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Distinctio II: i fondamenti della metafisica di Giovanni da Ripa

1. Impostazione del problema

1.1 La figura di Giovanni da Ripa

Approcciare lo studio di un autore medievale il cui titolo onorifico tribuitogli dai contemporanei era quello di ‘Doctor Supersubtilis’ o ‘Doctor Difficilis’ lascia di per sè intendere la complessità di questa operazione. La difficoltà emerge già dal tentativo di individuare qualche nozione che non sia vaga o molto imprecisa in merito alla figura di questo teologo, giacché negli ultimi decenni non si sono registrate nuove scoperte in merito alla vita di Giovanni da Ripa, che rimane sempre ignota anche per quanto riguarda gli anni stessi della composizione del Commento Sentenziario, la cui collocazione si pone tra il 1355 e il 1358. A parte il grandissimo numero di citazioni (sempre mascherate dall’anonimato dei quidam e degli aliqui) di Giovanni Duns Scoto, Guglielmo di Ockham, Francesco di Appignano, Gregorio da Rimini, tutti autori che commentarono le Sentenze dai 50 ai 10 anni prima di Giovanni da Ripa, le citazioni e i riferimenti ai due soli ‘modernissimi’ che ho finora individuato – Ugolino di Orvieto e Pietro Ceffons di Clairvaux, che commentarono le Sentenze nel periodo 1349-1351 – non mi consentono di stabilire con precisione una data sicura per la Lectura ripiana; resta pur sempre vero che, in particolar modo nella Distinctio 2, sono presenti una serie di riferimenti ad autori senz’altro contemporanei di Giovanni, probabilmente i socii con i quali concorreva nella lettura sentenziara, che risultano attualmente di difficilissima individuazione per via della scarsità di edizioni e conoscenze sul periodo posteriore al 1344 (con Gregorio da Rimini, che commenta intorno al 1342-1344, si ha l’inizio della ‘fine’ di una conoscenza che si vuol proporre come tale del XIV secolo, che si fa progressivamente più rarefatta mano a mano che si procede in direzione del XV secolo, e che quindi – per chi vorrà cimentarsi con lo studio della seconda metà del XIV secolo e delle sue raffinate subtilitates – costituisce tuttora un terreno fertile). Senza dubbio però Ripa è anteriore ad Andrea di Novocastro (o quantomeno – giacché anche per Andrea resta ignota la data di redazione della Lectura – contemporaneo), perché nonostante autori di chiara impostazione ‘logica’ (Ockham, Gregorio da Rimini, Adamo di Wodeham) costituiscano uno dei bersagli prediletti di Ripa – il quale non risparmia, come vedremo, critiche molto forti nei confronti soprattutto di Ockham – non ho rinvenuto citazioni estese di Andrea di Novocastro, che pure fa un uso massiccio della dottrina del significabile complexe per affrontare problemi di natura anche teologica. A tale quadro, caratterizzato da una strutturale imperfezione (cui peraltro fa da contraltare una altrettanto strutturale fertilità nell’indagine) si aggiunga poi la quasi totale assenza di testi editi dello stesso Giovanni da

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Ripa – l’intero commento sentenziario giace ancora a livello manoscritto, ad eccezione del Prologo1 e di una

manciata di distinzioni2 – e l’oblio che da sempre accompagna questo Dottore e solo a questo punto avremo una vaga idea di che cosa possa significare lo studio attento del pensiero di Giovanni da Ripa.

Quale può dunque essere il punto di partenza (o di ri-partenza, dopo la ventata di studi e di edizioni critiche degli anni ’50-’70 del secolo scorso) migliore, allo stato attuale delle ricerche sulla figura del Supersubtilis, per comprendere il suo pensiero? Ritengo che tale punto sia costituito dalla Distinctio 2 del commento sentenziario, distinzione nella quale – nel pieno rispetto della tradizione non solo lombardiana, ma più che altro scotista – vengono affrontate molte questioni fondamentali per l’elaborazione di una metafisica coerente ed articolata. Ripa, da questo punto di vista, appare molto più scrupoloso, attento – cavilloso, anche – rispetto a molti autori collocati tra il 1308 e il 1354 (primo anno presumibile per la compilazione del suo Commento alle Sentenze), discutendo all’interno della Distinctio 2 molti problemi fondamentali, il cui tentativo di soluzione determina l’elaborazione del suo complesso impianto metafisico; tra questi nuclei concettuali spiccano: il rapporto tra cause accidentalmente ed essenzialmente ordinate, la possibilità di una risalita all’infinito nella serie delle cause seconde, la prova dell’esistenza di Dio basata su questo processus in

infinitum, la distinzione tra l’infinito e l’immenso, la distinzione tra un termine inclusivo (l’infinito) e un

termine esclusivo (Dio/l’immenso) della serie degli enti creati, la distinzione di almeno due tipologie distinte di infinito creato (successive e intensive), la dimostrazione dell’unicità di Dio, il dialogo con le teorie logiche sulla natura delle proposizioni, l’attenzione rivolta ad un confronto costante con le posizioni di Aristotele ed Averroè, la dipendenza dallo Pseudo-Dionigi, la distinzione tra la latitudo specierum e la latitudo

individuorum, caratterizzata la prima da una rielaborazione della quantità discreta, della quantità continua la

seconda. Tutti questi temi verranno affrontati nel corpo di questo capitolo.

Prima di dedicarsi alla loro analisi approfondita, tuttavia, è bene comprendere quale sia il modo di impostare le questioni tipico di Ripa, dal momento che egli tende ad impostare i suoi scritti secondo una struttura costante: ad aprire le questioni interne alle varie distinzioni si incontra un articolo – per così dire – ‘introduttorio’, nel quale vengono formulate 4 argomentazioni, generalmente negative, contro l’oggetto della questione, ed una argomentazione ad oppositum che riassume la posizione opposta; dalle 4 argomentazioni si ricavano 4 articoli, che compongono il corpo principale di ogni questione proposta da Ripa; al termine dell’ultimo articolo, si risponde alle 4 argomentazioni che aprono il quartetto. Il numero di questioni interne a ciascuna distinzione è variabile e legato ai problemi che Ripa ritiene opportuno risolvere; per la Distinctio 2 le questioni sono 4, ciascuna composta da 4 articoli, per un totale di 16 articoli dedicati ciascuno ad un problema distinto.

Il leitmotiv della Distinctio 2 riguarda sostanzialmente il rapporto di causalità metafisica che lega il Primo Principio e la serie degli enti causati, laddove Giovanni da Ripa – a differenza dell’intera tradizione filosofica

1 Criticamente edito negli anni ’50 – ’60 ad opera di Andrè Combes e Francis Ruello, cui però manca ancora lo stemma

codicum (peraltro di difficile realizzazione).

2 Per la distinzione 37 si veda ANDRÉ COMBES,FRANCIS RUELLO,PAUL VIGNAUX, Jean de Ripa I Sent. Dist. XXXVII: De

modo inexistendi divinae essentiae in omnibus creaturis, in Traditio, 23 (1967), Fordham University Press, New York, pp. 191–268; per le distinzioni 38-39 si veda invece H.SCHWAMM, Magistri Johannis de Ripa O.F.M. doctrina de praescientia divina. Disquisitio historica, Romae 1930.

da egli conosciuta, con particolare riferimento all’ambiente cristiano – non riserva a Dio la prerogativa di infinità, ma apre il dominio delle creature alla dimensione infinita, e ciò non solo in direzione dell’ammissione di una serie infinita di cause seconde (infinitum successive), ma anche in riferimento alla possibilità di un infinito creato (infinitum intensive), il quale – pur possedendo il connotato dell’infinità intensiva – rimane lontano dall’identificarsi con Dio, cui viene riservata una ben differente immensità.

Il primo problema dunque con il quale Ripa si deve confrontare è il seguente: utrum in latitudine entium sit

aliquis simpliciter primus gradus et omniquaque immensus3, se nella serie degli enti ci sia un primo grado

assoluto che sia secondo ogni rispetto (omniquaque) immenso. Il cuore pulsante della riflessione di Ripa in merito a questo problema è rappresentato dalla sua interpretazione dell’infinito di contro all’immenso, che bene emerge, riflettendo con attenzione, già dall’articolo introduttorio della prima questione. L’argomento ad

oppositum, infatti, ci informa che:

nihil imperfectum potest esse in entibus non originatum ab aliquo perfectiori; sed quodlibet quod non est simpliciter primum et omnino immensus est aliquo modo imperfectus, cum aliqua perfectio ymaginabilis sibi desit; ergo etc.4

Solo l’immenso è omniquaque (secondo ogni rispetto) perfectus. Ciò significa che l’infinito rimane soggetto ad una strutturale imperfezione perché privo di una perfectio che si qualifichi come assoluta secondo ogni rispetto. L’infinito ripiano infatti è sempre infinito secundum quid, secondo un aspetto ben determinato: (a) ad esempio perché l’infinito può darsi solo ascendendo verso Dio, ma non discendendo verso il non-essere; (b) più precisamente, perché l’infinito risulta sempre ottenuto e ottenibile solo per composizione (concursum

unitive) della perfezione dei gradi ad esso inferiori; (c) infine, con tratto tipicamente ripiano – ma per

comprendere la portata di questo assunto dovremo ben penetrare nelle pieghe della metafisica di Ripa con la sua ri-formulazione della distinzione formale – perché l’essere infinito non è la vita infinita; la vita infinita non è l’intelligenza infinita, e via discorrendo. Da questo breve accenno emerge anche un sottofondo neoplatonico non indifferente, verso il quale Ripa sembra molto più ricettivo di quanto non sia nei confronti di Duns Scoto. Sarà mia premura affrontare con attenzione tutti questi argomenti. Cominciamo dunque con l’analisi della prima serie di problemi, che nascono dall’ammissione di una serie infinita di cause seconde.