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Criteri di scelta

Le misure cautelar

C) Criteri di scelta

Il secondo comma dell’art. 19 c.p.p.m. fissa i criteri che il giudice deve seguire al momento della scelta della misura cautelare.

L’articolo fa espresso richiamo alla norma 275 c.p.p., fatta eccezione per il terzo comma149, secondo periodo, di cui vieta

l’applicazione, ma aggiunge il criteri secondo la quale il giudice al momento della scelta deve tenere conto dell’esigenza di non interrompere i processi educativi in atto.

La ratio di tale previsione è quella di evitare che la misura procuri al minorenne danni pedagogici non correlati all’esigenza cautelare, potendosi ritenere che i processi educativi in atto, rilevanti ai sensi dell’art. 19, comma 2 c.p.p.m. consistano in situazioni evolutive consolidate e non occasionali che contribuiscano a formare la personalit{ del minore, a costruire l’autostima, favorendo l’integrazione sociale o rafforzando il senso dei valori.150

In tal modo il legislatore fa rifluire nel sistema i tradizionali principi codicistici di adeguatezza, proporzionalità e gradualità. Bisogna notare come la locuzione “in atto” lascia intendere che deve trattarsi di situazioni educative “reali, verificabili, affidabili e non solamente potenziali: spesso vengono prospettate frequenze scolastiche o attività lavorative improbabili o, queste ultime,

149 Si tratta dell’ obbligatorietà della custodia in carcere per reati in tema di

criminalità organizzata, stupefacenti, terrorismo, violenza sessuale.

150

F. Palomba, Il sistema del processo penale minorile, terza ed., Giuffrè ed., 2002, pag. 298.

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inadatte all’età del ragazzo; emergono datori di lavoro del tutto inadeguati”151.

La Cassazione152 ha precisato che la disposizione di cui all’art. 19

c.p.p.m., nella parte in cui prevede l’esigenza di non interrompere i processi educativi in atto e l’affidamento ai servizi minorili quando è disposta una misura cautelare, non va letta nel senso che la misura debba essere preceduta da detti accertamenti, bensì che l’attivit{ di assistenza e controllo dei servizi sociali debba essere disposta una volta emessa la misura cautelare.

Secondo parte della giurisprudenza nei processi educativi non rientrerebbero quello dell’istruzione scolastica, invece vi rientrerebbero “gli specifici trattamenti di terapia o di socializzazione ai quali il minorenne è assoggettato per risolvere situazioni di disturbo psichico o di disfunzione del processo

evolutivo”153; tale precisazione sminuirebbe la portata dei processi

educativi riducendoli a meri trattamenti nei confronti di minorenni in difficoltà.

A sostegno di tale tesi con la sentenza del 07-4-06 la Cassazione ha valutato la frequenza di un istituto scolastico come processo evolutivo in atto idoneo, se non occasionale, alla formazione della personalità del minorenne.

La continuit{ educativa secondo l’art. 19, comma 2 c.p.p.m. opera come criterio di scelta, nonostante studiato anche come presupposto per l’adozione di un qualsiasi provvedimento cautelare.

Il giudice ha il dovere di accertare la sussistenza di processi educativi, acquisendo le informazioni inerenti la personalità, il contesto familiare e di vita del minore di cui all’art. 9 c.p.p.m., può

151 S. Di Nuovo, G. Grasso, Diritto e procedura penale minorile, seconda ed, Giuffrè

ed. , Milano, 2005, pag. 438.

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Sez. III pen, n. 573 del 9-2-1998.

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astenersi soltanto se il pubblico ministero abbia trasmesso con il fascicolo cautelare, anche le informazioni utili e sufficienti a verificare l’attualit{ dei percorsi educativi.

Posto che all’organo delle cautele è imposto un rigoroso e complesso onere motivazionale che coinvolge anche i criteri di scelta adottati nel rapportare le esigenze cautelari riscontrate in concreto alla specifica idoneità della misura applicata, il difetto di accertamento sulla continuità educativa si tradurrebbe in un vizio di motivazione dell’ordinanza cautelare e di conseguenza in una nullit{ del provvedimento per violazione dell’art. 125, comma 3 c.p.p.

Il rinvio all’art. 275 c.p.p. determina l’operativit{ dei principi di adeguatezza di soddisfare le esigenze nel caso concreto, di proporzionalità in base alle gravità del fatto e alla pena più adatta da poter irrogare e infine di gradualità alla custodia cautelare a cui si ricorre tutte le volte che le altre misure meno restrittive appaiano inadeguate.

In riferimento al principio di adeguatezza, è necessario sottolineare che al processo minorile trova applicazione il comma 1-bis dell’art. 275, inserito dalla l.128/2001, che disciplina la modalit{ di come il giudice debba condurre l’esame dei pericula libertatis nel momento della scelta di un provvedimento cautelare, contestualmente alla sentenza di condanna, mentre non si applicherebbe ciò che è disciplinato dal comma 2-ter dell’art. 275 c.p.p.

La disposizione prevede la possibilit{ dell’applicazione di una misura cautelare personale obbligatoria d’ufficio, nel caso di condanna in appello, quando al termine dell’esame condotto a norma dell’art. 275, comma 1-bis risulti necessaria l’esigenza cautelare e la condanna per uno dei delitti di cui all’art. 380, comma 1 c.p.p.

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Il principio di proporzionalità appare rafforzato dal comma 2-bis dell’art. 275 c.p.p., che in seguito all’intervento del d. l. 146/2013 , con modifica nella l. 10/2014, vieta il ricorso alla misura in carcere e agli arresti domiciliari quando il giudice ritenga possa essere concessa con la condanna la sospensione condizionale della pena; oltretutto se all’esito del processo il giudice non valuti che la pena disposta con sentenza di condanna non supererà i tre anni di reclusione, la sola misura cautelare in carcere non può essere applicata, perché tale esito apre la strada alle misure alternative alla detenzione.

Tale divieto non opera per i delitti di cui all’art. 4-bis ord. Pen.154 e

quando riscontrata l’inadeguatezza di ogni altra misure, gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza di uno dei luoghi di esecuzioni previsti all’art. 284, comma 1 c.p.p..

Si sostiene che per il loro carattere di favor libertatis i divieti contenuti nella disposizione sarebbero applicabili anche al rito minorile155, nonostante sia però necessario fissare alcune

precisazioni.

La prima precisazione riguarda il riferimento che la prima parte del comma 2-bis dell’art. 275 c.p.p. fa riguardo agli arresti domiciliari; tale riferimento non dovrebbe autorizzare l’estensione del divieto alla prognosi di sospensione condizionale della pena anche alle misure di permanenza in casa e del collocamento in comunità, in quanto il minore viene considerato in stato di custodia cautelare ai soli fini della durata massima della misura e

154 Si fa riferimento alle fattispecie di incendio boschivo (art. 423-bis c.p.), atti

persecutori (art. 612-bis c.p.), maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), furto in abitazione e con strappo ( art. 572 c.p.).

155

Su tale punto si è espressa la Cass. Con la Sent. 3-11-95 nel procedimento penale 96, 821.

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del calcolo della pena da scontare e non invece a tutti gli effetti come accade per gli arresti domiciliari156.

Tesi contraria157 ritiene che nelle ipotesi di permanenza in casa e

collocamento in comunità il decisivo e rilevante carattere della limitazione della liber{ personale giustifica l’applicazione dell’art. 275, comma 2-bis, c.p.p.158

Ulteriore precisazione è necessaria circa la puntualizzazione dell’elenco delle fattispecie che consentirebbero il ricorso alla misura custodiale più grave, in presenza di una prognosi di condanna che non superi i tre anni di reclusione; tale previsione va rapportata ai più elevati limiti di pena previsti per la misure detentiva prevista all’art. 23 c.p.p.m.; nel caso del non raggiungimento la soglia edittale prevista, viene fatto divieto al giudice minorile il ricorso alla misura cautelare afflittiva; bisogna nuovamente sottolineare che per gli imputati minorenni, non sembra giustificarsi il carcere nel caso in cui manchi un idoneo domicilio all’esecuzione degli arresti domiciliari, come previsto all’art. 275, comma 2-bis, ultima parte.

Non opera invece l’art. 275, comma 3, ultima parte c.p.p., nonostante la modifica dalla l. 47/ 2015: “l’espressa inapplicabilità della norma elimina ogni presunzione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari per particolari fattispecie delittuose, escludendo così l’automatica adozione, nei confronti del minore, della custodia in carcere e nel contempo rafforzando il potere

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In sintesi in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, Vol IV “ Diritto e procedura penale minorile” a cura di E. P. Fabris, A. Presutti, Giuffrè ed., Milano, 2011, pag. 530.

157 In tal “La giustizia penale minorile. Formazione , devianza, diritto e processo” A.

Criscenti, M. Leonadi, S. Larizza, S. Lentini, A. Mangione, E. Lanza, G. Panebianco, A. Pennisi, A. Pulvirenti, a cura di A. Pennisi, seconda edizione, giuffrè ed., pagg. 331, ss.

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discrezionale del giudice, il quale sarà chiamato, anche nei casi dei

reati gravi, a scegliere la misura che ritiene più adeguata”159 .

Il divieto di tale applicazione risponde al canone della facoltatività su cui si impronta tutto il sistema cautelare minorile.

Anche la prima parte del comma 3 art. 275 c.p.p. non trova applicazione nella parte in cui prevede la possibilità del cumulo delle misure cautelari personali160; difatti nonostante manca una

disciplina speciale che vieti l’adozione simultanea di più strumenti cautelari per evitare il ricorso al carcere, questi sono di fatto inapplicabili per la tipologia delle misure cautelari.

I pochi strumenti cautelari possibili, alternativi alla detenzione, non consente la possibilità di cumulare diverse misure, l’unica possibile, ovvero tra misure domiciliari e prescrizione, si rivela inutile in quanto il contenuto delle prescrizioni può espandere le modalità esecutive del collocamento in comunità e della permanenza in casa, dando al giudice strumenti cautelari idonei a soddisfare le esigenze concrete.

Introdotta dal d.l. 24 Novembre 2000, n. 341, convertito dalla l. 19 Gennaio 2001, n. 4, l’art 275-bis c.p.p. ottiene il compito di contenere l’impiego della cautela più severa; ulteriormente per limitare l’uso e agevolare la sostituzione con gli arresti domiciliari, il successivo d.l. n. 146 del 2013, convertito dalla l. n. 10 del 2014, ha previsto procedure di controllo da disporre non più secondo una valutazione discrezionale del giudice, ma ogni qual volta sono ritenute necessarie.

Ciò che bisogna sottolineare, oltremodo, è l’ inapplicabilit{ nella parte in cui dispone la possibilità di eseguire la misura degli

159Commento di L. Caraceni all’art. 19 c.p.p.m. - V. Bosco, P. Bronzo, L. Caraceni,

C.Cesari, M. G. Coppetta, S. Cutrona, C. Gabrielli, O. Mazza, V. Patanè, L. Pepino, P. Sfrappini, F. Siracusano, A. Tassi, in “ Il processo penale minorile, Commento al D.p.r. 448/1988, IV ed., a cura di G. Giostra, Giuffrè ed., 2016, pag. 270.

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arresti domiciliari ricorrendo a particolari procedure, quali utilizzi di mezzi elettronici o altri strumenti tecnici161.

Tale norma va necessariamente letta unitamente al comma 3-bis dell’art 275 c.p.p., nella parte in cui dispone che il giudice, nel caso di applicazione della misura cautelare in carcere, è obbligato ad indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art 275-bis c.p.p..

La non applicabilità pare sostenuta da due dati normativi: il riferimento espresso alla sola misura degli arresti domiciliari, non compreso tra le cautele previste per imputati minorenni e le conseguenze derivanti dal mancato consenso al controllo elettronico o l’allontanamento dal luogo dove vengono eseguiti gli arresti domiciliari.

Normalmente nel processo ordinario si prevede il passaggio alla misura cautelare detentiva come previsto dall’art. 275-bis, comma 1, ultima parte c.p.p. e dall’art. 276, comma 1-ter c.p.p., nel processo minorile, invece, nel caso di violazioni alle prescrizioni impartite viene previsto un sistema scalare che soltanto in ultima istanza consente il ricorso alla misura più afflittiva e per un periodo che non superi nel massimo un mese.

Tale prospettiva si espone a profili di censurabilità dal punto di vista della legittimità costituzionale, in quanto il ricorso a procedure di controllo elettronico per le misure non detentive riservato ai solo imputati maggiorenni, rappresenta un trattamento di favore in alternativa alla misura carceraria, creando una disparità di trattamento nei confronti dei minorenni, soprattutto se si considera che l’introduzione della norma

161

Si fa riferimento al c.d. braccialetto elettronico; dato rilevante per verificare l’applicabilità del braccialetto elettronico è il consenso in vinculis del minorenne imputato, mancando il giudice provvederà all’applicazione della misura detentiva.

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consente un più efficace ricorso alle misure cautelari diverse dalla custodia intra moenia162, evitando che la scelta possa “essere

influenzata negativamente dalla comprensibile preoccupazione della loro ridotta efficacia a causa di un inadeguato livello di

controllo sull’adempimento delle prescrizioni ad esse connesse”163.

Un intervento della Corte Costituzione 323/2002 dichiara che, nel salvataggio della suddetta norma, le disposizioni di favore introdotte nel codice di procedura penale debbono ritenersi applicabili anche agli imputati minorenni in base al principio che aleggia su l’intero sistema minorile del favor minoris.

Dal lato opposto, sulla sostenibilit{ dell’applicabilit{ dell’art. 275- bis c.p.p., il giudice potrebbe invocare diverse argomentazioni, ad esempio l’identit{ strutturale tra arresti domiciliari, permanenza in casa e collocamento in comunità.