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Dopo aver parlato di New York, quindi degli Stati Uniti, è interessante fare un excursus sulla storia degli spazi alternativi in Europa. Indubbiamente l’Europa presenta una scena artistica variegata e difficile da studiare in modo unitario e completo, a causa della presenza di stati molti diversi tra loro e con una storia e una cultura indipendenti. Va altresì sottolineato, come ingiustamente si sia parlato molto della scena artistica newyorchese, ma poco di quella europea, forse proprio per la disgregazione degli sviluppi nei vari stati. Non averne parlato in modo unitario in libri o saggi, non significa tuttavia che non ce ne sia traccia.

Conscia di non poter essere esaustiva parlando di un continente, ho selezionato due città, Londra e Berlino, in cui sono rintracciabili sviluppi di spazi alternativi, simili a quelli newyorchesi.

Da un punto di vista economico ma anche culturale, Londra è sempre stata al centro dell’attenzione in Europa. Negli anni Sessanta, Londra diventò il centro della contestazione giovanile e della musica underground, i Beatles prima, i Rolling Stone poi e la New Wave negli anni Ottanta, con il punk inglese. Dal punto di vista culturale, fino ai recenti tempi in cui forse è stata spodestata da Berlino, Londra è sempre stata vissuta come regina incontrastata della controcultura e della cultura alternativa in genere.

A Londra è rintracciabile uno spazio che aveva molto in comune con i contemporanei sviluppi espositivi di New York, si tratta della St Katharine Docks, sulla sponda nord del Tamigi, oggi sede di un lussuosa marina. Nati nell’Ottocento come deposito di merci trasportate sulle acque del Tamigi, questi magazzini furono ufficialmente dismessi nel 1968 dopo essere stati gravemente danneggiati durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 1970 la maggior parte di questi edifici fu demolita, per fare spazio ad attività commerciali e alla marina. Nell’arco di due anni, dal 1968 al 1970, in cui ancora non era stata stabilita

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una destinazione permanente per le St Katharine Docks, si insediò qui un’organizzazione no-profit, SPACE, fondata da tre artisti, Bridget Riley, Peter Sedgley e Peter Townsend. Questo fu il primo esempio di una galleria indipendente aperta e gestita direttamente da artisti, che colmò un vuoto nella scena artistica londinese, in particolare per ciò che riguardava la ricerca di spazi espositivi e studi per artisti. Non a caso, Alanna Heiss lavorò qui per due anni come tirocinante, prima di tornare a New York e fare propria l’esperienza acquisita a Londra. Le St Katherine Docks furono affidate all’associazione SPACE per l’arco dei due anni dal 1968 al 1970, in modo da non lasciare inutilizzato lo spazio e decidere nel frattempo, la futura destinazione dei magazzini. Grazie ad un affitto particolarmente agevole (500 sterline all’anno), ad alcune sovvenzioni private e agli studenti della Scuola d’Arte di Londra, si riuscì a trasformare l’enorme edificio in tanti studi per artisti. In poco tempo, SPACE attirò artisti da tutta Europa, che chiedevano di essere accolti nella comunità, raggiungendo in due anni il numero di cento persone ospitate. Lo scopo dei fondatori era di offrire degli spazi di lavoro per artisti ad un prezzo irrisorio, favorendo la produzione artistica, giacché degli aspetti organizzativi se ne sarebbe occupata l’associazione. Nello stesso periodo venne fondato un archivio, per sostenere i giovani artisti e per offrire loro un modo più semplice per raggiungere il pubblico, scavalcando le gallerie come intermediarie per la vendita delle opere. In questo archivio, che si chiamò AIR (Information Registry of Art), vennero raccolti dati e informazioni sugli artisti e sulle loro opere, che furono messi completamente a disposizione di chiunque fosse interessato al loro lavoro. Inoltre, se SPACE si occupava di fornire un appoggio pratico agli artisti anche attraverso la formazione, AIR procedeva con l’aspetto organizzativo, aiutando nella preparazione di ben nove mostre nel 1969, di cui una a Tokyo e due in Germania.

Nel 1970 SPACE e AIR lasciarono le Docklands, come concordato, per trasferirsi in altri edifici di Londra. L’archivio AIR, che nel frattempo divenne una galleria, chiuse i battenti nel 1986 per mancanza di fondi, mentre SPACE è tutt’ora attivo nella promozione di giovani artisti, attraverso un programma di residenze e assistenza. Indubbiamente nessun altro spazio, in seguito occupato dall’associazione SPACE, ebbe le stesse potenzialità

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delle St Katherine Docks, poste in posizione centralissima, con un affitto agevolato ed enormi spazi a disposizione.

La seconda città che probabilmente ora è al centro della scena culturale alternativa in Europa è Berlino. Ad ogni modo, la Germania da sempre rappresenta un modello d’innovazione, grazie alle Kunsthalle (trad. sale per l’arte) e ai Kunstverein (trad. società di artisti), nati a fine Ottocento nei paesi germanici. Le Kunsthalle erano luoghi espositivi senza collezione gestiti da privati, ossia dai Kunstverein, che erano composti dalla borghesia. I Kunstverein nacquero per porsi come alternativa al sistema istituzionale, sostenendo l’arte contemporanea ignorata dai musei, senza avere però scopo di lucro. Ancora oggi, questo sistema funziona e tra gli spazi espositivi più importanti, figurano molte Kunsthalle di città come Basilea, Colonia, Vienna, ecc.

Berlino è come sappiamo, una città che ha avuto una storia molto particolare. Dopo la caduta del Muro, la città diventò negli anni Novanta terreno fertile per sperimentazioni sociali e culturali, lontano dalle passate restrizioni della STASI (Dipartimento di sicurezza e spionaggio della DDR; Repubblica Democratica Tedesca). E’ interessante notare, come questa città stia probabilmente vivendo in questi ultimi anni, uno periodo d’oro. Divenuta la Mecca per i giovani e per gli artisti, Berlino si è costruita una reputazione di città liberale e aperta alle sperimentazioni, ricordando forse la New York degli anni Sessanta e la Londra degli anni Ottanta.

Come centro culturale giovane e alternativo, sicuramente Berlino è divenuta un punto di riferimento per l’Europa. Qui si ritrova un’atmosfera ancora non commerciale, in particolare nei quartieri della vecchia Berlino Est, che però ogni giorno rischia di essere minacciata dall’avanzare del turismo e della “gentrificazione”21.

21 Termine che indica un processo di mutazione sociale ed urbano, per cui alcune aree cittadine povere e

degradate, specialmente se centrali, vengono convertite in quartieri di lusso. Questi cambiamenti sono dovuti all’acquisto a basso prezzo di immobili che una volta restaurati, accrescono l’interesse per la zona, facendo salire gli affitti. Questo processo implica l’insediamento di una nuova classe media a discapito di quella povera autoctona, costretta a spostarsi verso quartieri meno cari.

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Da otto mesi una delle vittime della “gentrificazione”, è quello che è stato per vent’anni un simbolo della Berlino Alternativa e che molto a che vedere con le Kunstverein, il suo nome è Kunsthaus Tacheles (trad. Casa d’arte Tacheles). Il Tacheles è stato per anni simbolo di autogestione e di resistenza nei confronti delle pressioni commerciali, nel quartiere più centrale di Berlino, Mitte. L’edificio nacque agli inizi del secolo per scopi commerciali ma con l’avvento del Nazismo, fu utilizzato come luogo di reclusione per prigionieri politici. Gravemente danneggiato durante la Seconda Guerra Mondiale, Tacheles fu parzialmente demolito nel 1980. Il secondo ordine di demolizione doveva essere attuato nel 1990 ma con la caduta del Muro questo non avvenne e lo stabile fu occupato da un collettivo di artisti, che se ne prese cura fino al 4 settembre 2012, giorno di definitiva chiusura. Gli artisti dimostrarono l’effettiva stabilità dell’immobile, nonostante i ripetuti danni ricevuti negli anni e riuscirono ad ottenere che l’edificio fosse considerato un sito storico.

La cosa straordinaria di Tacheles fu avere offerto una residenza e spazi lavorativi per centinaia di artisti passati per Berlino, di 130 nazionalità diverse. Inoltre Tacheles, nome yiddish che significa “parlare chiaro”, fu per anni al centro della scena artistica grazie alle mostre gratuite organizzate, ai workshop e alle tavole rotonde. Nell’edificio erano anche presenti un cinema, un ristorante, un locale notturno e un parco che ancor’oggi, nonostante la chiusura del centro, ospita sculture. A tutti gli effetti gli artisti, gestori dello spazio, riuscirono a realizzare un centro ideale di condivisione e sperimentazione artistica per le arti performative e per quelle più tradizionali, allo stesso tempo preservando l’edificio da un ulteriore degrado. Attraverso la loro occupazione, gli artisti portarono il Tacheles ad essere la terza meta turistica della città. Purtroppo, come già accennato, dopo anni di lotte e di ordinanze di sgombero, il centro è stato liberato il settembre scorso, cancellando un vento di anarchica libertà artistica, soffiato dalla caduta del Muro di Berlino. Per concludere, sottolineo come queste esperienze uniche nel loro genere, proprio per la loro unicità, dovrebbero essere preservate come patrimonio culturale e distintivo di una città, che vive anche economicamente della sua immagine creativa, per di più, vantandosi di possedere uno spirito liberale.

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Per quanto riguarda l’Italia, indubbiamente le città più attive da un punto di vista sperimentale sono Torino e Milano. L’Italia però si caratterizza per una storia diversa e per la ricchezza del suo patrimonio culturale, che ha sempre frenato la sperimentazione, crogiolandosi nella sua antica bellezza. Per questo ed altro, esperienze innovative come quelle di New York e Londra non sono ravvisabili negli anni Settanta in Italia, per la mancanza di potere della comunità artistica e di critica nei confronti del sistema museale italiano.