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Giurisdizione – accordo quadro con clausola di proroga della giurisdizione di Stato estero – singoli contratti attuativi

del-l’accordo – collegamento negoziale – irrilevanza – interpretazione restrittiva del Regolamento CE n. 44/2001, alla luce della sprudenza comunitaria – conseguente affermazione della giuri-sdizione nazionale

(In fatto) La C.M. Uk & co. e la R.P. S.a.S. in data 13 ottobre 2005 stipulavano un accordo quadro, denominato Confidentiality agree-ment, al fine di disciplinare la loro collaborazione, impegnandosi, nel corso della stessa, a non divulgare a terzi informazioni attinenti a ban-che dati, materiali, prodotti, tecnologie, descrizioni, software, pro-grammi informatici, nomi di società e quant’altro potesse considerar-si informazione di proprietà della C.M..

Inoltre, detto accordo stabiliva che sarebbe stato disciplinato esclu-sivamente dalla legge inglese e che ogni disputa nascente da esso si sa-rebbe dovuta portare esclusivamente di fronte alla competente Corte di Londra, a meno che non ci fosse una espressa previsione contraria.

Contestualmente alla stipula del Confidentiality agreement, con or-dine di lavoro del 13 ottobre 2005, la C.M. richiedeva alla R.P. due de-signers per una collaborazione tecnica, nel periodo dal 17 ottobre 2005 al 15 dicembre 2005, presso la M.S. AG & CO. KG in Graz (Austria); il medesimo ordine veniva più volte rinnovato per iscritto e, infine, ver-balmente, sicché la collaborazione tra le parti proseguiva sino al 17 marzo 2007.

Con posta telematica del 22 marzo 2007 e con lettera del successi-vo 10 aprile, la C.M. contestava alla R.P. la violazione dell’accordo qua-dro, in quanto i designers avevano interrotto la loro attività, abbando-nando, senza alcun preavviso, la sede austriaca della M.S., ed aveva-no, altresì, violato espressamente la regola di confidenzialità, in quan-to avevano preso contatti diretti con i tecnici della M.S., ciò che era espressamente vietato non dai singoli working orders (ordini di lavoro) ma dal più generale accordo quadro (all’art. 2, comma 2); la contesta-zione dell’inadempimento, con conseguenti danni, veniva ribadita dalla C.M. con missiva del 12 giugno 2007.

Dal canto suo, la R.P. lamentava il mancato pagamento dei com-pensi asseritamente maturati, per i quali otteneva dall’adito Tribunale di Pinerolo decreto ingiuntivo per la somma di Euro 48.865,50, che notificava alla C.M. il 6 settembre 2007, la quale, a sua volta, propone-va opposizione, eccependo preliminarmente la carenza di giurisdizio-ne del giudice italiano, e solo in subordigiurisdizio-ne domanda di merito.

Nelle more della decisione dell’adito Tribunale di Pinerolo, quale giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, la C.M. ha proposto re-golamento preventivo di giurisdizione, chiedendo che venga dichiara-to il difetdichiara-to di giurisdizione del giudice italiano in favore della giuri-sdizione del giudice inglese o, in subordine, di quello austriaco.

Nel dedurre l’insussistenza della giurisdizione del giudice italiano, la ricorrente società – rammentando l’esistenza delle clausole sulla di-sciplina dell’accordo in base alla legge inglese e sulla competenza del foro inglese per qualsiasi controversia nascente dal medesimo accor-do – sostiene, anzitutto, che detto Confidentiality agreement accor-dovrebbe qualificarsi come accordo quadro, da reputarsi “come fonte di ogni altro rapporto contrattuale” tra le parti, oppure, gradatamente, “in virtù del principio del collegamento negoziale”, dovrebbe ritenersi che

“il Confidentiality agreement e la serie di Working orders diano vita ad

un unico rapporto contrattuale, e che, in ogni caso, le dette clausole siano direttamente ed immediatamente applicabili a tutte le collabo-razioni poste in essere in forza del Confidentiality agreement.

Per effetto dell’art. 23 del Regolamento CE n. 44/01, sulla compe-tenza esclusiva del giudice cui la stessa sia stata attribuita in forza di clausola iscritta, la competenza, quindi apparterebbe al foro inglese.

Nel ricorso si adduce, altresì, che il difetto di giurisdizione italia-na sussisterebbe comunque – anche a prescindere dalla applicabilità o meno delle citate clausole contrattuali – in base all’art. 5, comma 1 let-tera a) del Regolamento CE 44/01, il quale, in controversie in materia contrattuale tra soggetti appartenenti a Stati diversi, attribuisce la competenza al “giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giu-dizio è stata o deve essere eseguita”, tuttavia precisando, alla lettera b) del medesimo comma, che “ai fini dell’applicazione della presente di-sposizione e salvo diversa convenzione, il luogo di esecuzione dell’ob-bligazione dedotta in giudizio è: (…) nel caso della prestazione di ser-vizi il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i serser-vizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto”.

E a tal riguardo, la ricorrente osserva che, nel caso di specie, “detti servizi (prestazione di designers) non sono certamente stati resi in Ita-lia, ma, come è pacifico tra le parti … in Austria”. Sicché, la giurisdi-zione dovrebbe spettare al “giudice del luogo con cui il contratto ha avuto un più stretto collegamento, che per certo non è l’Italia” – come sosterrebbe la controparte (adducendo che detto collegamento derive-rebbe dall’esistenza in Italia della amministrazione centrale della so-cietà ricorrente) – “bensì l’Inghilterra, ovvero l’Austria, Paese nel quale erano “consegnate”, cioè rese, le prestazioni oggetto del contratto”.

In sostanza, la ricorrente afferma che l’interpretazione della norma di diritto comunitario dovrebbe essere nel senso dell’irrilevan-za del luogo di pagamento del prezzo, assumendo esclusivo rilievo il luogo di esecuzione della prestazione caratteristica del contratto, che, nel caso all’esame, sarebbe consistita “nella dislocazione di collabora-tori al fine dell’espletamento di una ben precisa attività”.

Sempre a sostegno delle proprie ragioni, la C.M. esclude, inoltre, che possano trovare applicazione alla fattispecie sia l’art. 3 della legge n. 218 del 1995 – che attribuisce la giurisdizione al giudice italiano in controversia nella quale il convenuto sia domiciliato o residente in Ita-lia o quivi abbia un rappresentante autorizzato a stare in giudizio, ai sensi dell’art. 77 cod. prov. civ. o negli altri casi previsti dalla legge – giacché essa società, opponente a decreto ingiuntivo e, dunque, rive-stente la posizione di convenuto sostanziale, non avrebbe né il

domi-cilio, né la residenza in Italia; sia l’art. 4 della stessa legge n. 218, posto che detta norma prevede la sussistenza della giurisdizione italiana sol-tanto se le parti l’abbiano convenzionalmente accettata e tale accetta-zione risulti provata per iscritto, mentre nella specie “le parti in causa hanno disposto l’esatto contrario, attribuendo, come già detto, la riso-luzione delle eventuali controversie al foro londinese”.

La controricorrente R.P. s.a.s., puntualizza, in fatto, che alla ri-chiesta di C.M. di utilizzo della collaborazione di due designers presso la cliente M.S., con sede in Graz, avvenuta con ordine di lavoro del 13 ottobre 2005, veniva allegata il Confidentiality agreement di pari data,

“che, come espressamente stabilito all’art. 4.1, mirava a regolare esclu-sivamente gli obblighi di riservatezza tra le parti”.

All’insorgenza di contrasti tra le parti, nel marzo 2007, su “que-stioni non tecniche tra i dipendenti della R.P. impegnati in Graz e C.M.”, quest’ultima contestava alla prima l’interruzione del servizio e la violazione dell’accordo di riservatezza, avanzando così richieste ri-sarcitorie, ma riconoscendo comunque un debito, sulla base di talune fatture, pari ad euro 48.865,50, per il cui pagamento essa R.P. ottene-va dal Tribunale di Pinerolo decreto ingiuntivo.

(omissis) Sempre in via pregiudiziale, viene eccepita l’improponi-bilità del regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi dell’art. 41 cod. proc. civ., per effetto dell’abrogazione dell’art. 37, secondo comma, cod. proc. civ. da parte dell’art. 73 della legge n. 218 del 1995, per cui attualmente la esaustiva disciplina del difetto di giurisdizione del giudice italiano in ragione dell’estraneità della controversia all’or-dinamento statale è soltanto quella recata all’art. 11 della predetta legge, senza più “alcuno spazio operativo” per lo strumento del rego-lamento di giurisdizione.

Subordinatamente, la R.P. s.a.s. chiede affermarsi la giurisdizione del giudice italiano nella presente controversia. La controricorrente pre-cisa anzitutto che l’oggetto del giudizio introdotto con ricorso per decre-to ingiuntivo sarebbe “la richiesta di pagamendecre-to del corrispettivo per il lavoro prestato dai dipendenti di R.P. (petitum) sulla base dei rapporti sorti dai singoli Working orders (causa petendi) risultando pertanto estraneo alla causa introdotta dalla scrivente il rapporto tra le imprese derivante dall’accordo di riservatezza”. In ogni caso, viene contestato l’assunto di controparte per cui la clausola di proroga della giurisdizio-ne contenuta giurisdizio-nell’art. 4.4 del Confidentiality agreement debba estendersi, per l’unicità del contratto o per il collegamento negoziale, ai singoli rap-porti sorti con i Working orders, giacché detta clausola riguarderebbe esclusivamente il contratto concernente la riservatezza e non

sussiste-rebbe alcuna unicità tra questo e la serie dei Working orders, né alcun collegamento negoziale. Sicché, viene osservato ancora nel controricor-so, in assenza di proroga espressa della giurisdizione ai sensi dell’art. 23 del Reg. CE 44/01, occorrerebbe fare riferimento all’art. 2 del medesimo Regolamento, che stabilisce come criterio generale di giurisdizione il domicilio del convenuto, là dove poi, nella specie, l’individuazione di detto domicilio sarebbe fornita dall’art. 60 dello stesso Reg. CE, per cui dovrebbe reputarsi, in forza di determinate circostanze (allegate dalla controricorrente) che la C.M., “pure presentando la sua sede statuaria in Inghilterra, abbia la sua amministrazione centrale in Italia in quanto co-stituisce una società fittizia creata e amministrata da L.B.G., ammini-stratore della E.G.S. S.a.s., società, quest’ultima, italiana, definita dalla stessa C.M. intermediaria nei rapporti tra C.M. e M.S..

Ad avviso della R.P., non troverebbe poi applicazione al caso di spe-cie l’art. 5, n. 1, lett. B) del Reg. CE 44/01, giacché i rapporti derivanti dai Working orders non sarebbero qualificabili come contratti di appal-to di servizi, avendo essa società provveduappal-to soltanappal-to alla “dislocazione di collaboratori”. Ove poi si ritenesse che i rapporti derivanti dai Working orders possano qualificarsi come prestazione di servizi, essi si sostanzierebbero in una attività di consulenza, per cui la questione di giurisdizione andrebbe “definita non già in funzione del luogo della prestazione del servizio, bensì in funzione del luogo in cui tale obbliga-zione era esigibile, individuato applicando la legge del paese con il quale il contratto presenta il collegamento più stretto ex art. 4 Conven-zione di Roma del 19 giugno 1980” e, dunque, al domicilio della R.P.

con conseguente sussistenza della giurisdizione italiana.

La controricorrente sostiene, quindi, l’applicabilità alla presente controversia dell’art. 5, n. 1, lett. A) del Reg. CE 44/01. Ne conseguireb-be, in definitiva, l’operatività (in forza del rinvio da parte dell’art. 57 della legge n. 218 del 1995) dell’art. 4 della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, resa esecutiva con la legge 18 dicembre 1984 n. 975, per cui andrebbe riconosciuta la giurisdizione del giudice italiano, giacché la prestazione caratteristica è quella facente capo a R.P., il rap-porto ha il collegamento più stretto con l’Italia, alla cui legge va fatto riferimento per stabilire quale è il luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio – il pagamento di una determinata somma di denaro – deve essere eseguita, cioè, a norma dell’art. 1182, comma 3, c.c., il domici-lio del creditore al tempo della scadenza.

Da ultimo, la R.P. sostiene che la giurisdizione italiana sarebbe sussistente in relazione alla domanda della C.M. di rigetto del decreto ingiuntivo opposto, in quanto la proposizione di difese di merito

com-porterebbe accettazione tacita della giurisdizione del giudice italiano, salvo che non siano espressamente subordinate al mancato accogli-mento dell’eccezione di difetto di giurisdizione di detto giudice.

(In diritto) (omissis) Il problema del riparto di giurisdizione viene prospettato sotto diversi profili, essendo, peraltro, incontroverso che i normali criteri in tema di riparto della giurisdizione trovano applica-zione anche nel giudizio di opposiapplica-zione a decreto ingiuntivo (arg. ex S.U. 2009/3059).

Anzitutto la ricorrente sostiene che il Confidentiality agreement stipulato il 13 ottobre 2005 – e contenente una esplicita clausola at-tributiva della competenza al foro inglese – costituiva un accordo quadro da reputarsi come fonte di ogni altro rapporto contrattuale inter partes, e quindi, in virtù del principio del collegamento negozia-le, a tutte le conseguenti collaborazioni poste in essere, fra cui i Working orders, oggetto della odierna controversia. Di contro, la R.P.

deduce che la predetta clausola attributiva della competenza riguar-derebbe soltanto il Confidentiality agreement, concernente unicamen-te la riservaunicamen-tezza dei loro rapporti, dovendosi escludere qualsiasi unicità tra questo e i Working orders e, comunque, qualsiasi collega-mento negoziale.

A tal proposito occorre precisare che le parti hanno stipulato in data 13 ottobre 2005 un “accordo sulla riservatezza avente ad oggetto le informazioni confidenziali, includenti i dati, i prodotti, la tecnologia, i programmi di computer, schede tecniche, annuali, software, nomi di agende e altre informazioni divulgate o presentate oralmente…”.

Entrambe le parti si obbligavano a mantenere segrete le infor-mazioni riservate, ad applicare tale obbligo a tutti i dipendenti e i rappresentanti dell’azienda partner indifferentemente dal tipo di cooperazione, a restituire la documentazione dopo il termine della cooperazione.

La R.P. si impegnava, inoltre, ad utilizzare le informazioni confi-denziali solo per lo scopo del business con la C. M. e, per due anni dalla scadenza del contratto, a non stabilire alcuna diretta o indiretta relazione o collaborazione professionale con alcuna compagnia e a non lavorare direttamente o indirettamente in alcun progetto divulga-to al partner da C.M. all’interno della struttura dell’accordo.

Una ulteriore clausola prevedeva che il contratto in oggetto (che per espressa dicitura governava “tutta la riservatezza fra le parti”) sa-rebbe stato disciplinato esclusivamente dalla legge del Regno Unito ed ogni controversia sorta dallo stesso contratto sarebbe stato definito dalla competente Corte di Londra.

Contestualmente alla stipula del predetto contratto la C.M. richie-deva alla R.P. due designers, affinché gli stessi prestassero una propria collaborazione tecnica nel periodo dal 17/10/2005 al 15/12/2005 pres-so la M.S. AG in Graz (Austria).

Tale ordine veniva rinnovato per iscritto e da ultimo verbalmente e la collaborazione cessava, a dire della C.M. per inadempienza della controparte, giacché i designers avevano ex abrupto interrotto la loro attività ed, inoltre, in violazione del Confidentiality agreement avevano preso contatti diretti con i responsabili della M.S..

Premesso che è ormai principio consolidato della giurisprudenza comunitaria che l’interpretazione della clausola attributiva di compe-tenza, al fine di determinare le controversie che rientrano nel suo campo di applicazione, spetta al giudice nazionale dinanzi al quale essa è invocata, ove si ritenesse di accedere alla tesi della parte ricor-rente riguardo alla unitarietà del rapporto giuridico derivante dalla c.d. convenzione di riservatezza e dai singoli ordini di lavoro, la pro-roga della giurisdizione espressamente prevista in una clausola della prima sarebbe inconfutabile, in forza dell’art. 23 del regolamento co-munitario n. 44/2001 e dell’art. 4 della legge 1995 n. 218 (cfr. S. U. 2007 n. 4634). Sennonché tale conclusione appare opinabile.

Va, in proposito, ricordato che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (Corte Giust. 14/12/1976, n.

24/76) e delle Sezioni Unite (sent. 2007 n. 13894) le clausole di proro-ga della competenza giurisdizionale vanno interpretate restrittivamen-te e vanno distinrestrittivamen-te dall’accordo che è alla base del rapporto cui la clau-sola accede. Nel caso di specie, appare dubbia la asserita unicità del rapporto processuale, ove si consideri che il Confidentiality agreement non contiene alcun riferimento specifico al contenuto delle prestazio-ni che la R.P. avrebbe dovuto svolgere; nel contempo i Working orders, a loro volta, non contenevano alcun espresso richiamo all’“accordo confidenziale”.

Quanto poi all’asserito collegamento contrattuale, anche a volerlo ritenere sussistente – il collegamento funzionale presuppone che i di-stinti negozi vengano concepiti e voluti come avvinti teologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza dando luogo ad un unico re-golamento di interessi, che assume una propria diversa rilevanza cau-sale (Cass. 2007 n. 9447; 2007 n. 7524) il che nel caso in esame è obiet-tivamente opinabile – lo stesso non comporterebbe effetti sulla com-petenza giurisdizionale, in quanto, come più volte ribadito dalle Sezio-ni USezio-nite (2007 n. 13894; 2006 n. 2598; 2001 n. 5371; 1998 n. 7398), gli effetti del collegamento non investono la giurisdizione.

Tale conclusione trova indiretta conferma anche nel regolamento comunitario n. 44/2001, giacché, dal combinato disposto degli artt. 23, 6 e 7 sembra potersi evincere che il giudice prorogato può conoscere delle questioni connesse alla domanda principale se sussistono, nel-l’ambito delle stesse parti dell’accordo di proroga e del suo oggetto, le condizioni di connessione richieste dagli artt. 6 e 7 del regolamento (che non menzionano ipotesi di collegamento negoziale).

La parte controricorrente sostiene che, essendo pacifico che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il creditore assume la po-sizione sostanziale di attore e l’opponente di convenuto (Cass. 2007 n.

21141), una serie di circostanze fattuali, dedotte in controricorso, di-mostrerebbero che la C.M. avrebbe in effetti la sua amministrazione centrale in Italia. Tale argomentazione non appare conferente, sotto molteplici aspetti.

Le Sezioni Unite (2006 n. 4894) hanno affermato, che, ai fini della decisione sul regolamento di giurisdizione, l’apprezzamento affidato alla Corte, col relativo potere di qualificazione giuridica, deve essere esercitato con riferimento agli elementi dedotti e allegati dalle parti, anche se ovviamente non ancora accertati dal giudice di merito. Nella specie, nel giudizio di merito la questione non è stata mai neppur pro-spettata, tanto che tutti gli atti, dal ricorso per decreto ingiuntivo a quelli successivi, sono stati sempre notificati alla “C.M. UK & co; in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in Londra

…….(indirizzo risultante anche dal sito internet).

In secondo luogo, l’art. 60 del regolamento n. 44/2001 indica, come domicilio della società, in primo luogo la sede statutaria, e quin-di la sua amministrazione centrale oppure il suo centro quin-di attività principale. Per quanto riguarda il Regno Unito per “sede statutaria si intende il registered office”.

Occorre rilevare che nel caso della società europea istituita per ef-fetto del regolamento CE n. 2157/2001 la possibilità di più alternative viene a ridursi notevolmente in quanto l’art. 7 dispone che “la sede so-ciale della SE deve essere situata … nello stesso Stato membro del-l’amministrazione centrale”. Il regolamento n. 1346/2000, in materia di insolvenza stabilisce che il centro degli interessi principali di so-cietà e persone giuridiche si presume che “sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria”. Esigenze di armonizzazione della normativa comunitaria indurrebbero, quindi, ad assegnare al criterio giuridico di sede statutaria, indicato nell’art. 60 lett. a, analo-ga valenza presuntiva della sussistenza, “salvo diversa prova contra-ria” degli altri due legami “di fatto” menzionati. Ai fini di tale prova

contraria il giudice adito dovrà seguire le indicazioni offerte dal dirit-to applicabile secondo le proprie norme di conflitdirit-to (art. 59 reg. n.

44/2001), e cioè fare riferimento all’art. 46 del codice civile.

Orbene, quand’anche in ipotesi si ritenesse ammissibile la produ-zione documentale avvenuta “ex novo in questa sede (le Sezioni unite – dec. 2001 n. 10089 – hanno affermato che la Corte di cassazione, pur essendo in relazione alla decisione sulle questioni di giurisdizione giu-dice anche del “fatto”, non potrebbe mai svolgere attività istruttoria né, comunque, fondare il proprio convincimento su circostanze diver-se da quelle acquisite nel processo nelle pregresdiver-se fasi di merito) la prova contraria che si pretende aver fornito non risulta obiettivamen-te idonea a vincere la presunzione di coincidenza fra sede legale e sede effettiva, sancita dall’art. 46 cit.

La giurisprudenza della Suprema Corte, ribadendo che la sede ef-fettiva è il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività ammi-nistrative e di direzione dell’ente (Cass. 2004/7037), ha escluso che valga ad inficiare il principio di equiparazione tra sede effettiva e sede legale il fatto che talune attività sociali risultino decentrate o che vi sia altro luogo utilizzato come recapito per ragioni organizzative (Cass.

88/5359; 85/2341) o nel quale si trovi una persona che genericamente curi gli interessi della società stessa o sia preposta ad uffici di rappre-sentanza, dipendenze o stabilimenti (Cass. 88/3910), situazioni tutte queste sostanzialmente coincidenti con quelle invocate dalla controri-corrente a sostegno del proprio assunto.

Per quanto riguarda in particolare, il regolamento CE, la Corte di cassazione (S.U. 2006 n. 10312) ha affermato che ai fini del riparto di giurisdizione non è possibile utilizzare come valido criterio di attra-zione la filiale di una società, pur quando vi sia un rappresentante le-gale munito di procura generale.

Resta, quindi, da esaminare l’ulteriore criterio di collegamento in-vocato dalla parte ricorrente, quello previsto dall’art. 5 reg. n. 44/2001, che prevede come competenza speciale il luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o doveva essere eseguita, dovendosi inten-dersi come tale, nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato

Resta, quindi, da esaminare l’ulteriore criterio di collegamento in-vocato dalla parte ricorrente, quello previsto dall’art. 5 reg. n. 44/2001, che prevede come competenza speciale il luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o doveva essere eseguita, dovendosi inten-dersi come tale, nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato