Distinctio II: i fondamenti della metafisica di Giovanni da Ripa
2. Natura e caratteristiche del Primo Grado
2.3 Perfezione ontologica e dipendenza metafisica
Posta dunque la non-contraddittorietà intrinseca di una serie infinita, Ripa deve ora mostrarne la necessità metafisica, necessità che – come abbiamo accennato – abbraccia anche il bisogno di fondazione di questa serie. L’elemento strutturale che viene a sostenere la possibilità della serie infinita di cause è un interessante ripensamento congiunto dei concetti di perfezione ontologica e di dipendenza metafisica. L’assunto di Ripa è disarmante nella sua semplicità, e brevemente riassumibile in questa forma: quanto più un ente creato è perfetto, tanto più è dipendente dal punto di vista metafisico, ossia richiede una causa sempre più potente/perfetta per essere tratto all’esistenza; da ciò si conclude che l’infinito – a differenza di quanto comunemente ammesso fino a Ripa – non è autosussitente, ma è infinitamente bisognoso di fondazione. È questa la radice originaria sulla quale si innesta la separazione infinito/immenso, e per la quale Ripa può
aliquo sui, vel ab aliquo extrinseco. Si ab aliquo sui, ergo idem causat se; consequentia patet per eius deductionem. Si ab aliquo extrinseco ergo aliquid extrinsecum toti multitudinum hominum praeteritorum genuit generatione unica totam istam multitudinem, et per consequens talis fuit aliquis primus homo simpliciter, quod est impossibile iuxta ymaginationem Philosophi, ymmo ex hoc sequitur quod tota ista multitudo est tantum finita, quod erat probandum. Dico ergo quod sicut in casu isto tota multitudo hominum praeteritorum fuit genita – quia quaelibet unitas ipsius multitudinis – ita etiam tota fuit genita ab aliquo homine et tota fuit genita ab aliquo homine ipsius multitudinis; nullus tamen est, vel fuit, homo qui genuerit totam istam multitudinem, sicut nec aliquis fuit qui fuerit ante totam. Et ita in propositum diceretur: concedo scilicet quod tota multitudo causarum essentialiter ordinatarum respectu a est creata et ab aliquo sui; nec tamen aliquid producit se, sed quodlibet producitur ab aliquo supra se infra datam multitudinem. Sed quid si ly ‘tota’ sumatur cathegoremathice? Dico quod sicut ista propositio: ‘tota multitudo hominum praeteritorum est generata generatione unica’ est concedenda vel neganda, ita potest concedi vel negari ista: ‘tota multitudo omnium causarum essentialiter ordinatarum est causata’. Unde videtur mihi quod iuxta viam Philosophi haec est falsa: ‘tota multitudo hominum praeteritorum est generata’ sumendo cathegoremathice ly ‘tota’: nihil enim generavit totam hanc multitudinem, quamvis quaelibet eius unitas sit generata; ita neganda est haec: ‘tota multitudo talium causarum est causata’. Et si arguatur contra hoc, nam talis multitudo vel est causata vel independens, eodem modo potest argui de multitudine hominum; et si iterum arguatur: ‘quaelibet unitas talis multitudinis est causata, ergo tota multitudo’, non concluditur, nisi sumendo ly ‘tota’ universaliter et sincathegoremathice; sed cathegoremathice consequentia est neganda. Unde nec sequitur: ‘quaelibet unitas a multitudinis est pars a multitudinis; ergo tota a multitudo est pars a multitudinis’, sumendo ly ‘tota’ cathegoremathice», IOHANNES DE RIPA, I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio I, Art. 1, cod. Vat. Lat. 1082, ff. 88vb-89ra.
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affermare che l’esistenza divina si ricava molto meglio da una serie infinita di cause/enti piuttosto che da una serie soltanto finita.
In primo luogo, posta la risalita all’infinito nella serie delle cause, resta ancora da dimostrare il darsi di un Primo Principio esterno a questa risalita infinita34; la critica dell’argomento di Wodeham, che porta con sé una
polemica con l’uso massiccio della logica del tempo, non elimina la consapevolezza (che proviene da Agostino,
De Trinitate, I, 135) dell’impossibilità che uno stesso ente possa essere causa di sé stesso. Per dimostrarne
l’esistenza di un Primo Ente esterno alla serie infinita delle cause seconde, Ripa utilizza due proposizioni, riferite (a) alla perfezione ontologica e (b) alla dipendenza metafisica. Da un lato, infatti:
si a sit infima causa in tali ordine, et b sit causa superior et c superior b, et sic in infinitum, in tali coordinatione est possibilis causa in duplo perfectior quam a et in triplo, et sic in infinitum36;
quanto più risaliamo nella serie delle cause essenzialmente ordinate, tanto più risaliamo in perfezione ontologica, se non altro perché la prima condizione delle cause essenzialmente ordinate impone che la causalità sia di un altro ordine e di un’altra perfezione, e ciò si riflette immediatamente sul livello di perfezione degli enti che esprimono quella determinata causalità. Il risultato è che mano a mano che procediamo in dir ezione di un (comunque irraggiungibile) infinito, tanto più prossima all’infinito si fa anche la perfezione delle cause che prendiamo in esame; poco importa che l’infinito rimanga sempre irraggiungibile in virtù della necessità strutturale di quell’n+1 che abbiamo già brevemente analizzato: ciò che importa è che la struttura delineata, anche in una serie che rimane strutturalmente aperta, è tale che la perfezione cresce asintoticamente verso l’infinito in modalità continua e progressiva, matematica, determinando una perfezione ontologica degli enti superiori che si fa sempre più prossima all’infinito (senza peraltro poterlo mai raggiungere, proprio per la strutturale possibilità di un sempre ulteriore n+1).
Dall’altro lato, la risalita in perfezione risulta contemporaneamente indice di una dipendenza metafisica sempre crescente:
quaelibet causa perfectior in data coordinatione, in qua proportione est intensior alia quoad gradum essendi, in ea proportione praecise est dependentior alia quacumque remissiori37;
ciò implica che una qualunque causa (e più ancora l’ente che è espressione di quella determinata causalità) quanto più è perfetta, tanto più ha bisogno di una potenza maggiore per essere fondata. A rigore di termini il lessico di Ripa è molto preciso, e qualifica questa dipendenza metafisica come latitudo dependentiae: quanto
34 «Restat igitur nunc investigare de tertio, quomodo scilicet possit probari aliquid esse simpliciter primum, ponendo in
causis essentialiter ordinatis processum in infinitum», ID., ibid., f. 89ra.
35 «Aut ergo a se, aut a nihilo vel ab aliquo alio. Non a nihilo, quia nullius est causa illud quod nihil est, nec a se, quia
nulla res est quae se ipsam faciat vel gignat», AUGUSTINUS, De Trinitate, I, 1.
36 IOHANNES DE RIPA, I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio I, Art. 1, propositio 1, cod. Vat. Lat. 1082, f. 89ra. 37 ID., I Sententiarum, Distinctio 2, Quaestio I, Art. 1, propositio 2, cod. Vat. Lat. 1082, f. 89ra.
più cresce la latitudo perfectionis di un ente, tanto più cresce la sua latitudo dependentiae, in modo tale che la loro crescita sia legata in maniera direttamente proporzionale:
continue aequaliter sicut cresceret in latitudine essendi, ita acquireret latitudinem dependentiae, et per consequens proportionaliter sicut res est intensior, ceteris paribus, ita magis dependet respectu causae infimae sibi immediatae38.
Ad ogni porzione della latitudo perfectionis corrisponde proporzionalmente la stessa porzione di una latitudo
dependentiae39. L’individuazione di questa latitudo dependentiae costituisce a sua volta il primo momento di
un percorso che lega poi in secondo luogo la dipendenza metafisica (quantificata per mezzo di questa latitudo
dependentiae e che rappresenta il ‘bisogno metafisico di fondazione’ di un ente) all’intensità dell’actio di una
causa sufficiente a trarla all’esistenza. In altre parole: un ente di perfezione pari a 5 (latitudo perfectionis) avrà una corrispettiva latitudo dependentiae pari a 5, e quindi richiederà una causa sufficientemente potente, di intensità pari o superiore a 5, per essere tratta nell’esistenza; un ente di perfezione 11 (latitudo perfectionis) avrà una latitudo dependentiae pari a 11 e quindi richiederà una causa di intensità pari o superiore ad 11 per essere tratta all’esistenza, e così via:
sit enim b in duplo intensior quoad gradum essendi quam a; tunc arguo sic: actio qua b fluit in esse est in duplo intensior quam actio terminata ad a; hoc enim est generaliter verum respectu causarum immediatarum agentium solum finite; ergo b in duplo magis dependet in esse quam a. Consequentia patet: nam quaelibet res tantum praecise est dependens in esse quantum est agere quo producitur vel conservatur in esse; respectus enim dependentiae fundatur in actione et passione et penes ipsam quantificatur40.
Naturalmente l’assunto che rimane implicitamente non-detto, ma comunque costantemente attivo, è che una causa non può produrre un effetto superiore alla propria intensità, ma può invece produrre tutti gli effetti di intensità inferiore o uguale alla propria. Se inoltre il percorso tracciato è vero ‘generalmente in riferimento alle cause agenti soltanto finite’, cosa accade con quell’infinito che Ripa ha già ammesso come creaturalmente possibile? Il punto focale dell’intera argomentazione di Ripa riguarda il fatto che l’infinito stesso non sfugge alla logica tipica di una qualsiasi causa finita: se la latitudo perfectionis e la latitudo dependentiae crescono in maniera direttamente proporzionale e asintoticamente verso l’infinito, teoricamente l’ente infinito è quell’ente che avrà una latitudo perfectionis ∞ e contemporaneamente una latitudo dependentiae ∞ , ossia un bisogno metafisico di fondazione pari a ∞. L’infinito non sarà dunque quella causa che – proprio in virtù della sua infinità – è in grado di sostenersi da sé (o meglio, di coincidere con la divinità, evitando così l’errore di una risalita all’infinito nella serie delle cause o di una causa prima che si fonda da sé), come poteva ancora essere
38 ID., ibid., f. 89ra.
39 «B correspondet dupla latitudo essendi ad a, et cuilibet parti aequali suae latitudinis aequalis correspondet latitudo
dependentiae, ergo etc.», ID., ibid..
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per Duns Scoto il quale collocava nell’infinito la cesura netta che separa il dominio delle creature dal dominio divino; l’infinità di Ripa sarà invece nient’altro che quella causa (o ente) che è infinitamente bisognosa di fondazione:
si a per ymaginationem cresceret acquirendo totam latitudinem perfectionis et causalitatis datae coordinationis, et in fine crementi haberet praecise totam latitudinem perfectionis et causalitatis prius acquisitae, in tali instanti esset sub infinito gradu perfectionis et etiam dependentiae, cum illi extremo correspondeat gradus dependentiae infinitus41.
È vero che l’infinito è infinitamente più perfetto di una qualunque causa seconda, ma è anche infinitamente più bisognoso di fondazione. Anche l’infinito, dunque, che si pone come il terminus intrinsecus dell’intera serie delle cause seconde, ha bisogno di un terminus extrinsecus che ne rappresenti il Principio e il fondamento. La distinzione tra l’infinito e l’immenso sancisce proprio questa distinzione, tutta peculiare della metafisica di Ripa.
Pur senza togliere forza al cogente ragionamento di Ripa, è interessante notare come emergano in nuce alcuni paradossi dell’infinito: un sasso, pur essendo infinitamente meno perfetto di un ente infinito, è infinitamente meno bisognoso di fondazione (ossia richiede una causa esterna meno perfetta) per essere tratto e conservato nell’esistenza; in secondo luogo, qualunque causa seconda noi consideriamo, la latitudo che si trova al di sopra di essa sarà sempre infinitamente più perfetta e più bisognosa di fondazione rispetto alla latitudo collocata al di sotto di essa:
cum in tali coordinatione ab infima causa versus superiores sit ascensus in perfectionem essendi – ex prima propositione – et maxime hoc proportionaliter in latitudine dependendi, sequitur quod in tali coordinatione causae superiores magis exiguunt extrinsecum a quo dependeant quam causae inferiores; et per consequens data quacumque multitudine finita in tali coordinatione versus causam infimam, illa minus est dependens quam tota coordinatio residua42.
L’esito ultimo del percorso di Ripa relativamente a questa sezione coincide con la consapevolezza che l’esistenza di Dio non solo non è in conflitto con il darsi di una successione infinita di cause, o con un infinito creaturale, ma addirittura si evince meglio proprio dall’infinita successione delle cause:
ergo ex tota coordinatione infinita evidentius arguitur aliquid simpliciter primum et extrinsecum a quo dependeat quam ex coordinatione solum finita, et per consequens evidentius probatur ex multitudine infinita huiusmodi causarum aliquod esse simpliciter primum et per se necesse esse quam ex multitudine solum finita hoc evidenter probatur, ut prius fuit deductum; ergo etc43.
41 ID., ibid., ff. 89rb-va. 42 ID., ibid., f. 89rb. 43 ID., ibid., f. 89rb.