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Riparazione per ingiusta detenzione.

Le misure cautelar

C- bis) La determinazione della pena

4.12 Riparazione per ingiusta detenzione.

Anche in questo caso il processo minorile non prevede nulla e dunque secondo il principio di sussidiariet{ previsto all’art. 1, comma 1 c.p.p.m. si applicheranno le norme previste per il rito ordinario, di cui agli artt. 314, 315 c.p.p.

Secondo tali artt. anche il minore imputato, che abbia sofferto un periodo di custodia cautelare, ha titolo per chiedere la riparazione in tutti i casi in cui è stato emesso un provvedimento previsto all’art. 314 c.p.p., nonché sia stato mantenuto o disposto un titolo cautelare in mancanza di uno dei requisisti di cui all’art. 273 c.p.p. o al di fuori dei massimi edittali di pena che giustificano una limitazione della libertà personale (art. 314, comma 2 c.p.p.). L’unico problema che si pone è quello di dare l’esatta delimitazione al concetto di custodia cautelare; se far rientrare in tal caso anche la permanenza in casa ed il collocamento in comunità.

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Tale equiparazione però è previsto espressamente solo ai fini del computo della durata massima della pena, dunque per tale motivo non si potrebbe applicare la riparazione ai casi di cui agli artt. 21 e 22 c.p.p.m..

Dal punto di vista procedurale, l’art. 315, comma 1 c.p.p. dispone che “la domanda deve esser proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione”, al secondo comma invece si prevede che il risarcimento non può superare i 516.456,90 euro.

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Conclusioni

Il processo penale minorile, disciplinato dal D.P.R 448/1988, rappresenta ad oggi il raggiungimento di un grande sforzo normativo, nel rispetto degli principali principi fondamentali, di maggiore interesse di fronte ad imputati minorenni in fase di evoluzione, non solo educativa, ma anche e soprattutto psicologica.

Si presenta nel complesso armonico, funzionale ed efficace alle esigenze per le quali è stato approvato.

Dall’ excursus storico-normativo delineato appare evidente come il legislatore abbia cercato di dare applicazione agli in-put internazionali, a partire dalle Regole di Pechino, le Linee guida di Riyadh, la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, le svariate Raccomandazioni del Consiglio D’Europa nonché la più recente Raccomandazione 800/2016, creando un processo a misura di bambino, per tutelarlo nella rieducazione e nel reinserimento sociale, in seguito alla commissione di reati, riconoscendo al minore imputato gli stessi diritti e garanzie previste per gli adulti, contemporaneamente esaltando però la speciale condizione minorile.

Ciò che rileva nell’applicazione delle misure limitative della libertà è la fragilità caratteriale del minore e la necessità di non cagionare dannose interruzioni dei processi di evoluzione positiva della personalità eventualmente in atto.

L’imputato minorenne, in quanto soggetto in evoluzione, entrato nel circuito del processo penale, ha la necessità di non vedere interrotti i propri processi educativi, in questa direzione il processo penale deve trasformarsi in uno strumento per promuoverne il miglioramento e la maturazione.

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Salvaguardare le esigenze educative del minore non significa però conferire al processo mere finalità educative; se cosi fosse si darebbe al processo una doppia valenza, ovvero una funzione di repressione e una rieducativa, la stessa funzione che hanno le normali pene, da renderlo in contrasto con l’art. 27 Cost., poiché nella prativa il processo diventerebbe un luogo di trattamento rieducativo; ciò però non significa che nel processo minorile non si tenga conto di istanze di non ulteriore de-socializzazione.

La non interruzione di processi educativi in atto risulta essere uno dei requisiti essenziali, da dover rispettare, nell’applicazione di una delle misure limitative della libertà personale.

Per tale motivo il ricorso alla misura custodiale detentiva, risulta essere una scelta sempre più marginale, in extrema ratio appunto, preferendo l’applicazione delle prescrizioni, della permanenza in casa e del collocamento in comunità.

Da notare come, la mancanza di una specifica disciplina penitenziaria minorile, spesso, non aiuta i raggiungimenti di tali obiettivi, nonostante il disegno di legge delega n. 2067 del 2015, ormai in stand-by dall’Agosto 2016, riguardante l’adeguamento delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di età.

Rappresenta comunque una presa di coscienza delle peculiarità della esecuzione minorile, spinta dalle indicazioni presenti nella Direttiva Europea 2016/800, che prescrive agli stati membri l’adozione di un trattamento specifico per il minorenne privato della libertà personale246.

La residualità costituisce una scelta per preservare la potenzialità di sviluppo dell’individuo.

246

K. La Regina, in “ Il pluralismo delle misure cautelari personali, tra tipicità e adegatezza”, CEDAM, 2017 pag. 256-257.

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Per capire se, nonostante gli sforzi, le intenzioni del legislatore, in seguito a continue modifiche e riforme in linea con i propositi prefissati, abbiamo raggiunto l’obiettivo, si possono valutare i dati statistici, forniti dal Ministero della Giustizia, circa l’effettivo utilizzo delle varie forme cautelari.

Ciò che si nota è che nonostante la misura delle prescrizioni appare essere la più adeguata per rieducare il minore, sintetizzando in sé i valori che sostengono il rito minorile, nella realt{ è quella meno usata, le più comuni nell’utilizzo è il ricorso al collocamento in comunità, nonché la custodia cautelare in carcere.

Nel semestre del 2001 il 16 % dei ragazzi sono soggetti alla misura delle prescrizioni contro il 14% del 2011 , invece per quanto attiene le misure custodiali si tratta: del 21% ed il 31 % circa l ' applicazione del collocamento in comunità , tra il 36% ed il 16% per la custodia cautelare.

Al 28 Febbraio 2015 i dati sono: il 17 % dei ragazzi è sottoposto alle prescrizioni , il 26 % alla permanenza in casa, il 40 % al collocamento in comunità ed il restante 17 % alla custodia cautelare.

Nelle statistiche del Ministero della Giustizia si contano circa 528 minorenni tra maschi e femmine, italiani e stranieri, soggetti alla misura del collocamento, contro un massimo di 100 minorenni tra custodia carcerari, affidamenti ai servizi sociali e permanenza in casa.247

Riportando i dati statistici del 2001-2011, 2015 e 2016 ciò che appare evidente è come in passato la scelta dei giudici era proiettata più sull’applicazione della misura carceraria, quasi

247

Dati statistici del Ministro della Giustizia: Comunità per i minori, collocamenti di minori autori di reato secondo il motivo, la nazionalità ed il sesso - Situazione nazionale - Primo semestre 2016; www.Ministerodellagiustizia.it .

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ignorando l’esistenza delle misure meno afflittive, negli ultimi anni, invece si sta assistendo ad una sempre maggiore applicazione del collocamento in comunità, non solo quale misura cautelare, ma anche nell’ambito di altri provvedimenti giudiziari, per la sua capacità di contemperare le esigenze educative con quelle contenitive di controllo, marginalizzando la misura meno afflittiva delle prescrizioni.

La misura delle prescrizioni, nonostante la più adatta e meno invasiva rispetto alle misure custodiali, resta accantonata, con un utilizzo sempre inferiore a causa delle molte zone d’ombra; sarebbe necessario ridefinirne i contenuti per renderle conformi ai principi di legalità e tassatività.

Il giudice, ad oggi, non solo non ha molte scelte tra le misure cautelari, ma nonostante la presenza delle prescrizioni, che dovrebbero essere tra le preferite, hanno scarsa efficacia cautelare, spostando la scelta sul collocamento in comunità o la permanenza in casa, incidendo drasticamente sulla libertà del minore ed il cui utilizzo dovrebbe essere limitato a casi specifici. Mi sembra opportuno in tale contesto poter menzionare una legge piuttosto recente, pubblicata il 3 Giugno nella Gazzetta Ufficiale, entrata in vigore il 18 Giugno, ovvero la L. 29 maggio 2017, n. 71 recante “ Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”248, primo strumento

normativo europeo specificatamente dedicato al contrasto di tale fenomeno fondato su un approccio più educativo che repressivo;

248

Al termine cyberbullismo è stato data una definizione specifica all’art. 1 della L. 29 Maggio 2017, n. 71, ovvero si intende “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on-line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

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l’unica misura sanzionatoria aggiuntiva prevista è l’ammonimento, in seguito alla convocazione da parte del Questore del minore e dei genitori, che perde efficacia al compimento della maggiore età249.

Obiettivo della legge è quello di contrastare tale fenomeno con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, educazione e tutela nei confronti del minore, sia come vittima che come responsabile dell’illecito.

L’intento è quello di preferire percorsi riparatori e di reinserimento per i colpevoli, tenendo i minori fuori dal vortice del processo penale per poter recuperare i soggetti che sono in età evolutiva inserendoli piuttosto in un percorso sociale o di messa alla prova, col fine appunto della risocializzazione e del recupero.

Appare evidente come tale legge ritrae i caratteri delle prescrizioni: funzione rieducativa, risocializzante, prescrittiva e non repressiva; ciò porterà forse ad una maggiore considerazione, nonché condivisibilità della prescrizioni o della sua funzione nell’applicazione delle misure cautelari nel processo penale? Troppo spesso assistiamo all’applicazione di misure repressive, restrittive, a causa di mancanza di sostegni familiari o scolastici pertinenti, motivo per cui il giudice si trova spesso costretto a non avere molte scelte.

Il minore deviato in fin dei conti è un soggetto che non ha ancora una propria identità e la segregazione, nonché la limitazione della propria libertà non aiuta a rimuovere le cause del suo disagio, anzi.

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