Distinctio II: i fondamenti della metafisica di Giovanni da Ripa
4. Infinità della specie suprema creabile
4.2 Natura della specie suprema
Posto che la specie suprema creabile da Dio non può essere finita, si rende necessario indagare più approfonditamente la natura di questa specie suprema, ipotizzandone l’esistenza. Il secondo articolo della terza questione è dedicato dunque a verificare l’effettiva esistenza di una specie infinita, e a portarne in luce alcune caratteristiche essenziali198. La successione delle conclusioni di questo secondo articolo si fa più articolata e
può essere divisa in due gruppi fondamentali: le prime tre conclusioni sono dedicate a mostrare la possibile esistenza di una specie suprema infinita; le restanti conclusioni iniziano un percorso di analisi della costituzione interna di questa specie infinita, che proseguirà poi nell’articolo seguente.
Dal momento che risulta ancora necessario garantire l’effettiva esistenza di una specie suprema infinita, come si ammette tale esistenza effettiva? A giudizio di Ripa lo si può mostrare mediante l’analisi delle
denominationes perfectionis presenti nell’essenza divina, che procedo dall’essenza divina in direzione delle
creature (ad extra) secondo una logica ben determinata. Le denominazioni di perfezione sono immense nell’essenza divina, mentre – nell’atto della generazione delle specie create – vengono a costituire un calco analogico adatto ad essere recepito dalle creature e strutturato in più latitudines (una per ogni denominatio
perfectionis), ciascuna delle quali composta da infiniti gradi di intensità differente; ciò determina l’immensità
puntuale di ogni perfezione in Dio, di contro ad un’infinità ottenuta per depotenziamento di un grado infinito (di cui bisognerà indagare anche l’effettivo rapporto con tutti i gradi inferiori) in direzione di un finito sempre meno perfetto. La logica della distinzione immenso/infinito è attiva anche in questo punto cruciale:
cuiuslibet denominationis perfectionis simpliciter communicabilis creaturae latitudo est infinita, et loquor de latitudine possibili, licet talis non sit de facto199.
L’indicazione ‘licet talis non sit de facto’, riferita alla possibilità di una latitudo infinita indica che – ben oltre la mera possibilità di fatto, che è ciò che Ripa sta valutando in questo punto – tale latitudo esiste di fatto a tutti gli effetti, il che implica anche l’esistenza del suo termine supremo che è una specie infinita.
La dimostrazione della prima conclusione fa leva su due proposizioni distinte, come in una dimostrazione more
geometrico; secondo la prima, ogni denominazione di perfezione (essere, vita, intelligenza, sapienza, giustizia,
bontà, ecc.) è presente al grado immenso nell’essenza divina:
quaelibet denominatio perfectionis simpliciter immense correspondet entitati divinae200.
In accordo alla seconda proposizione, invece, qualunque denominazione di perfezione è comunicabile ad intra (cioè all’interno della stessa essenza divina) per plenitudinem, mentre ad extra è comunicabile solo per
participationem:
198 «Utrum in latitudine entium sit possibilis suprema species a Deo creabilis», ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio
III, Art. 2, cod. Vat. Lat. 1082, ff. 100vb-102rb.
199 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio III, Art. 2, conclusio 1, cod. Vat. Lat. 1082, f. 100vb.
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quaelibet denominatio perfectionis simpliciter in divina essentia, aeque intense ex se est communicabilis ad intra per plenitudinem, et ad extra per participationem, sicut quaecumque alia201.
Questa distinzione è fondamentale perché determina il depotenziamento dell’immenso nell’atto della sua comunicazione ad extra, depotenziamento che si realizza nell’‘esplosione’ della puntuale immensità in una
latitudo composta da infiniti gradi, che legittima una differente partecipazione delle perfezioni originariamente
contenute in Dio da parte di ciascuna creatura. Questa conclusione assume un’importanza strategica nella metafisica di Ripa proprio perché consente di garantire che all’interno dell’essenza divina ogni persona sia immensa al pari delle altre (in virtù di quella comunicazione per plenitudinem ad intra), impedendo qualsiasi distinzione, plurificazione o depotenziamento di una persona divina rispetto ad un'altra; dall’altro lato, si concede che ogni perfezione che le persone divine condividono al grado immenso (plenitudo) sia partecipabile anche dalle creature, sebbene mediante una ratio formalis differente (analoga) che le allontana dalla pienezza dell’immensità e le incorpora o dispone in una latitudo composta da una serie infinita/indefinita di gradi di perfezione ontologica crescente che culminano in una specie infinita che è il termine inclusivo non solo di una generale serie di gradi che partecipano più o meno intensamente delle perfezioni divine, ma – molto più concretamente – dell’intera creazione. La conclusione è dunque tratta: è possibile che ogni perfezione che in Dio si trova al grado immenso generi una latitudo infinita, che ha come termine un grado in sé infinito. La questione acquista un grado di complessità ancora maggiore in riferimento alla seconda conclusione che Ripa propone, e che introduce i termini exclusivus ed (implicitamente) inclusivus di una serie:
quaelibet latitudo denominationis perfectionis simpliciter possibilis creaturae correspondere, terminatur exclusive ad perfectionem divinam denominationis consimilis, utpote, signata tota latitudine qua actualis est creatura in esse vitae, in huiusmodi latitudine est quilibet gradus ymaginabilis citra immensum gradum vitae, a quo fluit causaliter tota huiusmodi latitudo202.
I termini exclusive/inclusive assumono nella metafisica di Ripa un valore strategico: il termine exclusivus di una serie è il termine immediato ed esterno alla serie, e ne rappresenta il fondamento; il termine inclusivus è invece il termine supremo interno ad una serie determinata. Si capisce immediatamente che – in una serie strutturalmente aperta, come la serie infinita degli enti ammessa da Ripa – l’individuazione del termine supremo inclusivo della serie (che naturalmente coincide con la specie suprema di cui si stanno analizzando le caratteristiche) è un operazione delicata: sicuramente non sarà qualcosa come l’ultimo ente della serie (che non c’è, perché in questa serie è sempre possibile n+1), ma potrà invece essere – come vedremo nell’analisi dell’articolo successivo – un ente di natura particolare, collocato ad un livello ‘intermedio’ tra la serie degli enti creati e Dio. Tornando alla conclusio 2, qualunque denominatio perfectionis andiamo a considerare, essa terminerà sempre exclusive alla relativa denominatio perfectionis nell’essenza divina; ciò significa che il termine esclusivo di una serie, che è anche il termine originario da cui – metafisicamente – la serie trae origine
201 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio III, Art. 2, conclusio 1, propositio 2, cod. Vat. Lat. 1082, f. 101ra. 202 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio III, Art. 2, conclusio 2, cod. Vat. Lat. 1082, f. 101ra.
e dipende, non fa parte della serie medesima: l’essere immenso, che è il termine esclusivo (originario e conservante) della latitudo essendi, latitudo che è composta da infiniti gradi e termina in un grado che è in sé infinito, non fa parte di questa serie, ma ne rimane sempre distinto.
Il problema posto da questa conclusione è interessante: come preannunciato, l’accenno si sposta infatti sul termine inclusivo della serie, che è il termine supremo che fa parte della serie e ne rappresenta l’approdo finale (si tratta della specie suprema e infinita); Ripa tuttavia afferma chiaramente che è da essa che scorre nell’essere l’intera latitudo dei gradi finiti (a quo fluit causaliter tota huiusmodi latitudo). Il problema non è da ignorare, perché pur dipendendo costantemente dal grado immenso (cioè da Dio), tanto nella creazione quanto nella conservazione, Ripa sembra concedere in questo caso una certa priorità, o quantomeno una funzione mediatrice, alla specie suprema infinita che è il termine inclusivo della creazione e che avrebbe (o potrebbe avere) un ruolo chiave – comunque da precisare ulteriormente – nella creazione effettiva della realtà. La corretta individuazione di questa specie suprema è tuttavia una questione delicata: Ripa non indica mai con chiarezza quale sia la specie suprema, o se – al di là della sua possibilità logica (garantita dalla struttura della metafisica ripiana, all’interno della quale non è possibile approdare ad un elemento finito e ultimo) – essa sia dotata di una sorta di esistenza necessaria, tuttavia alcuni indizi lasciano intendere che potrebbe trattarsi dell’anima di Cristo, che assumerebbe in questo modo una funzione mediatrice nella creazione effettiva e un ruolo chiave (vertice metafisico) conferendo senso all’intera creazione. Al momento non è possibile confermare con supporto testuale certo questa suggestiva ipotesi, sulla quale conviene comunque tener desta l’attenzione, anche perché l’impossibilità della conferma certa non significa necessariamente la certezza della sua smentita.
La terza conclusione, che conclude il percorso dedicato alla possibilità della specie suprema, è esattamente speculare alla conclusione che abbiamo appena analizzato; così come il termine esclusivo di ogni denominazione di perfezione risulta sempre l’essenza divina immensa, così il termine inclusivo di ogni latitudo creata risulta sempre la specie suprema e infinita:
cuiuslibet latitudinis denominationis perfectionis simpliciter creaturae communicabilis necesse est poni gradum supremum possibilem inclusivum. Volo dicere quod, signata tota latitudine essendi possibili derivari a primo, huiusmodi latitudo, quamvis terminetur exclusive ad immensum gradum essendi, tamen possibilis est aliquis gradus creabilis qui sit supremus gradus in huiusmodi latitudine et ipsam terminet inclusive203.
Vale la pena sottolineare un problema che si pone implicitamente già a questo punto: se è possibile una latitudo
perfectionis distinta per ogni denominatio perfectionis originariamente contenuta nell’essenza divina (esse, vivere, intelligere, ecc.), esistono tanti individui supremi quanti sono i gradi supremi e infiniti di ciascuna latitudo, o esiste un solo individuo supremo e infinito nel quale – in virtù della particolare rielaborazione della
distinzione formale ripiana – si ritrovano in unità tutti i gradi infiniti di ciascuna latitudo, formalmente distinti?
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Ripa risponderà a questo interrogativo in un punto più avanzato del testo; per ora limitiamoci a notare che anche in questo caso la dimostrazione della conclusione fa leva su due proposizioni distinte che individuano due caratteri peculiari della struttura metafisica portata alla luce: (a) la piena coincidenza tra l’intensità del termine supremo di una latitudo e la latitudo stessa204, che garantisce al grado supremo inclusivo di
ricomprendere unitive la perfezione di tutti i gradi inferiori; (b) la possibilità che qualunque grado citra
essentiam divinam, compreso quello supremo e infinito, sia effettivamente derivabile dal grado immenso205.
La prima proposizione, che richiama quanto già dimostrato nella prima questione della Distinctio 2, ha la funzione di impedire la confusione tra il termine supremo di una qualunque latitudo perfectionis e Dio: poiché Dio non ha propriamente alcuna latitudo ma è puntuale nella sua immensità (vale a dire un punto privo di latitudine) non può essere confuso nemmeno con l’ente più perfetto possibile (l’ente infinito) che è misurato nella sua intensità infinita proprio mediante la latitudo perfectionis di cui si pone come il termine più perfetto; in altre parole, in esso concorrono unitive tutti gli infiniti gradi finiti, strutturando così – a partire dall’infinità
successive (1° livello) – un’infinità intensive (2° livello) che resta ugualmente immensamente distinta da Dio.
La seconda proposizione vuole indicare come qualsiasi termine citra l’immenso (cioè di perfezione minore, compresa la perfezione infinita) è effettivamente derivabile dal grado immenso. A dimostrazione della genuinità di questa struttura e della sua radice neoplatonica, vale la pena di considerare un breve passo che Ripa propone come strategico:
praeterea, secundum dicta in praefato quarto articulo, si aliquis numerus constitueretur ex unitate infinities replicata, vel aliqua mensura aeterna ab aeternitate perflueret, nec talis numerus infinitus esset aeque perfectus sicut unitas qua ipsum derivat, nec mensura aeterna – puta tempus vel aevum – adaequare potest aeternitatem; sed consimilis omnino est habitudo gradus supremum in a latitudine – puta b (ndc: la specie suprema infinita) – ad c gradum (ndc: Dio, grado immenso) et <habitudo> unitatis ad numerum infinitum constitutum et aeternitatis ad infinitum fluxum ymaginarium; sequitur quod b gradus est remissior quam sit c, et per consequens possibile est b gradum derivari a c206.
Questo breve passaggio è interessante perché stabilisce che il numero infinito costituito per infinita replicazione dell’unità numerica – pur essendo a tutti gli effetti infinito – non adegua mai la perfezione dell’unità numerica, poiché questa contiene in maniera causale e formale tutti i possibili numeri derivabili; parallelamente, anche la specie suprema, infinita, non adeguerà mai la perfezione della supersemplice immensità divina, che – come l’unità numerica – contiene in sé tutte le sue possibili replicazioni, infinite. Con la quarta conclusione inizia un percorso dedicato ad indagare la natura intrinseca della specie suprema. Per comprendere appieno questa serie di conclusioni, nelle quali Ripa si richiama a gradi distinti della serie
204 «Signata aliqua latitudine intensiva, talis est tam intensa precise sicut esset terminus supremus qui inclusive terminaret
huiusmodi latitudinem», ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio III, Art. 2, conclusio 3, propositio 1, cod. Vat. Lat. 1082, f. 101ra.
205 «Quilibet gradus essendi citra immensum est effective derivabilis ab immenso», ID., I Sententiarum, Distinctio 2,
Quaestio III, Art. 2, conclusio 3, propositio 2, cod. Vat. Lat. 1082, f. 101ra.
degli enti mediante l’uso di lettere che si riferiscono sempre alle medesime entità, è bene tenere presente che ‘b gradus’ indica sempre la specie suprema creabile, ‘a’ indica la latitudo intermedia tra il non-essere e la specie suprema (latitudo infinita), mentre ‘c gradus’ è il grado immenso, Dio, distinto tanto da b quanto dalla
latitudo a che misura l’intensità di b. Ciò premesso, la quarta conclusione dell’articolo ci informa che nella
specie suprema infinita tutti i possibili gradi inferiori concorrono in unità reale:
dato huiusmodi gradu – puta b – tota latitudo perfectionalis et essentialis quam terminat in ipsum unitive concurrit. Volo dicere quod b gradus continet formaliter aliquem certum gradum et subduplum et sic in infinitum, qui gradus unitive concurrunt secundum unitatem realem in b entitatem207.
Si tratta di una introduzione significativa, perché ciò non accade invece nelle specie inferiori, dove la presenza dei gradi inferiori si dà unitive ma non secundum unitatem realem. Il darsi di tutti i gradi inferiori secondo un’unità reale implica che la specie suprema sia un’essenza realmente indivisibile, molto più affine alla semplicità divina di quanto non siano le specie ad essa inferiori. Ripa sottolinea proprio questo carattere nella dimostrazione di questa conclusione, lasciando intendere una precisa concezione della perfezione metafisica delle specie:
quilibet gradus penes aliquam latitudinem mensuratus continet formaliter in sua essentia totam huiusmodi latitudinem; sed b gradus mensuratur penes a latitudinem; sequitur quod tota latitudo citra
b continetur formaliter in b gradu, et non ut latitudo graduum realiter distinctorum, cum b gradus sit
essentia realiter indivisibilis, quoniam est suprema creabilis; sequitur quod tota huiusmodi latitudo in
b gradum unitive concurrit 208.
Non soltanto la natura della specie suprema è di tale perfezione e semplicità che in essa coesistono in unità reale tutti i gradi inferiori, ma è di tale natura che in essa possono concorrere unitive tutte le possibili denominazioni di perfezione (esse, vivere, intelligere, sapere, bonitas, ecc.):
possibile est in b speciem omnem denominationem perfectionis simpliciter a Deo ad extra communicabilem concurrere unitive209.
Questa possibilità è garantita dalla non-incompatibilità reciproca delle diverse denominazioni di perfezione210,
che garantisce di per sé la possibilità che questa coesistano in un’unica specie. Ciò significa che non si dà alcuna necessità di ammettere un individuo infinito per ciascuna latitudo perfectionis – con il risultato di avere un numero di individui infiniti proporzionati al numero delle denominationes perfectionis – ma è possibile che
207 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio III, Art. 2, conclusio 4, cod. Vat. Lat. 1082, f. 101rb. 208 ID., ibid.
209 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio III, Art. 2, conclusio 5, cod. Vat. Lat. 1082, f. 101rb.
210 «Nullae denominationes perfectionis simpliciter sunt formaliter repugnantes et inter se incompossibiles; igitur stat
quod omnes simul in aliquam unam entitatem creatam concurrant. Consequentia patet: nam ubi non stat in unam entitatem concurrere cum sint ex se compossibiles, hoc est propter limitationem entitatis creatae», ID., ibid.
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ciascuna denominatio perfectionis quando raggiunge il suo grado infinito (creato) sia ricompresa unitive all’interno di un solo individuo (l’ente infinito appartenente alla specie suprema). La necessità che esse coesistano effettivamente in una sola specie è garantita dalla conclusione successiva:
necessarium est in b speciem omnem denominationem perfectionis simpliciter concurrere unitive211.
L’aspetto più interessante di queste due conclusioni, correlate, è che la possibilità di una tale coesistenza è garantita lumine naturali, ma l’effettiva necessità di tale convenienza è guadagnata mediante l’appello all’autorità dello Pseudo-Dionigi e ad un esempio che ha sempre una grande rilevanza nel pensiero di Ripa: quello delle perfezioni che si irradiano dal centro della circonferenza; come al centro della circonferenza coesistono tutte le perfezioni possibili inconfuse (centro che coincide con la puntuale immensità di Dio), così man mano che ci si allontana dal centro della circonferenza tali perfezioni si fanno sempre più distanti e distinte l’una dall’altra. Ciò significa che negli enti più perfetti, che sono anche più vicini a Dio, la compresenza di più perfezioni è maggiore di quanto non avvenga per le specie inferiori, dove invece si trovano maggiormente disperse; in questo modo nella specie più perfetta possibile, che è anche la più vicina a Dio, devono necessariamente coesistere tutte le possibili perfezioni che in Dio sono presenti in maniera unitaria212. Questo
significa anche che non si danno molte specie supreme, una per ogni denominazione di perfezione (es: una sapienza infinita distinta da un essere infinito, distinta da una vita infinita, e così via), ma esiste solo e soltanto una specie suprema la cui natura è tale che in essa confluiscono tutte le possibili denominazioni di perfezione. Come stabilisce inoltre la conclusione immediatamente successiva, tutte le perfezioni che possono essere comunicate alle creature sono presenti non solo in unità reale nella specie suprema, ma anche al grado infinito:
quaelibet denominatio perfectionis simpliciter possibilis communicari alicui speciei infra a latitudinem infinite correspondere potest b speciei213.
211 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio III, Art. 2, conclusio 6, cod. Vat. Lat. 1082, f. 101rb.
212 «Ista conclusio probatur, et primo, ad ipsam ostendendam ultra rationes factas pro praecedenti conclusione quae istam
similiter probant, facio fundamentum beati Dyonisii, in passu superius allegato in articulo praecedenti – puta in libro De Divinis nominibus, capitulo V, parte sexta – ubi volens ostendere quod in Deo velut in supersimplici unitate et centro omnia sunt inconfuse secundum unam supersimplicem unionem – et quod, sicut lineae semidiametrales secundum quod magis distant a centro magis multiplicantur et discernuntur, et secundum quod magis concurrunt et appropinquant centro magis ad invicem uniuntur – ymaginatur quod perfectiones essentiales creaturis communicabiles quae sunt dispertitae in speciebus inferioribus unitive concurrunt in species superiores. Et ponit exemplum de anima et suis vivificis virtutibus, unde virtus vegetativa et sensitiva – quae in inferioribus speciebus distinguuntur realiter, puta in planta et asino – unitive concurrunt in animam sensitivam, et esse sensitivum et intellectivum, quibus ab invicem distinguuntur homo et asinus, unitive concurrunt in naturam superiorem – puta in animam rationalem – ita quod animae rationali correspondet unitive illa triplex perfectio – puta esse sensitivum et vegetativum <et intellectivum>, alteri vero animae naturae minus perfecte esse tantum vegetativum, ita quod perfectiones dispersae in naturibus inferioribus unitive concurrunt in naturas superiores. Ergo omnis denominatio perfectionis simpliciter communicabilis alicui gradui infra a latitudinem necessario unitive concurrit in a speciem velut supremam et terminantem perfectionaliter totam a latitudinem», ID., ibid.
La natura di questa specie non è tale da impedirne la creazione da parte di Dio; al contrario la specie suprema, nella quale coesistono al grado infinito tutte le perfezioni presenti originariamente nell’essenza divina partecipabili dalle creature, è l’ente più perfetto producibile da Dio, ed è l’unica specie ad esso immediata:
possibile est a Deo produci aliquam speciem supremam et maximam ac sibi immediatam214.
Essendo specie immediata a Dio, non è possibile che si dia un’altra specie più perfetta, che sarebbe maggiore dell’infinito e che implicherebbe l’esistenza di un’ulteriore latitudo intermedia tra l’infinito e l’immenso. Per questa ragione Dio eccede immensamente tanto la specie suprema infinita quanto ogni singolo ente contenuto all’interno della latitudo di cui la specie suprema rappresenta il termine ultimo inclusivo:
c gradus aeque immense excedit b sicut aliquid citra b215.
Con questa conclusione termina la pars (realiter) costruens dell’articolo. Segue una serie di tre conclusioni, molto brevi e concise, quasi prive di dimostrazione, che a prima vista potrebbero sembrare sconnesse dal resto dell’articolo. Le tre conclusioni riguardano sempre la natura della specie suprema, declinata tuttavia in direzione della perfezione intellettuale: Ripa cerca infatti di mostrare che la specie suprema è anche la specie più perfetta nel genere della sostanza intellettuale e razionale. A mio giudizio lo scopo di queste conclusioni – che non a caso riguardano la natura di sostanza intellettuale e razionale – va rintracciato nella volontà ripiana