Distinctio II: i fondamenti della metafisica di Giovanni da Ripa
2. Natura e caratteristiche del Primo Grado
2.7 L’immensità divina si ricava a partire da qualunque grado finito?
2.7.1 Critica a Duns Scoto
Terminata la dimostrazione dell’infinità del Primo Grado, Ripa passa alla critica serrata delle argomentazioni di Duns Scoto (non prima di averle ridotte ad breves formas et efficatiores). Il Dottor Sottile aveva individuato principalmente tre vie per ricavare l’infinità di Dio. La prima muove dall’efficienza, e sostiene che – benché non sia corretto affermare, sulla scorta di Aristotele, che il Primo muove di moto infinito e che quindi è dotato di potenza infinita – resta possibile concludere che il Primo è infinito perché simul et independenter avrebbe la possibilità di muovere di moto infinito, nonostante tale possibilità sia esclusa non per impotenza divina, ma per l’impossibilità che proviene dalla natura stessa degli effetti107
. Ciò che Ripa critica in questa
106 ID., Ibid.
107 «Primam viam, ex parte causae, tangit Philosophus VIII Physicorum et XII Metaphysicae, quia movet motu infinito;
ergo habet potentiam infinitam (…). Consequentia probatur sic, quia si ex se, non virtute alterius movet motu infinito; ergo non ab alio accipit sic movere, sed in virtute sua activa habet totum effectum suum simul, quia independenter. Sed quod simul habet in virtute infinitum effectum, est infinitum; ergo etc.», DUNS SCOTUS, Ordinatio, I, Distinctio II, § 111, 113, (ed. Vaticana, vol. II, pp. 189-190). Cf quanto rileva ALESSANDRO GHISALBERTI: «la prima via all’infinità attuale è
ex primitate efficentiae: Scoto ha dimostrato, partendo dalla constatazione che aliquod ens est effectibile, che esiste una causa efficiente incausata e incausabile che sta a fondamento di ogni possibile attività produttiva operante nell’universo. L’effectibilitas di qualsiasi ente postula infatti l’esistenza di un effectivum primum, di una causa necessaria. Il fatto che Dio sia effectivum primum, la causa efficiente di tutte le cose attuali e possibili, dimostra il suo essere infinito in atto, come provano ben quattro argomentazioni, in cui la nozione di possibilità mantiene un ruolo centrale. 1.1) In base alle conclusioni dell’VIII libro della Fisica di Aristotele: poiché la causa prima muove per un tempo infinito, ha una potenza (virtus) infinita ed è quindi un motore infinito. L’antecedente del ragionamento, sebbene possa sembrare falso a qualcuno, risulta necessario in relazione a ciò che è possibile, sebbene non lo sia rispetto a ciò che è attuale, ossia a qualcosa già realizzato. Ciò dipende dal fatto che se una causa è in grado di causare degli effetti, allora essa può causare tali effetti anche se non lo fa attualmente, senza con questo che venga intaccata la sua perfezione, dal momento che posside sempre la virtus causativa. Scoto specifica che una causa che può produrre da sè, in virtù della propria potenza attiva, un effetto infinito, è essa stessa infinita. Siccome la causa che può muovere di moto infinito, possiede da sè nella propria potenza attiva la capacità di produrre un effetto infinito, dunque è essa stessa infinita. La premessa maggiore può essere spiegata richiamando il principio per cui ogni effetto è presente nella propria causa formalmente o in modo più eminente. Nel caso di un effetto che per natura è atto ad essere infinito formalmente in sè, esso si troverà in modo in modo virtuale e più eminente nella propria causa, la quale quindi sarà infinita intensive, e non solo infinita successive (ciò può appartenere anche all’effetto)», ALESSANDRO GHISALBERTI, Ens infinitum e dimostrazione dell’esistenza di Dio in Duns Scoto, in
John Duns Scotus. Metaphysics and Ethics (a c.di L. Honnefelder, R. Wood, M. Dreyer), Brill, Leiden-New York-Koln 1996, pp. 430-431.
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argomentazione è proprio la tesi che – a suo giudizio – viene erroneamente attribuita ad Aristotele: il Filosofo infatti non si serviva di questa constatazione (che il primo muove di moto infinito), per concludere l’infinità intensiva del Primo; la stessa infinità si può infatti riscontrare – secondo Ripa – in tutti i movimenti delle sfere celesti e in ogni azione che è frutto di un agente indipendente, ma sostanzialmente, avendo già ammesso la non esclusività dell’infinito come caratteristica propria di Dio (come accadeva nel sistema di Scoto), al Doctor
Difficilis il ‘gioco’ di estendere l’infinità alle creature risulta una partita decisamente più semplice, sia dal
punto di vista di un’infinità successive (già dimostrata con la risalita all’infinito nella serie delle cause seconde), sia dal punto di vista di un’infinità intensive (che può tranquillamente cessare di essere una prerogativa divina):
nam in processu allegato et maxime XII Metaphysicae, parte 41, non intendit Philosophus concludere infinitatem intensivam primi, tum quia ibi solum concludit aliquod movens motu infinito quod nec moveatur essentialiter nec accidentaliter; huiusmodi autem motiones sunt plures, nam cuilibet orbi correspondet a quo talis orbis habet infinitatem motionis. Tum etiam quia Philosophus non poneret primum motorem ratione motionis esse infinitum intensive, ita quod ex motione infinita in tempore concludit eius infinitatem intensivam, sicut patet II De Caelo, in multis Commentis per Commentatorem, et declarabitur in sequenti articulo. Sed quidquid sit de intentione Aristotelis cum arguit ‘primum ex se movet vel independenter movet motu infinito, ergo est infinitae potentiae’, consequentia apud me est optima de quocumque agere respectu cuiuslibet effectus quod est independenter agere: dico enim quod necessario quodlibet independenter agere est immense agere, sicut independenter esse est immense esse, ut alias declarabo108.
L’aspetto più interessante di tutto il discorso, in linea con le ultime considerazioni svolte circa il depotenziamento dell’infinito attivo nella metafisica ripiana, risiede nel fatto che Ripa critica anche l’idea che in un agente che può produrre infiniti effetti simultaneamente debba trovarsi una virtus activa maggiore (infinita) rispetto ad un agente che ne può produrre uno soltanto. Se un fuoco durasse in eterno, potrebbe generare una serie infinita di effetti, ma la sua virtus non sarebbe per questo motivo infinita, bensì finita e sempre vincolata alla possibilità di produrre solo e soltanto un effetto ben determinato, ossia dell’altro fuoco:
non enim aliquod agens potest concludi esse infinitum ex hoc quod potest simul in effectus infinitos; nam non maioris perfectionis intensive est in agente quantum est ex se posse simul in effectus infinitos alicuius speciei quam unius tantum; quod probo: nam sit a ignis; a si eternaliter duraret, possit successive producere infinitos effectus aequales; sed a nihil – per hoc quod aeternaliter duraret – plus possit postea quam nunc, nam nulla ratio causalis esset formaliter in a quae non sit nunc respectu cuiuscumque ignis quem potest producere; ergo etc. Confirmatur: nam a per formam suam substantialem est productivus cuiuslibet ignis quem potest successive producere; ergo a correspondet nunc formaliter omnis ratio causalis ad quemcumque ignem successive producibilem per a, et ideo dico
quod si a non potest simul producere infinitos effectus aequales, non est repugnantia ex parte a quin contineat formaliter posse tale; sed repugnantia est vel ex parte passorum – quia non tot applicantur – vel ex parte infinitae multitudinis effectuum – ut multi dicerent, sed non ego – vel potius ex parte resistentiae in passis, quae impedunt actionem agentis. Et ideo ubi infinita passa applicarentur, et nulla esset in ipsis resistentia – quaemadmodum est in inductione lucis in medium rarum – staret a infinitos ignes aequales simul producere109.
Da notare il richiamo ut multi dicerent sed non ego, che sottolinea ancora una volta la tranquillità con la quale Ripa può oramai ammettere un’infinità creata. L’indebolimento del ruolo centrale spettante all’infinito (facilmente estensibile anche al dominio creaturale) è infatti alla base anche della critica ripiana alle altre vie di cui Duns Scoto si era servito per dimostrare l’infinità intensiva del Primo110: (a) a partire dall’intelligibilità
di una serie infinita di enti, conosciuti simul e distincte dal solo intelletto di Dio, che quindi è infinito111; (b) a partire dall’eminenza mediante la quale l’infinito supera qualsiavoglia finito infinitamente112
. La risposta di Ripa ad entrambi gli argomenti punta ancora di nuovo con forza sull’estensione dell’infinità al dominio creaturale, dal momento che (a) a giudizio di Ripa, la possibilità di conoscere simul e distincte infiniti intelligibili non è prerogativa esclusiva dell’intelletto divino, ma appartiene più in generale ad ogni altro intelletto113; (b) l’inferiorità dell’infinito rispetto all’immenso (dimostrata più volte nel testo di Ripa) non richiede una risposta più approfondita all’ultima via di Scoto.