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Quando un edificio industriale è riconvertito a scopi culturali, sorgono dei problemi che non sono solo intriseci alla riconversione d’uso dello stabile, ma che affondano le loro origini in una serie di problematiche, che affliggono la cultura italiana. In particolare, il settore contemporaneo è quello che tra tutti i periodi dell’arte, provoca minore entusiasmo e partecipazione nel pubblico, se si escludono i grandi eventi temporanei, come la Biennale di Venezia.

Le problematiche più evidenti non si riferiscono tanto alla struttura dell’edificio, di impianto industriale, molto affine alle opere d’arte contemporanea che, come si vedrà in seguito, sono valorizzate in situazioni espositive “alternative”, rispetto alle convenzionali. Il problema principale riguarda l’avviamento e all’integrazione nel territorio, di un nuovo dispositivo culturale. Questo è, come già annunciato, una difficoltà comune a tutti i centri culturali in Italia, cui si sommano le difficoltà della rigenerazione, quali ad esempio: il degrado del quartiere o l’immobilismo e l’inerzia, che un edificio abbandonato o chiuso da tempo, si porta con sé. L’inerzia e l’immobilismo che caratterizzano un sito, sono difficoltà con le quali, chiunque tenti la riqualificazione di una zona o di un edificio, si deve relazionare. La difficoltà si riscontra nel convincere le persone a riavvicinarsi a un luogo che, per lungo tempo, è stato portatore di significati negativi, derivanti dalla storia dell’edificio. Alcune ragioni che causano la dismissione di un immobile dalla sua funzione, come ad esempio fallimenti e delocalizzazioni, si ripercuotono a livello sociale, attraverso la disoccupazione, il degrado e la criminalità, determinando una ferita nella comunità. Anche nella migliore delle ipotesi, se l’edificio o la zona dismessa non viene collocata sul mercato o rifunzionalizzata in breve tempo, rischia di diventare sintomo di un “ciclo vitale urbano” interrotto, lasciando dei segni vuoti e tangibili sul territorio.

Sotto questo aspetto, l’arte e la cultura, attraverso la creatività e le innovazioni artistiche, possono aiutare nel generare un’immagine diversa del luogo dismesso, aiutando a trovare una nuova identità, che permetta di richiudere le ferite sociali. La cultura in genere, può riaprire le porte dei siti, in cui i sistemi produttivi e di mercato hanno fallito. L’arte può essere un dispositivo di “riattivazione”, non a livello strumentale ovviamente,

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poiché l’arte non si crea per altri fini ma grazie alla sua caratteristica intrinseca di riaccendere gli animi. L’arte riesce quasi sempre nell’intento di attivare discussioni e dibattiti nella comunità, attraverso il suo ribaltamento di limiti e di convezioni, creando punti di vista inediti, che ci inducono a riflettere. Nel caso di edifici chiusi e abbandonati, è necessario innescare un nuovo dibattito, che riporti l’attenzione sui siti dismessi, affinché avvenga un recupero consapevole. Il processo che porta alla coscienza delle cause di certe situazioni di degrado, è utile per elaborare una soluzione, che permetta di riutilizzare l’enorme patrimonio immobiliare dismesso.

Bisogna però fare attenzione; non deve passare l’idea che l’arte debba essere sfruttata per rigenerare il degrado, non può, infatti, essere strumentalizzata per secondi fini. Benché il confine sia labile, è necessario acquisire la consapevolezza che l’arte, per sua natura, ha la capacità di stimolare la riflessione, ma questo non deve indurre a sottomettere la creazione artistica ad altri scopi. Il focus deve sempre essere puntato sull’arte e sull’investimento in termini qualitativi in cultura. Se invece, si pensa di raggiungere altri scopi, utilizzando la cultura come mero mezzo, l’operazione diventa sterile, perdendo il suo senso. Senza un reale impegno nello sviluppo culturale, richiamando tutte le forze necessarie per produrre cultura, specialmente in Italia, questa non potrà mai produrre esternalità positive. Solo investendo seriamente in cultura e per la cultura, si verificherà probabilmente anche una ricaduta sociale.

Si può quindi affermare, che l’esposizione di arte contemporanea si addice ai luoghi ricchi di spunti e ancora “vergini” da un punto di vista intellettuale e creativo, come lo sono gli edifici industriali. Chiaramente, non si può pensare che l’arte sia l’unica risposta al problema della rigenerazione. Nonostante la capacità di risvegliare l’attenzione nel pubblico dell’arte contemporanea, è evidente che ciò non può bastare a produrre valore, se non esiste un sistema adeguato che crei le condizioni, per la diffusione e la ricezione dell’arte nella comunità. Per valore si intende, l’innovazione, la capacità di essere creativi e di formulare idee originali. Per Christian Caliandro e Pier Luigi Sacco:

“L’innovazione riguarda tutti i campi dell’attività umana (dalla scienza all’economia, dalla politica alla filosofia) ma nell’arte contemporanea essa ha il vantaggio di risultare

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immediatamente riconoscibile. L’arte può essere considerata, da un certo punto di vista, la cartina di tornasole, l’indicatore del tasso di innovazione di una società [corsivo dell’autore], e al tempo stesso, il luogo privilegiato in cui sperimentare e apprendere i processi innovativi, universalmente applicabili”1.

In Italia, il processo che porterebbe a creare maggiore innovazione dalla cultura, è lunghissimo e pieno di ostacoli. Secondo Richard Florida2, è necessario investire in ciò che alimenta la creatività, per facilitare la nascita di una classe creativa, composta di soggetti dotati di grande potenziale umano. Gli appartenenti alla classe creativa scelgono di vivere in un determinato luogo, per le caratteristiche che questo gli offre (diversità, identità, meritocrazia, ecc). Lo stanziamento della classe creativa in uno specifico luogo determina lo sviluppo regionale. Secondo la teoria del capitale umano, che Florida sostiene, il vantaggio competitivo è dato dalle risorse umane presenti in un sito e dal loro grado di produttività e qualifica; mentre, a suo parere, le strategie di riduzione dei costi, non sarebbero più efficaci. La classe creativa va coltivata e formata, affinché diventi tale. I centri di ricerca e le università assumono perciò, un ruolo centrale per la cultura e la formazione del pensiero innovativo.

Appare ormai ovvio che, affinché la cultura crei innovazione, è necessario non più solo conservarla e contemplarla ma produrla e creare occasioni di confronto. La gente va resa partecipe, non attraverso sterili mostre didascaliche, ma attraverso processi partecipativi, che creino valore. Il patrimonio culturale non va considerato come uno scrigno dei tesori da esibire passivamente ma come materiale che va “attivato”, affinché sprigioni le sue vere potenzialità. Non basta perciò, limitarsi all’azione di apertura di un centro culturale in un edificio industriale, è necessario lavorare in sinergia con gli altri enti culturali del territorio, al fine di instaurare relazioni durature con i visitatori, creando valore dal confronto tra le opere d’arte e il pubblico.

1 C. Caliandro, P. Sacco, Italia Reloaded. Ripartire con la cultura, Il Mulino, Bologna 2011, p.124

2 Cfr. Florida Richard, L’ascesa della nuova classe creativa : stile di vita, valori e professioni, Mondadori, Milano

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L’argomento è vasto e sulla questione della situazione della cultura in Italia, se ne parlerà in seguito. Ai fini di questa ricerca, è necessario essere consapevoli che la rigenerazione urbana, quando associata in modo intelligente e non strumentale alla cultura, può creare valore e far riscoprire luoghi inconsueti o fuori dai convenzionali circuiti turistici.