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Dalla seconda metà degli anni Sessanta, l’Arte Concettuale arrivò alla smaterializzazione fisica dell’opera d’arte, rivolgendo il proprio interesse verso i processi e gli atteggiamenti. L’Arte Concettuale guardò molto all’opera di Marcel Duchamp, di cui si ammirava la ricerca sull’aderenza del linguaggio alla realtà. Il Concettuale fu una fase di ricerca artistica che vide al suo interno, il proliferare di diverse correnti e interpretazioni della smaterializzazione del prodotto fisico. La rivoluzione artistica condotta dagli artisti concettuali fu il risultato di un percorso iniziato con le prime avanguardie, al fine di rendere l’arte sempre più indipendente. L’Arte Concettuale violò ogni convenzione dell’opera d’arte, a partire da come avrebbe dovuto sembrare a, che tipo di oggetto avrebbe dovuto essere.

Nonostante le profonda rottura dell’Arte Concettuale rispetto ai canoni tradizionali artistici, gli artisti ebbero un buon successo all’interno del sistema ufficiale dei musei. In opposizione all’istituzionalizzazione dell’Arte Concettuale, nata come rivoluzionaria ma in breve tempo accettata e sfruttata dal sistema, nacque un gruppo di artisti pronti a minare le fondamenta del sistema, che si mostrava compiacente nei loro confronti. Negli anni questo gruppo, che fu identificato con l’etichetta di Critica Istituzionale4, vide tra le sue fila pochi ma prolifici artisti quali: Hans Haacke, Daniel Buren, Marcel Broodthaers e Michael Asher, tra i più famosi. Questi artisti furono legati da una ricerca comune nei

4 Il termine fu probabilmente coniato da Andrea Fraser, artista e performer del gruppo Critica Istituzionale,

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confronti delle istituzioni culturali e in particolare, le loro opere furono tese a smascherare le relazioni ambigue del sistema e i confini delle condizioni istituzionali dell’arte, come soggetto. Le opere di questi artisti furono site specific, non nel senso di riferimento al singolo luogo fisico d’esposizione ma rispetto a una situazione espositiva e alle sue relazioni. Il sistema dell’arte divenne il soggetto delle loro opere, composto non solo dai musei ma da tutti gli altri attori, come gli sponsor, le gallerie, i collezionisti, i visitatori, gli altri artisti, i committenti e i politici, praticamente tutti coloro che erano a contatto con il mondo culturale, spesso attraverso relazioni non trasparenti. L’attenzione delle Critica Istituzionale era rivolta ad un universo di valori che comprendeva la produzione, la distribuzione e la ricezione delle opere d’arte. Come rilevò Andrea Fraser nel suo saggio del 20055, la Critica Istituzionale studiava e continua a studiare l’intorno artistico e culturale che determina e influenza ideologicamente l’opinione del visitatore, richiamando anche, le teorie dell’Habitus di Pierre Bourdieu: “They make up what Pierre Bourdieu called habitus: the “social made body”, the institution made mind”6.

Uno degli artisti della Critica Istituzionale, che rimase visuale pur adottando un punto di vista critico nei confronti delle istituzioni, è Daniel Buren. Attraverso la ripetizione dello stesso motivo visivo (le strisce di colore), Buren si serve dell’oggetto, smaterializzandolo dalla sua valenza fisica, per suggerire delle riflessioni sui confini del sistema arte. Buren collega l’interno con l’esterno degli edifici attraverso le sue strisce colorate, smascherando il concetto di museo, come quello di una scatola che incornicia e contiene le opere d’arte. Attraverso i legami che instaura tra ciò che è arte e ciò che non lo è, Buren palesa il potere delle cornici e dei confini istituzionali, nel determinare cosa abbia significato. La volontà di insistere sullo stesso motivo da parte dell’artista, trasmette l’idea che l’opera assuma significati diversi in base alle variabili del contesto in cui è esibita. La differenza con altri artisti, come Hans Haacke, è che la critica di Buren non sempre fu colta come sovversiva, perché indagava i confini delle istituzioni in maniera non

5 Cfr. A. Fraser, “From the critique of institutions to an institution of critique”, Artforum International,

U.S.A., 1 settembre 2005

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Photo Souvenir: Pittura - scultura (1971), Daniel Buren

esplicita, da una posizione interna. Quest’atteggiamento dissidente ma al tempo stesso non esplicito, permise a Buren di esporre in importanti musei e mostre senza essere emarginato dal mercato, come invece successe a Hans Haacke. Nonostante questo, anche Buren subì la censura, quando nel 1971 l’opera Photo Souvenir: Pittura-scultura (1971) fu eliminata il giorno prima dell’inaugurazione del Guggenheim International Exhibition, a New York. L’opera consisteva in un telo di tessuto a righe che scendeva dal soffitto fino alla hall del Salomon Guggenheim Museum di

New York. L’opera sfidava provocatoriamente l’eccentrica architettura di Frank Lloyd Wright, influenzando la percezione anche delle altre opere in mostra. Infatti, davanti alla maestosità delle dimensioni del telo, le opere degli altri artisti risultavano piccole e poco illuminate. In particolare, gli artisti che chiesero la rimozione del lavoro di Buren furono i minimalisti, come Donald Judd e Dan Flavin, perché Photo Souvenir: Pittura - scultura (1971) sminuiva le loro opere, così profondamente legate allo spazio. Buren limitava la visione delle opere rispetto allo spazio,

mettendo in crisi la fenomenologia d’interazione con gli spettatori, tipica del Minimalismo. Per Buren non esisteva, infatti, un legame puro tra l’opera, lo spazio e il pubblico, poiché sempre influenzato dagli interessi che il museo incarna e che influiscono sull’opera e sulla sua interpretazione.

Un’artista duramente contestato fu invece Hans Haacke, che vide tra i molti episodi che lo riguardarono, una sua personale cancellata nel 1971 al museo Guggenheim di New York, un’opera ritirata nel 1974 da una mostra a Colonia, nonché un’opera sfregiata a Graz nel 1984 durante il festival artistico e culturale “Autunno Stiriano”. Haacke è probabilmente l’artista più politico del gruppo, poiché i suoi lavori pongono domande scomode rispetto ad alcune verità poco note, legate al mondo culturale. L’artista di origini tedesche è convinto di dover togliere il velo di neutralità in cui le opere sono avvolte nel museo, per essere ricontestualizzate all’interno delle pratiche culturali con aspetti socio-economici e

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ideologici. Hans Haacke mette in luce le contraddizioni dell’arte e del presente. I suoi obbiettivi si possono sintetizzare con queste parole:

“indagare il non detto dell’istituzione, svelare ciò che si cela dietro la magnificenza, mai davvero innocente delle collezioni, molto spesso residuo prestigioso di speculazioni o spoliazioni, o sulle motivazioni poco edificanti che muovono gli sponsor e i finanziatori di mostre e musei”.7

Attraverso lo strumento della censura, le istituzioni dimostrano inequivocabilmente, di non reggere il potere provocatorio dell’opera di Haacke e soprattutto, di non riuscire più a influenzarla con la presunta neutralità del museo. Infatti, nonostante le scuse adottate dai direttori di musei per legittimare la censura, il problema principale di Haacke è che le opere censurate citavano per nome e cognome il bersaglio dell’indagine, mettendo in dubbio la neutralità politica dell’arte. Dal canto suo, l’artista si è sempre difeso dicendo che le informazioni che egli manipola e mette a disposizione, sono di provenienza pubblica, in quanto pubblicate in registri e archivi disponibili alla comunità.

Questa situazione si verificò innumerevoli volte, esemplare è il caso del 1974, quando al Walraf-Richarts Museum di Colonia Haacke fu invitato in occasione della collettiva “Projeckt 74. Kunst bleibt Kunst”. Per la mostra, Haacke lavorò sul quadro di Eduard Manet Mazzo di Asparagi (1880) nella collezione del museo, che corredò con dei pannelli, illustranti la storia collezionistica dell’opera. L’elemento che suscitò lo scandalo, fu riferito all’ultimo pannello dedicato a Herman Josef Abs, grazie al quale fu acquistato il quadro dal museo. Herman Josef Abs era uno dei banchieri più potenti del mondo ma Haacke decise di porre l’accento sulla sua scalata nella finanza durante il Terzo Reich, tanto da essere considerato il “tesoriere di Hitler”. Dopo la fine della guerra, Abs uscì indenne dal processo di “denazificazione” senza alcun tipo di accusa, tanto da essere reintegrato nelle fila politiche ed economiche del paese. Nonostante le accuse attingessero da fonti certe e pubblicate nel libro Leading Men of the Economy (trad. Uomini principali

7 S. Zuliani, “Il senso della realtà”, in S. Taccone, Hans Haacke. Il contesto politico come materiale, Plectica

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dell’economia) edito da una casa editrice di Darmstadt nel 1972, il museo chiese a Haacke di rimuovere l’opera. L’episodio però non si concluse qui, infatti, il direttore del polo museale di Colonia, il professor Von der Osten, apostrofò Haacke come “una minaccia per la democrazia”, durante la conferenza stampa di apertura della mostra. A quel punto, Daniel Buren che partecipava anch’egli alla mostra, decise, all’insaputa di tutti, di far incollare le fotocopie del pannello incriminato di Haacke sulla propria opera in mostra. Il giorno dell’inaugurazione tutti videro l’opera di Haacke e Buren insieme, causando un tale scandalo e irritazione nei dirigenti del museo, i quali per rappresaglia, di notte fecero incollarono dei fogli bianchi sulle fotocopie di Haacke, censurando al tempo stesso Haacke e sfregiando l’opera di Buren.

Oggigiorno, esistono ancora artisti, come la Fraser, che si definiscono parte della Critica Istituzionale, nonostante sia stata ormai esposta dai musei e dal circuito ufficiale. Un’artista come Hans Haacke continua però, a essere temuto, nonostante abbia esposto alla Biennale di Venezia nel 1993, vincendo il Leone d’Oro con il padiglione della Germania. Lo dimostrano le poche pubblicazioni e i pochi studi, che lo riguardano in Italia e all’estero.

Parte Seconda

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CAPITOLO 1

Spazi espositivi alternativi

li spazi industriali sono per natura dei luoghi atipici e alternativi, per quanto riguarda l’esposizione d’arte. In questo capitolo, si vuole ripercorre la storia dei centri culturali alternativi, che svolsero il ruolo di anticipare gli spazi industriali di oggi. La nascita degli spazi alternativi fu strettamente correlata alle innovazioni nel campo artistico, quindi non sorprende, che l’impulso alla loro nascita sia avvenuto negli stessi luoghi, in cui l’avanguardia artistica si sviluppò principalmente. A New York, questi spazi alternativi fiorirono, spesso grazie alla volontà diretta degli stessi artisti, che professavano la crisi dei musei.

Nella prima parte del capitolo, è trattato lo sviluppo del museo negli ultimi quarant’anni e le conseguenti problematiche espositive intrinseche all’istituzione, che indussero gli artisti a preferire gli spazi alternativi di New York. Si procede poi, con la storia degli spazi alternativi e con la parabola discendente, che molti di questi centri, intrapresero nel corso degli anni. Spesso questo effetto fu dovuto all’incorporazione del centro alternativo, all’interno di grandi istituzioni; processo che compromise il loro carattere innovativo e sperimentale, come accadde al P.S.1 Contemporary Art Center. Nel corso del capitolo, si esamineranno anche casi simili di centri d’arte alternativi, riscontrati in Europa.

Nella parte finale del capitolo, si parlerà infine, degli spazi alternativi attuali e di quali sviluppi della categoria, si stanno configurando all’orizzonte.

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