è, all’evidenza, il caso in cui uno solo dei correi provveda con le proprie sostanze a riparare interamente il danno, così determinando l’estinzione dell’obbligazio-ne; risarcitoria. Non a caso una sentenza della Prima Sezione penale, la n. 4177 del 2004, pure citata nell’ordinanza di rimessione, ha rite-nuto che allorquando solo uno dei correi abbia provveduto all’integra-le risarcimento, un altro concorrente che voglia usufruire dell’atte-nuante deve dimostrare la sua reale volontà di riparazione, se non nei confronti della parte lesa, attraverso il rimborso della propria quota percentuale al complice più diligente che ha provveduto. C’è una ra-gione in questo. E’ sicuramente riscontrabile un carattere di oggetti-vità, legato alla necessità imposta dalla legge che il risarcimento sia pieno: ma questo carattere sembra riguardare essenzialmente la per-sona offesa. Vanno tenuti distinti, a me pare, l’aspetto civilistico, per il quale tutti i corresponsabili sono tenuti al risarcimento del danno nei confronti della parte lesa con conseguenti possibilità di rivalsa inter-na, e quello delle valutazioni penali, con riferimento in particolare al riconoscimento di un’attenuante. Questa lettura della norma consente di superare il rilievo - che si porrebbe inevitabilmente per effetto del-l’estensione a tutti i correi di un’attenuante considerata a ogni effetto oggettiva - della sostanziale ingiustizia di un trattamento paritario quanto alla misura della pena fra chi ha riparato e chi, pur avendone la possibilità, non ha però avuto l’intenzione di provvedere in tal senso. Per queste considerazioni è stato conseguentemente richiesto il rigetto del ricorso del Pagani73.

73 Le Sezioni Unite hanno anch’esse ritenuto che non può farsi esclusivo riferi-mento alla sussistenza dell’evento, ma deve prevedersi una volontà di riparazione, ov-vero che l’intervento risarcitorio sia “comunque riferibile all’imputato”. Ciò compor-terà che nei reati colposi sarà sufficiente anche avere stipulato un’assicurazione o avere rispettato gli obblighi assicurativi per salvaguardare la copertura dei danni derivati dall’attività pericolosa; diversamente nei reati dolosi l’estensione dell’attenuante al col-pevole non può discendere dal semplice soddisfacimento dell’obbligazione risarcitoria ad opera del coobbligato solidale, ma occorrerà quella riferibilità soggettiva di cui sopra (Sez. Un., 11 febbraio 2009 (p.u. 22 gennaio 2009) n.5941).

2. L’aggravante speciale di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991 Con ordinanza del 1 luglio 2008, la quinta sezione penale aveva di-sposto la rimessione del ricorso alle Sezioni unite, sul rilievo della “esi-stenza di un risalente contrasto giurisprudenziale a proposito della circo-stanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991”. Secondo alcune pro-nunce della Corte la condizione per l’applicabilità di detta circostanza, costituita dal fatto che si tratti di delitti punibili con pena diversa dall’er-gastolo sarebbe mancata per il solo fatto che il delitto era astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo, a nulla rilevando che questa, di fatto, non fosse stata applicata; per altre pronunce la stessa condizione risulta-va soddisfatta quando, pur essendo astrattamente prevista, per il delitto del quale si veniva riconosciuti colpevoli, la pena dell’ergastolo, questa non fosse stata, di fatto, applicata, per effetto di circostanze attenuanti.

La Procura generale74ha sostenuto che: alla questione per la quale il presente ricorso è stato rimesso all’esame delle Sezioni Unite, a ca-gione del contrasto emerso nella giurisprudenza della suprema Corte, debba essere data risposta negativa, nel senso che l’astratta punibilità del reato con l’ergastolo non precluda la contestazione dell’aggravan-te in questione. In realtà il contrasto, effettivamendell’aggravan-te emerso tra il 2002 ed il 2003 allorché ad una prima decisione conforme all’orientamento qui sostenuto (Sez. I, 10 gennaio 2002, Ferraioli, m. 221443, per la quale il termine “punibile” va inteso come punibilità in concreto), ne seguirono due di segno opposto (Sez. I, 14 maggio 2002, Erra, m.

222119 e Sez. I, 7 marzo 2003, Benigno, m. 224084), è da ritenere at-tualmente superato. Infatti il problema è stato nuovamente affrontato nel 2006 con un’articolata ed approfondita decisione, la quale ha affer-mato che “l’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, nel prevedere che la pena sia aumentata da un terzo alla metà per i delitti punibili con pena diver-sa dall’ergastolo, non intende escludere l’applicabilità di esdiver-sa ai reati puniti con l’ergastolo, ma semplicemente quantificare l’aumento di pena applicabile in presenza della suddetta aggravante; sicché essa può essere contestata anche nel caso di omicidio premeditato, anche se la contestazione svolgerà i suoi effetti solo nel caso di esclusione della premeditazione, conseguendo invece da tale circostanza aggra-vante l’ergastolo” (Sez. I, 17 gennaio 2006, La Fratta, m. 234054). Con tale decisione la Corte ha ribadito un orientamento (sent. Ferraioli) dal quale non si è più discostata (v., da ultimo, Sez. II, 13 marzo 2008, Angelino, m. 239759; Sez. I, 4 marzo 2008, Abbrescia, m. 240115). La

74P.G. G. Ciani, proc. 4463/2008.

Procura ritiene che l’orientamento prevalente debba essere avallato dalle Sezioni Unite per le molteplici ragioni letterali e sistematiche in-dicate nelle sentenze riconducibili all’orientamento in esame ben noto; d’altro canto la sentenza impugnata non adduce argomenti che non siano già stati valutati e criticati dalla giurisprudenza prevalente.

Ci si limiterà a ribadirne alcuni che appaiono decisivi: ove fosse disat-tesa l’ermeneusi proposta potrebbe pervenirsi all’assurda conclusione – anche in considerazione della particolare disciplina prevista dal legi-slatore per l’aggravante in questione –: a) di punire con una pena più grave un reato meno grave; b) di rendere inoperante nei confronti di reati particolarmente gravi perché punibili con l’ergastolo, in astratto suscettibili di essere aggravati ai sensi del citato art. 7, il particolare regime processuale per essi previsto dal legislatore (ad esempio, le condizioni per disporre le intercettazioni di conversazioni o comuni-cazioni, la proroga delle indagini preliminari, la presunzione di ade-guatezza della sola custodia cautelare), applicabile, invece, a reati meno gravi per i quali l’aggravante è contestata; c) consentire all’auto-re di quello più grave di avvalersi di benefici penitenziari di cui non può godere l’autore del delitto meno grave75.