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Distinctio II: i fondamenti della metafisica di Giovanni da Ripa

2. Natura e caratteristiche del Primo Grado

2.4 Misurabilità dei gradi metafisici

2.4.2 Peculiarità del grado immenso

Se la perfezione metafisica degli enti creati (disposti lungo una serie che va dal grado 0 all’infinito) è misurabile per mezzo di varie latitudines che offrono di volta in volta l’esatta intensio dell’ente preso in considerazione e

64 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio I, Art. 2, cod. Vat. Lat. 1082, f. 89va. 65 ID., ibid.

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che lo rendono una participatio, secondo una precisa intensità, di una perfezione divina – intensio offerta dal concorso unitivo di tutti i gradi ad esso anteriori – cosa accade nel caso di Dio il cui grado, come abbiamo già osservato, è del tutto peculiare? Dalle considerazioni svolte seguendo il percorso di Ripa, viene preparato il terreno per una serie di interessanti considerazioni che riguardano la natura del Primo Grado. In primo luogo Ripa viene a sostenere l’assenza di qualsivoglia latitudo nel Primo Grado (nella doppia valenza di latitudo

graduum distinctorum unitive concurrentium e di misura del grado di perfezione ontologica):

primus gradus essendi simpliciter penes nullam ymaginariam latitudinem essendi in entibus mensuratur vel mensurari potest66.

La dimostrazione di questa conclusione è interessante in particolar modo per il terzo punto proposto dal filosofo marchigiano. Se infatti la presenza di una latitudo riferita o riferibile al Primo Grado implicherebbe (a) la possibilità teorica che altri enti ne possiedano la medesima latitudo, che determinerebbe a sua volta la loro identità perfettiva con Dio67, e (b) il fatto che Dio non ecceda immensamente qualsiasi grado di tale

latitudine, ma solo di un’intensità pari alla latitudo intercepta compresa tra l’ente considerato e Dio68

, la conseguenza più interessante sarebbe pur sempre (c) la non perfetta infinità divina, limitata dalla stessa latitudo ad un’infinità secundum quid, ad un’infinità soltanto ascendente ma terminata nell’estremo opposto al grado 0 (il non essere):

tertio, nam cum talis latitudo a primo gradu exclusive usque ad non gradum simpliciter sit tantum infinita secundum alterum extremum, et secundum aliud – puta non gradum – sit terminata, si perfectio primi gradus penes huiusmodi latitudinem mensuratur, talis gradus non est infinitus simpliciter, sed tantum secundum quid69.

La limitazione dell’infinità all’infinità secundum quid (secondo uno solo dei due estremi, cui fa da contraltare il non-essere come termine insuperabile) è il motivo principale per il quale l’infinito cessa, in Ripa, di essere prerogativa divina: l’essenza divina è talmente perfetta da non poter essere limitata ad una ‘banale’ infinità cui si oppone – come termine insuperabile deorsum – il non essere, che rappresenterebbe un oltraggioso limite per l’agire di Dio omniquaque infinito ed illimitato. Se l’omniquaque infinita perfezione divina fosse limitata a questa non perfetta infinità, l’infinità secundum quid, si determinerebbe (d) una particolare condizione in cui si troverebbe il Primo Grado, perché l’infinita replicazione di un qualunque ente (ente limitato dal suo grado determinato) realizzerebbe quell’infinità secundum quid che coinciderebbe necessariamente con Dio, il grado

66 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio I, Art. 2, conclusio 4, cod. Vat. Lat. 1082, f. 90vb.

67 «Primo, quia tunc omnis entitas in quam praecise concurreret unitive tota huiusmodi latitudo esset tam perfectam

essentialiter sicut Deus, cum tamen talis entitas non haberet essentialiter aliquam perfectionem praeter perfectionem creatam», ID.,ibid.

68 «Secundo, quia tunc Deus non excederet totam latitudinem entis creabilis et per consequens quemlibet gradum essendi

finitum tam intense praecise Deus excederet quanta est praecise latitudo media intercepta; sed cum talis latitudo sit infinita tantum secundum quid – puta secundum alterum extremum – sequitur quod Deus non immense simpliciter omnem creaturam excedit», ID.,ibid., ff. 90vb-91ra.

sommo della latitudo entis, annullando di fatto qualsiasi differenza tra Dio e le creature e colmando lo spazio della trascendenza70.

Una seconda serie di dimostrazioni si concentra principalmente sulla natura della latitudo, che implica necessariamente composizione e molteplicità, commistione di finito e infinito, caratteristiche che non si accordano con la supersemplicità divina. Se da un lato, infatti, già sappiamo che il Primo Grado non può includere alcuna latitudo:

primus gradus simpliciter est omnimode supersimplex; ergo non concludit formaliter et essentialiter aliquam latitudinem graduum. Consequentia patet: nam non stat sine compositione aliquam latitudinem concurrere unitive in aliquam entitatem, sicut alias declarabo71;

dall’altro risulta evidente l’impossibilità di far coesistere nello stesso ente il finito e l’infinito (o quantomeno la difficoltà intrinseca in tutti i sistemi che propongono la compresenza delle due realtà senza introdurre la trascendenza72):

omnis latitudo habens gradus finitos intrinsece est tantum infinita secundum quid – si sit infinita – et in suis gradibus intrinsecis est finita; sed Deus est omniquaque immensus essentialiter; ergo in Deo nulla est latitudo essentialis, et per consequens nulla est in ipso latitudo per quam distet a non gradu essendi. Sed si per aliquam latitudinem distaret a non esse simpliciter penes quam mensuraretur, talis esset intrinseca latitudo: nam sicut in essentiis creatis, ita etiam in essentia increata quaelibet talis per se ipsam est tanta vel tanta, et non per se ipsam tantum vel tantum distat a quacumque alia essentia inferiori vel a non gradu73.

L’infinità risulta secundum quid per un duplice aspetto: (a) da un lato essa è infinità solo secundum quid perché vincolata alla serie ascendente dei gradi di perfezione o degli enti, mentre il suo termine iniziale rimane sempre il grado 0, ossia il non-essere in quanto tale, che comporta l’arresto nel processum e impedisce la discesa all’infinito; (b) dall’altro l’infinità risulta secundum quid perché anche il grado infinito, pur essendo in sé infinito, risulta composto dalla compresenza unitive di infiniti gradi di perfezione (tutta la serie infinita degli enti, dal grado 0 all’irraggiungibile n+1) che in sé sono inoltre finiti, determinando così una infinità

70 «Quarto, nam quilibet gradus in huiusmodi latitudine finitus, infinities replicatus, constitueret totam huiusmodi

latitudinem; ergo si talis latitudo et primus gradus sunt aequales, sequitur quod ex cuiuscumque gradus finiti in huiusmodi latitudine infinita replicatione constitueretur ymaginarie tantus gradus sicut est primus gradus simpliciter. Consequens impossibile: nam cum ex infinita replicatione puncti non possit constitui aliqua linea nec aliqua pars ipsius, nec ex infinita replicatione lineae aliqua superficies, sequitur quod maior est proportio lineae ad punctum, vel superficiei ad lineam, quam Dei ad quantumlibet parvam entitatem creatam, quod est absurdum», ID.,ibid.

71 ID.,ibid.

72 Si tenga presente ad esempio il sistema di Spinoza, la cui difficoltà principale coincide con l’impossibilità (forse) di

accordare una serie infinita di modi finiti con l’infinità strutturale della sostanza unica (difficoltà obiettata al filosofo olandese da molti, vedasi Tschirnaus nell’Epistolario). Ripa sembra sfuggire a questo impasse grazie alla distinzione introdotta tra l’infinito e l’immenso, distinzione che garantisce l’appiattimento dell’infinito sul finito (infinità secundum quid, terminata ad un estremo al grado 0 ed estensibile all’infinito dall’altro) e l’inserimento della trascendenza tra l’infinito e l’immenso (vera infinità, priva di parti, finite o infinite, priva di misura e misurabilità).

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strutturalmente imperfetta o incompleta. L’immenso risulta invece metafisicamente superiore e trascendente l’infinità, nella misura in cui non è vincolato ad alcuna latitudo o composizione: non c’è alcun quid che lo determini; esso è assenza di determinazione (nella misura in cui ogni determinazione è negazione: negazione di altre determinazioni, limitazione di una determinazione ad un grado determinato, oppure ancora concorso unitivo di più gradi di perfezione in sé determinati), infinità puntuale74.

Il concorso unitivo dei gradi di perfezione anteriori in ogni ente di perfezione superiore potrebbe dare adito ad alcuni interrogativi: si potrebbe ad esempio obiettare che, se ogni ente racchiude al suo interno unitive tutti i gradi ad esso inferiori, una qualunque qualità o essenza racchiuderebbe al suo interno qualità diverse o essenze distinte (e quindi sarebbe essenzialmente differente da sé stessa), il che sarebbe contraddittorio75. L’obiezione è risolta dallo stesso filosofo distinguendo una doppia valenza dell’uniformità o della difformità: qualcosa può dirsi uniforme in sé stesso, in base alla qualità che lo qualifica; oppure uniforme in comparazione alle sue parti quantitative. L’argomento di Ripa è il seguente:

primo modo dico quod quilibet gradus qualitatis est in se quaedam latitudo intensiva a gradu suae denominationis usque ad non gradum, et ideo quilibet talis gradus infra suam essentiam, absque omni habitudine ad subiectum in quo extenditur, est difformis, et contradictionem includit aliquem gradum non esse deformem praeter illum qui infra suam essentiam nullam includit latitudinem gradualem: talis autem est solus gradus supersimplex et immensus, gradus scilicet entitatis divinae. Et isto modo, sicut quilibet gradus qualitatis est deformis infra suam essentiam, ita quilibet talis deformiter actuat quodlibet subiectum, sive sit indivisibile – sicut qualitates immateriales sunt actus substantiarum immaterialium – sive sit divisibile, sicut subiectum materiale. Et ideo qualitercumque uniformiter extendatur aliquis gradus qualitatis materialis per aliquod subiectum, semper tamen illud subiectum difformiter actuat, secundum quod claudit infra suam essentiam deformitatem graduum seu latitudinem. Si vero aliquid denominetur uniforme vel difforme in comparatione ad suas partes quantitativas – sicut consuevit vocari apud sophystas corpus uniforme cuius quaelibet pars quantitativa est aeque intensa aliqua qualitate sicut totum praecise, et una pars sicut alia, et opposito modo difforme cuius una pars est magis intensa quam alia vel quam totum – sic dico quod aliquid corpus potest esse uniforme, quoniam aliquis gradus qualitatis potest sic correspondere subiecto quod quaelibet pars ipsius erit aeque intensa cum alia. Sed quia prima ratio videtur procedere ad probandum quod quilibet gradus est difformis primo modo, ideo contra me non procedit76.

74 «Tertio sic: omnis latitudo habens gradus finitos intrinsece est tantum infinita secundum quid – si sit infinita – et in suis

gradibus intrinsecis est finita; sed Deus est omniquaque immensus essentialiter; ergo in Deo nulla est latitudo essentialis, et per consequens nulla est in ipso latitudo per quam distet a non gradu essendi», ID.,ibid.

75 ID.,ibid., f. 92ra. 76 ID.,ibid., ff. 92ra-rb.

Infine un ultimo argomento, che richiama la necessità che da Dio proceda (come un avicenniano fluxus entium) l’intera serie degli enti disposti su una determinata latitudo, impedisce strutturalmente di considerare Dio al pari di questa latitudo:

primus gradus simpliciter est prior omni ymaginaria latitudine graduum; igitur penes nullam huiusmodi latitudinem potest ipsius infinitas mensurari. Consequentia patet: nam sicut unitas a qua perfluit omnis numerus velut prior non est mensurabilis secundum perfectionem penes aliquam latitudinem numeralem, ita gradus prior naturaliter omni ymaginaria latitudine graduum essendi in entibus, et antecedens patet ex primo articulo. Confirmatur: nam primus gradus essendi simpliciter non est ymaginarie mensurabilis ex aliquo gradu finito, finities vel infinities replicato, cum quilibet talis gradus presupponat gradus remissiores et ideo non potest esse simpliciter primus gradus; ergo infinitas huiusmodi gradus non est mensurabilis per aliquam latitudinem, cum quaelibet latiduto sit mensurabilis per cuiuslibet sui gradus intrinseci finitam vel infinitam replicationem; sic ergo patet praemissa conclusio77.

L’immensità divina si struttura quindi nel darsi di un grado che – unico nella serie possibile di tutti gli enti – è privo di latitudo, privo di misura o misurabilità che non sia la sua stessa puntuale immensità, e che eccede altrettanto immensamente qualunque ente preso in considerazione78. Ciò implica che anche l’agire divino (quindi la volontà divina) non sia modulabile in intensità; l’agire divino sarà sempre immenso, benché gli effetti producibili possano variare quanto alla loro intensità ontologica:

quodlibet divinum agere respectu cuiuslibet termini actionis est omnimode indivisibiliter agere intensive, ita quod non est intensius nec potest esse maius ad intra quam ad extra, et ad extra respectu unius effectus quam alterius: semper enim Deus agit secundum unicum indivisibilem gradum sui conatus, qui est supersimplex omnimode et immensus79.

Quest’ultimo rilievo merita una particolare attenzione. Lungo tutto il corso delle distinzioni di carattere più metafisico (seconda, terza ed ottava per restare ai contenuti di questo lavoro), Ripa è impegnato in una polemica piuttosto accesa contro una serie di Dottori Moderni che ammettevano in Dio la presenza di una

latitudo che consentisse una modulabilità dell’agire divino compatibile con la diversità dei gradi di perfezione

ontologica degli enti creati. Lo status inedito di molti commenti sentenziari (per non dire smarrito, o smembrato, o nascosto sotto l’anonimato di qualche codice) del periodo immediatamente anteriore a Ripa non mi consente ancora di stabilire con precisione chi fossero questi Dottori, tuttavia è palese che questa posizione

77 ID.,ibid., f. 91ra.

78 «Ex qua quinta oritur quae est ista: primo enti simpliciter – puta Deo – secundum nullam denominationem essentialem

potest correspondere aliqua latitudo seu distantia intensiva realis vel ymaginaria», ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio I, Art. 2, conclusio 5, cod. Vat. Lat. 1082, f. 91ra. Ciò implica che Dio non solo ecceda immensamente qualunque ente si voglia considerare, ma che ecceda immensamente anche tutta la latitudo entium considerata nella sua interezza: «sexta conclusio: primus gradus simpliciter totam ymaginariam latitudinem citra ipsum immense excedit», ID., I

Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio I, Art. 2, conclusio 6, cod. Vat. Lat. 1082, f. 91rb.

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consentiva loro di spiegare la diversa intensità degli enti creati a partire da un’originaria differenza di intensità nell’agire divino stesso (che, pur caratterizzato da una potenza infinita, poteva modulare la propria intensità in tutti gli infiniti gradi possibili di intensità che compongono la latitudo entium), ma li costringeva nondimeno ad introdurre tale latitudo direttamente nell’essenza divina, il che – abbiamo visto – costituiva invece una contraddizione in termini per Ripa. L’approccio marcatamente metafisico che caratterizza la filosofia più genuina di Ripa (e che si riflette in un’organica e complessa analisi sulla differenza tra immensità e infinità e sullo statuto proprio dell’essenza divina omniquaque immensa) non poteva strutturalmente permettere al dottore marchigiano di introdurre nell’essenza divina una latitudo che andava invece a caratterizzare, sebbene in una modalità particolare che vedremo essere un’innovazione autenticamente ripiana, anche l’infinità, tra l’altro a sua volta depotenziata dal ruolo che tradizionalmente ricopriva nella storia della filosofia. Quello che è certo, inoltre, è che la vivace polemica che accompagna le discussioni sulla presenza o meno di una latitudo nell’essenza divina deve essere ricollegata al più generale panorama culturale di quegli anni, nel quale la matematica, la geometria e la scienza delle misurazioni cominciavano ad essere massicciamente utilizzate anche in teologia, come ben vedremo nel secondo capitolo di questo lavoro dedicato alla questione – piuttosto innovativa – della perfectio specierum.

A fronte di tutti i rilievi effettuati, siamo in grado di comprendere la conclusione ultima cui giunge Ripa nell’analisi dell’immensità divina. Caratterizzata da un’immensità assolutamente puntuale e priva di latitudo, l’essenza divina – per mezzo della sua stessa immensità omniquaque perfetta ed indivisibile – eccede tutti gli enti creati, compreso l’infinito che ne resta sempre immensamente distante:

septima conclusio est ista: primus gradus simpliciter sua immensitate et omnino indivisibili et supersimplici entitate excedit quidquid excedet80.

L’eccesso dell’immensità divina rispetto a qualsiasi ente e qualsiasi latitudine è tale che la trascendenza viene garantita proprio da questa struttura; la trascendenza si innesterà dunque non tra l’infinità e la finitezza, ma piuttosto tra l’immensità divina (da un lato) e l’infinità/finitezza (dall’altro). Si tratta, in questo caso, di un’autentica innovazione ripiana, che avrà ripercussioni significative sia sullo statuto della creatura infinita sia su altre tematiche come la possibilità di un’infinità attuale, o – significativamente – la temporalità.