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Sezione II: Il controllo del giudice.

7. Le critiche della dottrina

A differenza della giurisprudenza, la dottrina non ha mai avuto dubbi sulla natura di condanna della sentenza dell'art 444 c.p.p.(229)

Non sono mancate però anche in dottrina opinioni contrarie che non attribuiscono alla sentenza di patteggiamento tale carattere.

Alcuni hanno espresso una posizione estrema, arrivando a negare la natura di sentenza al procedimento ex art 444 c.p.p, ritenendo che "la pronuncia sull'accordo delle parti è assimilabile ad una figura archetipica di composizione negoziale; in logica processuale equivale al decreto giudiziale di archiviazione."(230)

Altri ne rinvengono una natura "atipica" in quanto si risolverebbe

(226) Cass, sez.Un, 27 Marzo 1992, Di Benedetto, in Giur.it, 1993, II, pag 203ss. (227) G. SANTALUCIA, Patteggiamento e revoca di diritto della sospensione

condizionale: le Sezioni unite mutano orientamento, in Cass.pen, 2006, pag 2782. (228) F. CORDERO, Procedura penale, VIII ed, Giuffrè, Milano, 2006, pag 1048. (229) G. LOZZI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti in

Riv.it.dir.proc.pen, 1989, 27ss; CONSO, E' in corso il dibattito sul progetto preliminare del 1988, in Giust.pen, I, 294, MONTI, La sentenza di patteggiamento come sentenza di condanna: una soluzione che sembra l'unica possibile, in Arch.n.proc.pen 1992, 175ss. TAORMINA, Qualche riflessione in tema di natura giuridica della sentenza di patteggiamento, in Giust.pen, 1990, III, 650; PERONI, La sentenza di patteggiamento, CEDAM-Padova, 1999. (230) G. ALTIERI, Natura della decisione ex art 444 c.p.p, in Arch.n.proc.pen, 1992,

nell'accertamento del consenso al rito, che è segno di ammissione dei fatti da parte dell'imputato(231); oppure, ritenendo che il giudice debba

attenersi alla sola verifica dell'insussistenza delle condizioni che legittimano il proscioglimento ex art 129 c.p.p, concludono che l'applicazione della pena averrebbe "con sospensione dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato."(232)E da ultimo taluno

riconosce l'esistenza di un rito che consente di applicare una sanzione penale, prescindendo da un accertamento "pieno e completo" della responsabilità dell'imputato.(233)

Prevale però in dottrina l'impostazione che afferma che la sentenza non può discostarsi dal consueto schema: giudizio sui fatti e sulla responsabilità, condanna, applicazione della pena.(234)

Gli elementi a sostegno della tesi cognitiva, che presuppone l'accertamento della responsabilità, si ricavano dalle valutazioni e dai controlli che il giudice è chiamato a fare "sulla base degli atti." Tale richiamo trova eco nell'art 135 disp.att.cp.p secondo il quale "il giudice, per decidere sulla richiesta di applicazione della pena rinnovata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ordina l'esibizione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero."

Non si vede a quale fine sarebbe richiesto al giudice di esaminare gli atti, se non ai fini della loro conoscenza e quindi di un loro utilizzo ai fini della decisione, il che realizza senza dubbio un accertamento risolventesi nella "conoscenza dei presupposti cui la legge subordina,

(231) M. BOSCHI, Sentenza di condanna atipica per l'applicazione di pena patteggiata, in Giust.pen, 1990, III, pag 645.

(232) A. MACCARONE, Ancora sulla natura della sentenza emessa ex art 444 c.p.p, in Giust.pen, 1994, pag 413-416.

(233) V. FANIZZI, Aticipità della sentenza di patteggiamento e principi costituzionali, in Riv.pen, 1994, pag 117ss.

(234) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, 2000, pag 333.

mediante una predeterminata regola di giudizio, l'adozione di un certo tipo di decisione."(235)

Lo stesso riferimento alla necessità che il giudice decida "sulla base degli atti" e valuti l'accordo sulla base di questi muove a favore di un livello probatorio che risulta caratterizzato da una tendenziale provvisorietà, ma non per questo è inidoneo a consentire un giudizio positivo sul fatto e sulla responsabilità.

Dunque il quadro probatorio potrà essere caratterizzato da incompletezza e provvisorietà rispetto alla plena cognitio che si avrebbe all'esito dell'istruttoria dibattimentale, ma dovrà comunque consentire al giudice di effettuare un giudizio di correlazione fra fatto, cornice probatoria e prospettazione operata dalle parti.

Al riguardo, non pare sostenibile la considerazione che vede nella richiesta dell'imputato la capacità di compensare la debolezza degli elementi probatori. Il consenso dell'imputato al rito non assume una valenza sostanziale bensì la richiesta o l'adesione sono il frutto di una scelta processuale. Infatti il giudice non compie nessuna indagine finalizzata a valutare le ragioni della richiesta o del consenso prestato, ma al massimo dispone la comparizione dell'imputato per verificare la volontarietà della sua adesione.(236)

A dire il vero, però, in dottrina non sono mancati indirizzi volti a individuare nel consenso dell'imputato un "momento confessorio"(237) o

un'ammissione di responsabilità per facta concludentia.(238) (235) S. MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale

negoziata, Milano, 2005, pag 170.

(236) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, 2000, pag 336.

(237) C. TAORMINA, Qualche riflessione in tema di natura giuridica della sentenza di patteggiamento, in Giust.pen, 1990, III, 652 secondo il quale l'accertamento della responsabilità deriva "non già, come solitamente avviene, dai risultati delle prove, ma da un riconoscimento della fondatezza dell'accusa da parte dell'accusato".

Il riferimento alla confessione è rischioso in quanto consentirebbe di introdurre una sorta di prova legale volta a surrogare la non conclusività dei dati acquisiti, inoltre un'eventuale confessione non può che essere vagliata in rapporto agli altri elementi acquisiti, in quanto non potrebbe esimere l'accusa dall'onere della prova e non sarebbe sufficiente di per sè a legittimare l'applicazione della pena.

Anche il tentativo di utilizzare le categorie civilistiche, come il riferimento al così detto "fatto pacifico"(239) che esimerebbe dall'onere

della prova, finisce per essere fuorviante poichè andrebbe ad oscurare un vincolo del giudice alla volontà delle parti o a comprimere i poteri di controllo nel merito. Allora bisogna escludere queste ricostruzioni e propendere ancora una volta per la tesi cognitiva.

Un altro elemento a favore di quest'ultima è che il giudice, a cui è sottoposta la richiesta per l'applicazione della pena, deve effettuare il controllo imposto dall'art 129 c.p.p. Da questa norma, che disciplina anche formule assolutorie nel merito come "il fatto non sussiste" o "l'imputato non l'ha commesso", si deduce la necessità di svolgere l'accertamento in fatto per cui è richiesto il patteggiamento.(240)

La proposta di una pena correlata al reato, ma che non implica l'attribuzione della responsabilità, se era astrattamente configurabile alla luce dell'originaria versione dell'art 444 c.p.p, risulta insostenibile dopo l'introduzione del criterio della valutazione della congruità della pena, da operare attraverso i criteri di cui all'art 133 c.p e in funzione

patteggiata, in Giust.pen, 1990, III, 645-648 in cui afferma che l'applicazione della pena non consegue all'accertamento di responsabilità da parte del giudice, ma alla richiesta di patteggiamento dell'imputato come "confessione di responsabilità per fatti concludenti".

(239) D. SIRACUSANO, Le prove, in AA.VV, Manuale di diritto processuale penale, Milano, 1994, I, pag 372-373.

(240) S. MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale

negoziata, Milano, 2005, pag 170; G. LOZZI, Giudizi speciali e deflazione del dibattimento, in Legislazione penale, 1989, pag 567-568.

rieducativa. Questi parametri risulterebbero privi di significato se fossero riferiti ad un ipotesi di reato e a un presunto colpevole.

Nella stessa direzione si pone la disposizione che consente di subordinare la richiesta di patteggiamento alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Questa previsione fa sì che il giudice svolga una prognosi, alla luce delle circostanze ex art 133 c.p, sulla astensione del colpevole dalla commissione di ulteriori reati. Tale giudizio risulterebbe improponibile se sganciato dall'accertamento della responsabilità di chi patteggia.(241)

Anche le modifiche legislative degli anni duemila avvalorano la tesi che vede un accertamento della responsabilità nell'ambito della sentenza di patteggiamento. In particolare, in questa direzione si muove la novella del 2003 che ha riconosciuto la sottoponibilità della sentenza di patteggiamento al rimedio straordinario della revisione. Se si ammettesse che la sentenza di patteggiamento non contenga la dichiarazione di responsabilità si avrebbe uno strappo insanabile con l'ordinamento; al riguardo basta pensare ai motivi di revisione, i quali presuppongono che la sentenza da riformare contenga un previo e insoddisfacente accertamento dei fatti.(242)

Sempre a sostegno della tesi cognitiva si pone un argomento sistematico che ha riguardo alla forma che assume il provvedimento con cui il giudice accoglie la richiesta delle parti. L'art 111, sesto comma, Cost nel prevedere infatti che "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati" e l'art 444 c.p.p che stabilisce che l'accordo delle parti, laddove confermato dal giudice, ha la forma di sentenza, comportano l'estensione a tale provvedimento del modello

(241) D. VIGONI, La natura della sentenza ex art 444 c.p.p, in Riv.dir.proc, 1999, pag 280.

(242) S. MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale

di sentenza di cui all'art 546 primo comma lett e) c.p.p, il quale esige che la sentenza renda note le prove a fondamento della decisione e le ragioni per cui non sono state ritenute persuasive le prove contrarie. Quindi risulterebbe impossibile applicare questa previsione normativa laddove non si attribuisse al giudice il potere di svolgere un'attività accertativa.

Un altro elemento sistematico a favore della teoria cognitiva deriva dalla considerazione della giurisprudenza costituzionale in tema di incompatibilità. Secondo tale orientamento il controllo del giudice del patteggiamento spazia dal merito alla legittimità, mettendo capo ad "una valutazione ai fini di una decisione non formale, ma di contenuto" e costituendo "giudizio" agli effetti dell'art 34 secondo comma c.p.p, per cui non potrebbe omologare una richiesta di patteggiamento il giudice che versi in un precedente stato di incompatibilità.(243)

La modifica della novella del 2003, che ha determinato l'estensione dell'ambito operativo del patteggiamento, è stata l'occasione per avanzare una lettura asimmetrica dell'istituto: il patteggiamento "allargato" presupporebbe l'accertamento della responsabilità mentre quello "tradizionale" ne rimarrebbe sprovvisto.(244)

Questa impostazione non è stata accolta dalle Sezioni Unite del 2005, che hanno optato per una ricostruzione in chiave unitaria dell'istituto. Inoltre, non si può disconoscere pure nelle ipotesi di patteggiamento "allargato" l'esistenza di un accertamento di responsabilità, che al più può essere incompleto ma non assente. Si parla di accertamento incompleto per indicare che il giudice deve valutare il quadro probatorio esistente nel momento in cui viene avanzata la richiesta di

(243) S. MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale

negoziata, Milano, 2005, pag 170; G. LOZZI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti in Riv.it.dir.proc.pen, 1989, pag 27ss.

(244) E. AMODIO, I due volti della giustizia negoziata nella riforma del patteggiamento, in Cass.pen, 2003, pag 700 ss.

applicazione della pena, senza la possibilità di integrare il materiale. Anche se incompleto l'accertamento è comunque indispensabile. A dimostrazione di ciò si fa riferimento alla legge n°97 del 2001 che ha riconosciuto alla sentenza di patteggiamento efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità "quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illecità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso".

Dunque, risulterebbe difficile spiegare come una sentenza priva di accertamento possa vincolare il giudice del procedimento disciplinare a ritenere sussistente il fatto e responsabile il condannato. Una simile interpretazione determinerebbe un vizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art 445 comma 1-bis e 653 comma 2-bis c.p.p sotto il profilo della violazione dell'art 24 comma 1 Cost e 3 Cost.(245)

La soluzione volta a riconoscere alla sentenza di patteggiamento carattere cognitivo consente il rispetto dei principi costituzionali, evita la scissione del nesso di consequenzialità tra accertamento in punto fatto/responsabilità e pena e, infine, esclude una configurazione non conforme all'ordinamento e ai suoi principi informatori.(246)

Al contrario, se si accettasse la tesi anti-cognitiva, in cui l'applicazione di una sanzione penale non troverebbe fondamento nell'accertamento della responsabilità dell'accusato, si sarebbe costretti ad ammettere che ordinamenti giuridici che si dichiarano moderni e liberali applicano la sanzione detentiva senza preoccuparsi minimamente del fatto che ne sussistono i presupposti.(247)

(245) G. LOZZI, Una sentenza sorprendente in tema di patteggiamento "allargato", in Riv.it.dir.proc.pen, 2004, pag 673.

(246) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, 2000, pag 343.

(247) S. MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale

Così è chiaro che la tesi anti-cognitiva non sembra avere altra giustificazione, se non quella che si rapporta a un calcolo "economico- utilitaristico" nel senso di disporre di uno strumento che consente una drastica riduzione del carico giudiziario.(248)

(248) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, 2000, pag 345.

CAPITOLO IV

LE IMPUGNAZIONI: IN PARTICOLARE LA REVISIONE

SOMMARIO: 1. Considerazioni preliminari – 2. L'inappellabilità – 3. Il